“Emilia Perez”, film fantastico-realistico che fa bene al cinema
Un corpo di donna per salvare l'anima e la società dal narcotrafficoCredo che tra i film prodotti nel 2024 (e presentati nelle più importanti mostre internazionali), “Emilia Pèrez”, firmato dal regista francese Jacques Audiard (che ne è anche sceneggiatore insieme a Thomas Bidegain), possa essere considerato tra i migliori a livello globale.
È un film fantastico (perché la storia è effettivamente molto improbabile) ma nello stesso tempo molto realistico, perché affronta un tema (la criminalità organizzata che, sfruttando il super redditizio mercato della droga, riesce a corrompere e a condizionare pesantemente e pervasivamente un’intera società) quanto mai attuale non soltanto in Messico (paese nel quale si svolge la storia narrata) ma in tutto il pianeta.
È un film, inoltre, che raggiunge livelli prossimi alla perfezione in tutti i suoi aspetti costitutivi: nella recitazione, nel canto e nella musica (nasce originariamente come opera lirica in quattro atti), nella fotografia, nell’ambientazione (sebbene girato a Parigi, sembra veramente di vivere nell’attuale caotica megalopoli Città del Messico, con le sue sterminate e orribili favelas) e, ovviamente, nella regia.
È un film che inchioda lo spettatore sulla sedia, coinvolgendolo intensamente ed emotivamente per tutti i 132 minuti della sua durata. Una pellicola che mescola sapientemente il musical al thriller senza nulla togliere alla spasmodica tensione che anima una vicenda (la guerra tra i vari cartelli dei narcos messicani) intrisa di sangue e violenza e cosparsa di vittime.
E, tuttavia, ciò che diversifica in maniera essenziale (ma anche paradossale) la storia è il fatto che, in un ambiente, quale quello del narcotraffico, in cui domina il machismo più estremo ed esasperato, ad esserne protagoniste siano due donne: la prima, l’avvocata Rita Moro Castro (interpretata da una sorprendente e bravissima Zoe Saldana); la seconda, l’Emilia Pèrez (interpretata da una incredibile e fantastica attrice, la transessuale Karla Sofia Gascòn) che dà il titolo al film. Emilia Pèrez che diventa tale, a seguito di intervento chirurgico per cambiamento di sesso, dopo essere stato per anni Juan Manitas Del Monte, sanguinario boss (maschilista e patriarcale) di uno dei più crudeli ed efferati “cartelli” della droga.
Il nocciolo del film consiste proprio in questa metamorfosi, alla quale Manitas giunge per propria scelta, perché fin dall’infanzia, pur consapevole della sua femminilità, è stato costretto a nasconderla in un corpo maschile; e poi perché nauseato di una vita segnata dalla violenza e dagli innumerevoli cadaveri crivellati di colpi di pistola e di mitra, o sciolti nell’acido o fatti a pezzi e seppelliti in fosse comuni.
Dall’incontro di Manitas Del Monte, fermamente intenzionato a cambiare corpo e anima, con l’avvocato Rita Moro Castro (che dovrà aiutare il boss a realizzare il suo sogno e prendersi contemporaneamente cura del suo patrimonio e della sua famiglia), si sviluppa una trama che presenta colpi di scena a ripetizione con risvolti anche sul piano sociale (la nascita di una ONG per la ricerca dei corpi e resti di desaparecidos), morale e familiare.
Un film che può essere considerato come un ottimo thriller sui generis, ma che contiene, nel suo fondo, un non trascurabile messaggio salvifico: anche ai criminali incalliti è concesso un percorso di cambiamento, il cui inizio richiede una conversione nel più profondo dell’anima. Nel film tale conversione spirituale è accompagnata dal cambiamento di sesso, dal divenire donna di Manitas e dal suo successivo impegno, nelle vesti e nella nuova identità di Emilia Pèrez, a favore delle vittime del narcotraffico e dei loro familiari.
Un film sorprendente, addirittura quasi femminista e, in fondo, molto sobrio ed equilibrato nel trattare i problemi legati alla transessualità. Un plauso particolare alle due formidabili protagoniste.
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