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Il carcinoma della mammella. Epidemiologia, diagnosi e prognosi

Il carcinoma della mammella è il primo tumore per incidenza nella donna (subito sopra al carcinoma del polmone) ed è anche al vertice della mortalità per neoplasia maligna femminile. Ogni anno in Italia si contano oltre 50.000 nuovi casi di questa malattia, ponendola in cima alle problematiche sanitarie di tipo sociale, anche perché ha due picchi di incidenza di cui uno verso i 45-50 anni e l’altro nella età più avanzata, oltre i 65-70 anni

La ghiandola mammaria è una struttura anatomica molto complessa (ghiandola apocrina sudoripara modificata) ed è composta per ogni lato da una decina di comparti ghiandolari differenti ognuno dei quali drenante in un dotto galattoforo che sbuca a livello del capezzolo: la ghiandola è strettamente connessa alla fascia muscolare toracica e sostenuta da tralci e legamenti di tipo connettivale molto robusti. La ghiandola vera e propria (che secerne il latte) è circondata da numerosi lobuli di tessuto adiposo, il cui significato fisiologico e patologico non è ancora del tutto noto, che aumentano notevolmente con l’avanzare della età e parallelamente alla fisiologica atrofia della componente ghiandolare mammaria.

Il carcinoma della mammella è la principale malattia di questo organo ed è tipicamente una malattia dei tempi moderni, essendo quasi sconosciuto fino a 70-80 anni fa. Esso appartiene alla categoria dei cd “tumori solidi” cioè di quelle neoplasie maligne che colpiscono organi parenchimali, ghiandolari o visceri e che si beneficiano principalmente del trattamento chirurgico demolitivo in primis poi, a seconda dello stadio della malattia, anche di terapie farmacologiche e radioterapiche mirate (chemioterapia).

Il carcinoma della mammella può essere sensibile ai trattamenti neoadiuvanti o adiuvanti di tipo chemioterapico e radioterapico e , in questi casi, la fase chirurgica demolitiva avrebbe maggiormente il significato di tipizzazione cellulare ed istologica della malattia (il cd “nome e cognome” della malattia) oltre che di citoriduzione della massa tumorale.

Il carcinoma della mammella a volte, soprattutto nelle donne più giovani, ha una maggiore aggressività biologica con rapidità di crescita e velocità di diffusione metastatica su base linfatica ed ematogena (ossa, fegato, cervello, polmoni, cute, ecc), tale che in questi casi tende ad assumere comportamenti più simili a quelli dei “tumori liquidi ematologici”, che sono invece di provenienza dal midollo osseo.

Oggi è noto che il carcinoma della mammella è un insieme di differenti tipi di malattie anche molto diverse tra di loro poiché molti fattori biologici ne influenzano incidenza e prognosi: tra di di essi i più importanti e frequenti sono sicuramente l’ età, le dimensioni del tumore, la presenza o meno di metastasi nei linfonodi regionali, il numero di gravidanze, la familiarità o eredofamiliarità.

Quanto al primo fattore, ormai è noto che il tumore della mammella incide in maniera crescente al crescere della età della donna: la incidenza nelle ultra 80enni è elevata ma caratteristicamente non lo è la gravità della malattia che in queste fasce di età è spesso meno aggressiva. La dimensione del tumore, cioè il cd “T” della classificazione TNM, è basilare per la prognosi cosi come nella maggior parte dei tumori solidi (polmone, cute, prostata, ecc): più è grande la dimensione tumorale alla diagnosi, maggiore il rischio di rapida progressione di malattia verso le metastasi a distanza e di morte.

Anche la presenza o meno di linfonodi regionali drenanti il tumore (ascellari soprattutto, ma anche mammari interni e sopraclaveari) condiziona la prognosi cioè la sopravvivenza a distanza così come il T: per avere informazioni sui linfonodi regionali (il cd “N” della classificazione TNM) si deve necessariamente procedere ad una loro asportazione chirurgica (biopsia o linfadenectomia radicale, che generalmente è eseguita in anestesia generale contestualmente all’intervento chirurgico sulla mammella.

Il numero di gravidanze è un fattore decisamente protettivo nei confronti dello sviluppo del carcinoma mammario: questo ormai è noto, ma il meccanismo della protezione lo è ancora poco. Come è noto, nel secolo XIX° il cancro della mammella era molto raro nelle donne: si facevano mediamente molti figli durante la età fertile, inoltre molte gravidanze non andavano a buon fine e la vita media delle donne era ben inferiore ad oggi.

