La geografia dell’Italia nella Divina Commedia
L’Italia di Dante, un suggestivo e lunghissimo reportage del professor Giulio Ferroni sulle numerose località italiane citate nella Commedia“ … O glorioso spirto,/ dimmi: d’Italia tua morto è l’amore?/ di’: quella fiamma che t’accese, è spenta?/ di’: né più mai rinverdirà quel mirto/ ch’alleggiò per gran tempo il nostro male?/ nostre corone al suol fien tutte sparte?/ né sorgerà mai tale/ che ti rassembli in qualsivoglia parte?”
(Giacomo LEOPARDI, Sopra il monumento di Dante, da Canti).
S’intitola L’Italia di Dante, viaggio nel paese della Commedia (edito da La nave di Teseo, Milano 2019) un ponderoso (ben 1200 pagine circa) ma godibilissimo volume scritto dal professore emerito della Sapienza, Giulio Ferroni, celebre italianista nonché autore di uno dei manuali di letteratura italiana più diffusi, da decenni, nei licei di tutta la penisola.
Il libro è una sorta di amplissimo e informatissimo reportage, frutto del lungo viaggio che l’autore, lasciato l’insegnamento universitario per raggiunti limiti di età e con il contributo della Società Dante Alighieri, ha intrapreso e realizzato tra il 2014 e il 2016; un percorso in automobile che lo ha condotto in tutti i luoghi citati o accennati o semplicemente evocati all’interno delle tre Cantiche in cui si articola e si dispiega l’altro viaggio, quello onirico visionario e ultraterreno, poeticamente compiuto nel 1300 dall’immortale Padre della nostra lingua e, insieme, “vaticinatore” (il termine è brutto, ma efficace) della nostra identità nazionale. Come lo stesso Ferroni scrive nell’introduzione al testo “… nel momento in cui fonda la sua lingua letteraria, Dante individua nettamente l’Italia nella sua turbinosa consistenza, linguistica, geografica, politica, morale, nelle sue speranze e nei suoi fallimenti: l’ ”umile Italia”, nominata subito nel canto I dell’Inferno, il “bel paese là dove ‘sì suona”, la “serva Italia, di dolore ostello”, dispiegata in alcuni formidabili scorci panoramici …”.
Un viaggio, quello del professor Ferroni, le cui innumerevoli tappe sono disseminate in quasi tutte, se non tutte, le attuali regioni italiane: dalla Campania al Lazio, dalla Toscana alla Puglia, dalle Marche all’Umbria, dalla Sicilia alla Calabria alla Sardegna, a tutto il Settentrione (ivi comprese quelle regioni che non soltanto nel Medioevo, ma anche in tempi recenti, almeno fino all’inizio dell’età risorgimentale, erano considerate di difficile se non impossibile collocazione nella geografia della penisola: Piemonte, Trentino, Venezia Giulia). Ebbene, ciascuna di queste molte tappe viene individuata ed evocata in virtù di versi e passi più o meno lunghi della Commedia, sì da far erroneamente concludere, all’odierno ingenuo lettore, che financo nel Medioevo esistesse, almeno all’interno di un ipotetico immaginario collettivo, una sia pur faticosa comune consapevolezza dell’esistenza non soltanto di un’Italia geografica, ma addirittura di un’embrionale “nazione” italiana. Ora, la storiografia (almeno quella che si basa su principi e metodi di carattere scientifico) ci insegna che, al tempo di Dante e ancora per molti altri secoli, né la geografia né la mappa europea dei popoli registravano la sussistenza di un territorio e/o di una nazione italiana.
Di conseguenza, suscita un senso di stupefatta e quasi incredula ammirazione che il nostro Sommo poeta – quasi gigante e solitario profeta in un desolante paesaggio popolato da ignari e fieri sostenitori delle autonomie comunali, e da successivi adulatori e cortigiani prezzolati ognor pronti a sciogliere lodi in onore di gran signori e principi regionali, questi ultimi a loro volta intenti a mescolare generoso mecenatismo culturale a orribili venefici e pugnalate nelle schiene degli incauti rivali – abbia avuto l’incredibile capacità di prefigurare un’Italia unita, oltre che da un comune linguaggio, anche da chiari e identificabili confini territoriali e governata da un unico potere sovrano. Un potere che, tuttavia, Dante (e qui, nonostante lo sguardo rivolto al futuro, egli rivela le sue salde radici teologiche e medievali) non poteva in alcun modo distinguere dall’autorità imperiale, per sua natura sovra-nazionale.
