Gino Cecchettin, ritratto di un apostolo kantiano
Gino Cecchettin è una persona per bene (nel vero significato dell’espressione, dunque l’esatto contrario del “perbenista” il quale, in realtà, è una persona “per male”).
Gino è educato, mite, non alza la voce, non urla, dà sempre l’impressione, ogni volta che parla, di chiedere scusa se ciò che dice potrebbe arrecare fastidio a qualcuno. Parla anche un ottimo italiano, usando nel modo migliore il lessico, la grammatica e la sintassi.
Tutti hanno potuto notare, ascoltando il suo discorso ai funerali di Giulia e l’intervista rilasciata ieri sera (domenica 10 dicembre 2023) a Fabio Fazio, che è una persona devastata dal dolore, quello causatogli dalla scomparsa della moglie un anno fa, e ancor di più quello provocato dal brutale assassinio della figlia Giulia.
Eppure, nonostante il fiume carsico di bruciante sofferenza che deve provare dentro le viscere, egli dimostra di possedere un’incrollabile e insospettabile forza d’animo, quella forza che gli permette di dominare l’elementare passione dell’orrore e del raccapriccio mediante il buon uso della ragione e della parola (due termini che, in greco antico, sono unificati da un solo vocabolo: logos).
Ma il buon uso della ragione comporta, necessariamente, che un’esperienza del tutto personale e familiare possa e debba essere mutata in un insegnamento (in una morale) che abbia un valore universale, valido quindi per chiunque.
È ciò che ha fatto Gino, tanto nel discorso ai funerali di Giulia quanto nell’intervista del 10 dicembre, rivolgendosi a “tutti i maschi”, dicendo loro che il femminicidio, prima di essere un tragico e odioso evento per le donne, è un problema per gli uomini “maschi”, qualcosa che riguarda la loro mentalità, il loro retaggio “culturale”, i loro errati comportamenti nei riguardi delle donne, le loro azioni ma anche le loro omissioni (a partire dall’omissione dei “ti amo”).
Gino, trasformando così la sua tragica esperienza personale in un appello alla “conversione” rivolto a tutti gli uomini maschi, si è comportato (con tutta probabilità inconsapevolmente) da autentico “apostolo kantiano“, quasi fosse, in questa circostanza, un fedele e convinto discepolo della morale kantiana, quella concezione esposta minuziosamente dal grande filosofo tedesco nella “Critica della Ragion pratica”, in particolare nel capitolo nel quale traduce la legge morale (il “tu devi” o imperativo categorico) nelle “tre formule”.
È soprattutto la prima formula quella che ha ispirato Gino (ripeto: inconsapevolmente, o forse, chissà, consapevolmente) e la sua straordinaria volontà di ricavare un insegnamento valido per chiunque dall’enorme disgrazia che lo ha colpito.
Quella prima formula che dice: “Agisci sempre in modo che il principio che sta a fondamento della tua azione possa essere, da tutti, considerato come una legge universale”.
Interpretato alla luce di questa “formula” kantiana, l’agire di Gino diventa facilmente comprensibile e condivisibile.
Se, al contrario, Gino avesse reagito (legittimamente, nessuno lo avrebbe potuto criticare per questo), all’assassinio di Giulia, rifugiandosi nel silenzio e nell’intimità del suo nido familiare, sicuramente non staremmo, qui o altrove, ad interrogarci sulla necessità di cambiamenti radicali ed epocali di cui tutti, nessuno escluso ma in primo luogo l’universo maschile, dobbiamo sentirci responsabili.
Dobbiamo perciò essere grati a questo mite e disarmato “apostolo kantiano” che non urla, non invoca vendetta, ha parole di umana comprensione nei confronti dei genitori dell’assassino, non si straccia le vesti per l’alluvione di insulti e di contumelie che gli sta precipitando addosso (che accoglie con uno spirito di stoica rassegnazione); un uomo, infine, che nella sua semplicità di padre colpito negli affetti più profondi, ha saputo rendersi protagonista di una “catarsi” che lo ha fatto diventare, in questa tristissima circostanza della propria esistenza, un modello di “uomo morale” e civile di elevato valore educativo, non solo per le giovani generazioni, ma per tutto un popolo, perfino per coloro che non gli risparmiano critiche e vili e pretestuosi attacchi sugli organi di stampa e sui social.
D’altra parte, queste critiche e questi attacchi dipendono dalla peculiarità della figura di Gino Cecchettin: è la prima volta che un parente della vittima di un femminicidio si assume un ruolo di responsabilità civile ed educativa di fronte a tutta la collettività nazionale, e ciò crea scandalo e sconcerto, soprattutto per tutti coloro che hanno fatto della loro sovraesposizione in talk-shows e trasmissioni televisive d’intrattenimento un vero e proprio mestiere: il mestiere di “influencer”; costoro non possono tollerare che una persona per bene, un uomo semplice e schietto come Gino Cecchettin, rubi loro, suo malgrado, la scena mediatica.
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Grazie, Francesco. Come sempre coniughi la cultura e la modernità in modo intelligente. Abbiamo bisogno di pacatezza e spirito civico. E di vedere che anche di fronte alle disgrazie ed ingiustizie più eclatanti, si può reagire in modo costruttivo.