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Morto a 89 anni Pietro Amendola, un politico esemplare

Napolitano: un combattente coraggioso nella guerra di Liberazione dal nazifascismo ma anche coerente assertore dei valori di libertà. Veltroni: nel suo Dna c'era l'amore per l'Italia, per la democrazia e per la libertà

Pietro Amendola, ultimo dei figli di Giovanni Amendola, politico e antifascista, è morto nella notte del 7 dicembre 2007 all’età di 89 anni. Nato a Roma il 26 ottobre 1918, nel ’37, seguendo l’esempio del fratello Giorgio, s’iscrisse al Pci. Tre anni dopo (aveva 22 anni) finì dinanzi al Tribunale speciale, che lo condannò a dieci anni di reclusione. Ne scontò tre perchè nel 1943 il Fascismo cadde e così fu rimesso in libertà. Riprese subito il suo posto nella lotta contro il fascismo e fu tra gli organizzatori della Resistenza nel Lazio. Partigiano combattente, operò in una formazione del CVL col grado di capitano. Dopo la Liberazione, nel 1946, Pietro Amendola fu segretario della Federazione comunista di Salerno e, dal 1947 al 1948, redattore del quotidiano di Napoli La Voce. Eletto deputato nel 1948 e rieletto per il PCI in successive legislature, è stato fino all’ultimo attivo alla presidenza dell’Associazione Nazionale Perseguitati Politici Italiani Antifascisti. E’ stato tra i fondatori del Sunia (Sindacato Inquilini), di cui è stato presidente per lunghi anni.

La Camera ardente per chi vorrà dare l’ultimo saluto a Pietro Amendola, è stata aperta l’8 dicembrea dalle ore 10,00 nella Sala del Carroccio, in Campidoglio.

Il ricordo del Presidente Napolitano. Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha inviato alla famiglia Amendola il seguente messaggio: "Ho appreso con profonda commozione della scomparsa di Pietro Amendola a cui sono stato legato da una profonda amicizia alimentata anche dalla mia particolare vicinanza a suo fratello Giorgio. Pietro è stato combattente coraggioso nella guerra di Liberazione dal nazifascismo ma anche coerente assertore dei valori di libertà, di giustizia e di democrazia che hanno caratterizzato la cultura politica liberale e ispirato tanta parte della sinistra italiana. Attaccato profondamente alla radici campane, parlamentare di lungo corso e uomo delle istituzioni – prosegue Napolitano – sempre attento ai bisogni e all’ansia di riscatto dei più deboli e indifesi, Pietro Amendola ha esemplarmente vissuto i principi che animano la Costituzione repubblicana. Ricordo la sua grande umanità, la sua pacatezza e determinazione, il senso pieno di una vita che offre un sicuro punto di riferimento per le nuove generazioni. È con questi sentimenti che sono vicino alla sua famiglia, alle organizzazioni partigiane e dei perseguitati dal fascismo, agli amici e a quanti rimpiangono il suo spirito libero".

”Un uomo di straordinaria generosita’ e profonda passione civile e politica”. Così Piero Fassino ricorda Pietro Amendola: ”Nonostante il male ne minasse il fisico, volle fare la fila assieme a tanti cittadini per partecipare il 14 ottobre alle primarie del Partito democratico ed essere cosi’ fedele fino all’ultimo di uomo di sinistra e alle sue convinzioni di progressista”.

