La comunità bengalese di Torpignattara in corteo

Il 15 febbraio contro il caos residenze per il rinnovo del permesso di soggiorno

Lunedì 15 febbraio 2016 fra le vie del quartiere di Torpignattara, da piazza della Marranella alla sede del V municipio, duemila manifestanti bangladesi hanno sfilato in un affollato corteo, organizzato e animato dalla comunità bengalese che come è noto è molto nutrita  al punto di conquistarsi il soprannome di Banglatown.

Pare ammontino a cinquemila, e a Roma la comunità è la quarta più numerosa.

bangla1-3Lo slogan unico della manifestazione è stato: “Vogliamo il permesso di soggiorno”, gridato, e ribadito nei megafoni davanti allo striscione in testa alcorteo, ” Torpignattara in piazza per i diritti”.

Promotrice della protesta è stata l’associazione Dhuumcatu, il cui presidente Batchu ha spiegato le ragioni dell’agitazione: “Dagli attentati di Parigi, la Questura richiede la residenza anagrafica per il permesso di soggiorno, ma la normativa non dice questo, prima il domicilio era sufficiente”. L’interpretazione più restrittiva della legge ha inoltre reso più difficili gli accertamenti. Il municipio ha cominciato a non concedere le residenze anche a coloro che vivano senza rispettare il parametro dei “17 metri quadrati per persona”.

Come spiega il presidente, spesso gli abitanti del quartiere sono costretti a vivere in situazioni ben diverse. Secondo Batchu sarebbero circa tremila le persone della comunità hanno visto rigettata la richiesta di rinnovo.

Dopo un appello all’ambasciata, ora il pressing è sul V municipio: “Avevamo chiesto un incontro con una nostra delegazione al presidente Palmieri circa un mese fa. Ci ha fatto sapere oggi pomeriggio che non ci avrebbe ricevuto perché aveva altri impegni”. Palmieri si è detto disponibile ad ascoltare le richieste della comunità, fissando un incontro dopo il corteo, ma ribadendo che gli uffici municipali non fanno che applicare la legge.

A giudicare dalle dichiarazioni di Batchu, il problema a Torpignattara non è solo legislativo, ma anche di integrazione e accettazione della nuova comunità da parte degli autoctoni:  “Alcuni proprietari non vogliono affittare agli islamici, altri non vogliono affittare a noi ‘negri’ e altri ancora a nessun immigrato”.

D’altra parte, fa sapere la comunità bengalese di Torpignattara, “se qualche fortunato ha trovato ospitalità, il Comune comunque non rilascia la residenza qualora nel contratto d’affitto non risultino i nominativi”.

Per ogni richiesta di residenza, inoltre, è necessario “che il proprietario faccia un nullaosta e il costo per questa dichiarazione- prosegue l’associazione Dhuumcatu- può arrivare fino a 700 euro. Tanti, poi, sono i proprietari che ci dicono: “Ho affittato la casa e registrato, ora non voglio saperne più nulla. Se vuoi rimani, altrimenti puoi anche lasciare la casa”.

Per questo, la comunità bengalese dice di trovarsi “di fronte ad un’altra guerra. Questa volta, però, l’arma usata contro di noi è la burocrazia. Noi islamici (o come dite voi ‘terroristi’) ci imbattiamo in molteplici difficoltà nel rinnovare i nostri permessi di soggiorno. E come noi, tutti gli immigrati sono in difficoltà per il rinnovo del permesso di soggiorno”.


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