Ma davvero le donne vogliono essere preti?
Davanti a una volontà così esplicita e costante da parte di Gesù non resta che prenderne atto e agire di conseguenzaMa davvero le donne vogliono essere preti? Proprio in un’epoca che li disprezza tanto, proprio quando non hanno quasi più alcun rilievo sociale o autorevolezza? Non sarebbe più gradito a Dio aspirare alla carità, il carisma più grande?
Diciamolo francamente: molti chiedono il ministero del sacerdozio come rivendicazione di un maggiore spazio alle donne, un modo per affermare la parità dei sessi tramite l’esercizio da parte loro di un potere finora maschile. Che si tratti di questo è evidente quando la richiesta proviene da persone che non sono parte attiva della Chiesa, laici che non accetterebbero mai che un prete metta bocca sulle loro scelte politiche, ma che non si fanno problema a pretendere riforme a proprio gusto per una religione in cui non credono. A volte però sono anche le donne consacrate (le suore, per intenderci) che vorrebbero fare “carriera” o sentirsi riconosciute nella loro preparazione teologica o spirituale. Rivendicare un presunto diritto a essere prete puzza di clericalismo proprio in un tempo in cui dal clericalismo ci si vuole staccare, ma non importa, perché dalle interviste e dagli interventi sembra che si rivendichi più il diritto di essere vescovi o cardinali, piuttosto che preti in mezzo al popolo di Dio. Gesù, quando chiama, chiama a un servizio, ovvero a farsi “servo” di tutti; lui è stato chiaro:
«Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Matteo 10,42-45).
Di potere parla sempre chi non vive una vita di fede, perché non comprende il carattere sacramentale del prete e il suo rapporto con Dio, e si limita a notarne il ruolo nelle strutture ecclesiali; stupisce invece ritrovare lo stesso atteggiamento in alcune consacrate; a loro dovrebbe essere chiaro che:
«Nessuno attribuisce a sé stesso questo onore, se non chi è chiamato da Dio, come Aronne. Nello stesso modo Cristo non attribuì a sé stesso la gloria di sommo sacerdote, ma colui che gli disse: Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato, gliela conferì come è detto in un altro passo: Tu sei sacerdote per sempre, secondo l’ordine di Melchisedek» (Ebrei 5,4-6).
Neanche Gesù osò pretendere il sacerdozio, ma ad esso fu chiamato dal Padre suo. Solo Dio chiama a una vocazione o a un’altra, e solo la Chiesa discerne se la chiamata sia reale. Lo confesso, quando mi sentii chiamato al sacerdozio, e ne ebbi la conferma dal padre spirituale, fu una sorpresa: la vita che conducevo mi andava più che bene; l’unica ragione per cui accettai fu che era Dio a volerlo e, se lo voleva lui, ero sicuro che sarebbe stato fonte di bene per me e per le persone che avrei incontrato. Stabilire se è volontà di Dio è in fondo l’unica cosa che davvero conti, perché è solo per amore di Dio che si può lasciare tutto e seguirlo.
Se si reclama il “servizio della Parola”, esso non si esaurisce di certo nella predicazione durante la Messa. Ho trovato grande giovamento nella mia formazione teologica dalla ricchezza di contenuti e dall’originalità di pensiero delle donne che insegnavano all’università, e anche negli esercizi spirituali la loro predicazione è stata illuminante. La Parola di Dio affidata alle donne – madri, nonne, insegnanti, catechiste e molto altro – ha maggiore impatto e spesso porta maggiori frutti dei quindici minuti di omelia domenicale del presbitero.
È del tutto legittima, d’altronde, la rivendicazione di una maggiore presenza femminile in ruoli decisionali all’interno della Chiesa; un po’ è stato fatto in tal senso, ma ancora molto resta da fare, ricordando che un tempo, per molti secoli, le abadesse esercitavano un ruolo di potere sopra i sacerdoti del loro territorio. E poi, è di sicuro un bene che i preti si occupino sempre meno della gestione economica e organizzativa della Chiesa, per impegnarsi con maggiore libertà in ciò che davvero appartiene a loro:
«Ed egli ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri, per preparare i fratelli a compiere il ministero, allo scopo di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo» (Efesini 4,11-13).