Come è noto, ormai possiamo influenzare la EPIGENETICA del carcinoma della mammella con i nostri comportamenti (età alla riproduzione, numero di gravidanze, metodi anticoncezionali, ecc): epigenetica come influenza dell’ambiente esterno sul nostro genoma e quindi sulla capacità che noi abbiamo di esprimere e produrre le proteine della infiammazione e della relativa sua modulazione (citochine, chemiochine, interleuchine, interferoni, ecc). L’infiammazione, cioè la risposta dell’individuo agli stimoli dannosi esterni (fisici, chimici, termici, batterici, virali,ecc) è una causa scatenante o promuovente la genesi del tumore: ipotesi affascinante su cui si scatenerà lo sforzo umano della scienza dei prossimi decenni verso la cd “medicina personalizzata”.

L’ultimo aspetto di particolare importanza, che influenza lo sviluppo e la prognosi del carcinoma della mammella nella donna, è quello genetico o familiare o meglio eredofamiliare. Infatti, noi sappiamo esistere dei cancri della mammella (in una percentuale sul totale di circa il 15 % circa) dove nelle loro famiglie più o meno allargate di 1° e 2° grado sono presenti numerosi casi di tumori solidi come quello della mammella, del colonretto, del pancreas, della tiroide, ecc. Questo aspetto, ci dice che il genoma influenza sicuramente (ma non in tutti) anche la possibilità di sviluppare un cancro della mammella, ma soprattutto ci impone la riflessione su quale sia il ruolo delle popolazioni geniche coinvolte in questo processo e quanto sia importante  per la prognosi della paziente e la sua sopravvivenza a distanza.

Oggi noi siamo in grado di conoscere tutto il sequenziamento del genoma umano, ma ancora poco sappiamo del ruolo delle sue componenti e soprattutto delle sue interrelazioni con l’ambiente esterno (radiazioni UVA, inquinamento ambientale, infezioni microbiche e virali, ecc). Il dato più importante del carcinoma della mammella è quello epidemiologico e soprattutto quello della prognosi e sopravvivenza a distanza della malattia dal momento del suo esordio.

Il carcinoma della mammella nella donna non è sicuramente una malattia rara, tutt’ altro: oltre 50.000 nuovi casi di malattia annui (probabilmente sottostimati perché le campagne di screening mammografico-ecografico si fermano alla età di 70 anni circa) e quasi 30.000 donne con malattia metastatica: in Italia circa 500.000 donne ogni anno ed in questo momento hanno avuto o hanno esperienze di carcinoma della mammella. Il cancro della mammella è quindi una malattia a forte caratterizzazione sociale, incide sulla economia della nazione occidentale, sullo sviluppo familiare, priva figli, bambini troppo presto delle loro madri e mariti delle loro mogli. Il peso economico e sociale di questa malattia è immenso.

 

Il cancro della mammella è una malattia terribile, a cura prevalentemente chirurgica: il principale attore specialistico nella sua terapia resta sempre il chirurgo, ma la chirurgia è cambiata radicalmente dai tempi in cui da ragazzo mi avvicinavo alla chirurgia e si praticava praticamente sempre una mastectomia radicale modificata con asportazione del muscolo piccolo pettorale sec. Madden. Il diffuso e largo impiego nella cd “popolazione a rischio” dello screening e diagnosi precoce del carcinoma della mammella mediante la diagnostica radiologica della Rx mammografia ha permesso la scoperta di tumori piccoli e piccolissimi (anche di pochi mm) con netto beneficio sulla sopravvivenza a distanza (> 95 % a 5 anni).

Ma ancora molto deve essere scritto su questa neoplasia e molto deve essere fatto nella ricerca scientifica, quella VERA.

Molte e molte vite femminili (spesso giovani e giovanissime) ancora devono essere strappate ad un destino crudele di morte in condizioni terribili e dobbiamo ancora lottare e combattere molto per cambiare cultura e società, per migliorare la ricerca scientifica e l’innovazione tecnologica, per privilegiare i veri pilastri del cambiamento quelli che io chiamo i VISIONARI cioè le persone che anticipano di decenni i cambiamenti del mondo.

Francesco Russo, Medico-Chirurgo, Ricercatore Confermato – Dipartimento di Scienze Chirurgiche – Università di Roma Tor Vergata

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