Per ritornare al libro di Ferroni, e alla sua agibilità e al piacere in grado di suscitare nel lettore più o meno appassionato della Divina Commedia, oppure semplicemente interessato alla concezione dell’Italia così come emerge dalla lettura del sacro poema, vi è un altro importante aspetto che è indispensabile sottolineare: per ogni località visitata, l’autore riesce a collegare il passato (come poteva essere quel luogo, quello spazio, quel territorio al tempo di Dante, e/o come poteva il poeta averlo visto o da quali fonti averne tratto informazioni attendibili) al presente (come si configura quel luogo ora, quali sono o possono essere stati gli eventi, succedutisi nella storia, che ne hanno modificato il volto, spesso in maniera radicale) e, in qualche caso, al probabile prossimo futuro. E così, dalla lettura del testo (a tal proposito, rendo edotto il lettore che è possibile leggerlo tanto procedendo dalla prima all’ultima pagina, quanto adottando in alternativa il metodo del gambero, saltando cioè capitoli per poi riprenderli in seguito) è possibile, a mio avviso, trarne due chiavi o due criteri interpretativi.
Il primo è quello che punta a far emergere l’immagine che Dante, nelle pagine della Commedia, aveva dell’Italia, della sua conformazione, delle sue genti e popolazioni, degli eventi capitali che, in questa o quella località, erano accaduti; il secondo, invece, è rappresentato dall’insieme di esperienze, di riflessioni (a volte amare, a volte rassegnate) e di suggestioni che l’autore del libro, vale a dire il professore emerito Giulio Ferroni, ha provato e vissuto durante questo suo lungo e senz’altro ricco di sorprese Viaggio in Italia, alla scoperta di documenti, iscrizioni, testimonianze e personaggi evocati nel testo dantesco. Non casuale è l’espressione testé usata (Viaggio in Italia): un titolo che richiama le medesime parole usate da Wolfgang Goethe per il suo personale viaggio, svoltosi tra il 1786 e il 1788, alla scoperta delle radici classiche della civiltà europea, alla quale egli e i suoi amici e discepoli in Germania avrebbero dato, da lì a poco, un originale e ricchissimo contributo. Ebbene, tra le molte radici dell’odierna civiltà europea, non si possono obliare, o sminuire, quelle rappresentate dai grandi Italiani del XII-XIII sec. (Dante, Petrarca, Boccaccio, Giotto) che, pur tenendo ben piantati i piedi in un Medioevo cristiano ancora non sfiorato dal suo imminente autunno (v. L’autunno del Medioevo, di J. Huizinga), seppero porre, nelle e attraverso le loro opere, le fondamenta dell’Umanesimo e del Rinascimento della civiltà classica nella fase d’avvio della modernità.
Infine, debbo ammettere che sussiste una terza chiave di lettura, forse più semplice e alla portata di lettori che, pur stimolati da curiosità, non riescono però ad appassionarsi né alla lontana Italia descritta da Dante, né alle considerazioni e alle riflessioni di un importante studioso che, prendendo spunto dalla sua personale esegesi dantesca, voglia trasmettere al lettore la sua meditata concezione dell’Italia presente. Questa diversa chiave consiste nell’assumere il libro come guida per tutti coloro che, in occasione del settimo centenario della morte del poeta, intendono omaggiarlo intraprendendo essi un proprio viaggio che li conduca a visitare se non tutti i luoghi citati nella Commedia, almeno quelli più importanti e situabili in città quali Napoli, Roma, Verona, Ravenna, Assisi, Rimini e, ovviamente e non ultima, Firenze.
Giulio Ferroni, L’Italia di Dante, Viaggio nel paese della Commedia, La nave di Teseo, Milano 2019.
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Grazie per questa recensione. È importante ricordare le proprie radici, linguistiche letterarie spirituali. Ed un sano patriottismo sconfigge la tentazione del becero nazionalismo.