Nella lettera agli Efesini, Paolo è molto chiaro: Dio ha stabilito che spetti ai presbiteri preparare i fedeli laici nella vita spirituale perché essi possano compiere il loro ministero di annunciare al mondo l’amore di Dio. Al presbitero quindi è affidata la predicazione della Parola di Dio, l’amministrazione dei sacramenti e la direzione spirituale dei fedeli perché questi sono i mezzi di santità necessari per tutto il resto, che è competenza laicale. Insomma, quello che alcune consacrate chiedono di avere – voce nelle strutture direttive – è proprio ciò di cui i presbiteri non si dovrebbero occupare, se non di rado. Si rivela qui una contraddizione spesso inconsapevole: perché abbiano più potere, si vuole dare alle donne un ministero – il sacerdozio ministeriale – che proprio quel potere non dovrebbe averlo.
Ciò che conta è la volontà di Dio. Per discernere la sua volontà è necessario cercarla, anche solo in forma implicita, nella Sacra Scrittura o nella Tradizione ecclesiale; ed è proprio alla Sacra Scrittura che i diversi pontefici hanno infatti fatto ricorso per verificarla. Tutto però indica una volontà contraria. Gesù non ha chiamato alcuna donna a far parte dei Dodici, e questo non può essere attribuito, come sostengono alcuni, a un adeguamento alla mentalità dell’epoca; Gesù ha infatti avuto verso le donne un atteggiamento libero fino allo scandalo in altre occasioni: conversa con la samaritana (Giovanni 4) – eretica, più volte ripudiata e ora convivente senza matrimonio – e si lascia toccare dalla emorroissa (Matteo 9); perdona l’adultera (Giovanni 8) e afferma l’uguaglianza dei coniugi (Marco 10; Matteo 19); tra le persone che lo seguono ha un gruppo di donne (Luca 8) – cosa impensabile per un rabbi dell’epoca – e affida alle donne – delle quali non era ammessa la testimonianza nei tribunali – l’annuncio in assoluto più importante: la sua risurrezione (Matteo 28; Luca 24; Giovanni 20). Se avesse voluto anche le donne tra i primi apostoli, chi gli si sarebbe potuto opporre?
E infine l’ultimo tassello: la cena in cui sono stati istituiti l’Eucaristia e il ministero sacerdotale. Svoltasi nella vicinanza della Pasqua, l’Ultima Cena ha visto la partecipazione solo dei Dodici, senza le donne (Marco 14; Matteo 26; Luca 22; Giovanni 13). Sarebbe già strano in un giorno qualsiasi, ma è ancor più strano nel caso di una cena pasquale, dove il rito ebraico richiedeva la presenza di donne e bambini. Se Gesù, proprio in quel giorno, escluse tutti eccetto i suoi apostoli, vi deve essere stato un motivo di particolare importanza: l’istituzione del ministero sacerdotale, per il perpetuarsi dell’Eucaristia nei millenni, fino alla fine del mondo, ad esempio.
Davanti a una volontà così esplicita e costante da parte di Gesù non resta che prenderne atto e agire di conseguenza. Le ragioni di questa scelta potranno diventare oggetto di nostre considerazioni, ma esse rimangono tutte solo delle ipotesi personali. Giovanni Paolo II ha preso atto della volontà divina e ha stabilito nella lettera apostolica Ordinatio sacerdotalis del 1994 che «la Chiesa non ha in alcun modo la facoltà di conferire alle donne l’ordinazione sacerdotale e che questa sentenza deve essere tenuta in modo definitivo da tutti i fedeli della Chiesa». È una formula dogmatica, definitiva. La Congregazione per la Dottrina della Fede ha ribadito poi che si tratta di una verità appartenente al deposito della fede.
Se si cerca il potere religioso, ne esiste solo uno da parte degli uomini: quello che un figlio amorevole esercita sul cuore del Padre, per ottenere grazie e perdono per il mondo. Questo potere appartiene ai santi, uomini o donne che siano, e le donne sono le più numerose tra i santi conosciuti. L’unico vero potere è la santità. Alcune persone molto devote che ho incontrato sono convinte che essere preti garantisca una tale abbondanza di grazie divine da renderli santi con maggiore facilità. Quanto si sbagliano! Non vi conviene provare.
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