"Aveva ragione chi scriveva che nel Dna di Pietro Amendola c’era l’amore per l’Italia, per la democrazia e per la libertà. La scomparsa di Pietro, ultimo dei figli di Giovanni è un pezzo di storia del Paese che se ne va – afferma Walter Veltroni – Della vita di Pietro Amendola che ha attraversato tutta la nostra tumultuosa storia recente, del suo impegno politico e civile, dalla Resistenza alla ricostruzione fino ai giorni nostri, mi piacerebbe ricordare il suo grande interesse per i giovani. Pietro, diceva che la sua generazione poteva apparire ai ragazzi un pò enfatica e predicatorià e per questo occorreva ‘incontrare i giovani, capirli e farsi capirè. Pietro ha incontrato tante ragazze e ragazzi italiani, a loro, ai suoi cari, a me e a moltissimi altri mancherà molto"

Qui di seguito riportiamo un significativo articolo di Mirella Alloisio

A tu per tu con Pietro Amendola
Nel suo DNA l’amore per la patria, per la democrazia, per la libertà

Gli anni non hanno offuscato i ricordi, non hanno diminuito la lucidità di pensiero: Pietro Amendola continua a resistere, senza urlare, senza richiami alla violenza, ma con pacata determinazione. Chi meglio di lui, che ha nel suo DNA (bisnonno carbonaro, nonno garibaldino, padre parlamentare liberale, statista, assassinato dai fascisti)l’amore per la patria, per la democrazia, per la libertà, può insegnare ai giovani in che modo resistere ai tentativi di limitare le libertà, gli spazi democratici, comeopporsi alla guerra?

«Non credo – dice – si possa insegnare a resistere al di fuori di un contesto, è la realtà che ti spinge ad imparare e in questa realtà il pericolo più serio è la guerra, e che guerra! E sono proprio i giovani i più diretti interessati, del resto credo che dalla famiglia avranno avuto ricordi e riflessioni sulle conseguenze della guerra».

Il contesto familiare è dunque, insieme alla scuola, una sede fondamentale per apprendere l’importanza della pace, della democrazia, della libertà e a difenderle quando sono in pericolo.

«Ho qualche nitido ricordo – dice – di mio padre, soprattutto ho il ricordo, anzi sono sensazioni che hanno avuto un effetto determinante sulla mia crescita: l’agitazione che c’era in casa a partire dalla marcia su Roma. Benché avessi soltanto quattro o cinque anni, queste parole: fascismo, fascisti, squadristi le ascoltavo frequentemente e riecheggiavano con accenti pau-rosi, sia quando veniva prospettata la possibilità che venissero gli squadristi a invadere la casa dove abitavamo, sia quando noi bambini venivamo mandati a dormire in altre case, presso congiunti. Ma ho in particolare la visione chiara, sono passati ottant’anni, ma è come fosse stato ieri, di mio padre, dopo l’aggressione del 26 dicembre 1923 da parte della banda del Viminale, quella di Dumini e soci, la stessa che uccise Matteotti: si stava avviando al quotidiano Il mondo e fu picchiato. Lo ricordo a letto bendato e una processione di amici a visitarlo. Peggio ancora lo ricordo dopo l’aggressione, che poi gli fu fatale, del 20 luglio 1925 a Montecatini, dove fu ridotto male: rientrò a Roma tutto bendato esanguinante e stette parecchio tempo in queste condizioni, stentava a riprendersi. Lo ricordo bene, perché era costrettoa passare molto tempo a casa, nell’intervallo tra un primo viaggio in Francia per curarsi e un secondo per operarsi, lo ricordo su una poltrona sempre febbricitante. Dal secondo viaggio non tornò, perché quando andarono per operarlo non c’era più niente da fare: le manganellate avevano leso irreparabilmente i polmoni. Restammo orfani, infatti la mamma era in una casa di cura per malattie nervose, noi fummo accolti a Napoli dallo zio. Tutto questo contribuì a instillare sentimenti di avversione, di odio, di desiderio di punizione. Crescendo e potendo consultare carte, libri, giornali della biblioteca di mio padre, i volumi degli interventi in Parlamento, cominciai a dare una ragione politica a questi sentimenti; poi a radicarmi maggiormente nella strada della politica fu l’esempio di Giorgio, il fratellogrande».

di Mirella Alloisio

Fonte: PATRIA INDIPENDENTE 30 MARZO 2003


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