“Pier Paolo Pasolini – il cinema, l’amore & Roma” di Gordiano Lupi e Patrice Avella 

Tutto ciò che occorre sapere sulla sua vita e sulle opere in un solo libro

Molti sono i libri pubblicati nel corso del centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini: alcuni buoni e pieni di novità interessanti, altri che approfondiscono alcune tematiche e sezioni del pensiero e dell’opera del grande intellettuale, altri ancora che possono definirsi ristampe o edizioni accresciute di testi ben noti già in precedenza, editi almeno una volta.

Buon ultimo, in ordine di tempo, di questo ricco elenco di volumi, è il libro di Gordiano Lupi e di Patrice Avella, dell’aprile 2023, che ha per titolo “PIER PAOLO PASOLINI – il cinema, l’amore & Roma”, pubblicato dalle Edizioni il Foglio di Piombino (LI), aprile 2023. 

Ho atteso alcuni giorni prima di scriverne la recensione, per una lettura e rilettura che fosse la più attenta e scrupolosa possibile. Devo confessare che mi sono trovato di fronte ad un’opera che, lungi dal pretendere di fornirci chissà quali impreviste rivelazioni sulla vita (e soprattutto sulla tragica morte) del poeta di Casarsa, vuole invece rivolgersi, nella maniera più divulgativa e didattica che si possa immaginare, al grande pubblico di coloro che, pur avendo sentito parlare innumerevoli volte di Pasolini, risultano tuttavia in possesso di informazioni sparse e vaghe, tra di loro non collegate sistematicamente, e a volte in palesi reciproche contraddizioni. Ebbene le 461 pagine del libro di Gordiano Lupi e di Patrice Avella (francese ma italiano d’origine e residente a Piombino per molti mesi nel corso dell’anno) si presentano come un’utilissima “Introduzione alla vita, al pensiero e alle opere” di uno tra i più grandi intellettuali italiani di tutti i tempi. Una piccola enciclopedia, insomma, organizzata non in un ordine alfabetico, ma secondo un criterio sommariamente cronologico-biografico, con ampie digressioni su aspetti che hanno profondamente segnato la formazione sentimentale-letteraria-socio/politica-cinematografica del poeta-narratore-regista ucciso il 2 novembre del 1975. 

Uno degli aspetti più stimolanti è il rapporto di Pasolini con le donne, le quali, contrariamente a quanto si potrebbe ingenuamente pensare, hanno svolto un ruolo determinante sulla sua formazione soprattutto sentimentale. Mi riferisco ovviamente alla madre Susanna Colussi (p. 29), che, orgogliosissima del figlio, non lo abbandonò mai, standogli a fianco soprattutto nei momenti più bui e disperanti della frenetica attività che dispiegò in tutta la sua tormentata esistenza. A lei sono dedicate molte pagine di questo volume, che riporta anche pensieri e versi tra i più belli di quelli mai scritti da Pier Paolo (quella Supplica a mia madre, inserita nella raccolta Poesia in forma di rosa). Ma molte altre donne hanno influito su questa formazione: Silvana Mauri Ottieri (p. 189), Laura Betti (p. 233), Elsa Morante (p. 103), Silvana Mangano (p. 197), la cugina Graziella Chiarcossi (p. 297), Dacia Maraini (p. 313), la stessa Anna Magnani (p. 64), con la quale i rapporti furono a volte tempestosi, e, infine, la divina Maria Callas (p. 265) e, sorprendentemente, Oriana Fallaci (p. 333). 

Di quest’ultima, ci sembra non soltanto utile, ma quanto mai illuminante, la lunga lettera scritta il 14 novembre 1975 a Pasolini, 12 giorni dopo la sua morte, riportata integralmente da p. 334 a p. 344. E’ un documento impressionante, che ci fa comprendere quanto alcune donne abbiano amato Pasolini e abbiano pre-sentito e temuto, forse in ogni fugace o duraturo incontro con il poeta, il tragico esito di quella straordinaria esistenza, esposta volontariamente al rischio, in una inesorabile discesa nei più terribili e infernali ambienti di quelle periferie metropolitane che su di lui esercitavano la più fatale delle attrazioni. 

C’è un dato, in quella lettera, che ci impressiona, rivelandoci il grado di conoscenza che l’autrice aveva del regista ucciso: è quando accosta il suo assassinio alla sua profonda religiosità: “Ed io non ti insulto dicendo che non è stato quel diciassettenne ad ucciderti: sei stato tu a suicidarti servendoti di lui. Io non ti ferisco dicendo che ho sempre saputo che invocavi la morte come altri invocano Dio, che agognavi il tuo assassinio come altri agognano il Paradiso. Eri così religioso, che ti presentavi come ateo. Avevi un tale bisogno di assoluto, tu che ci ossessionavi con la parola umanità. Solo finendo con la testa spaccata e il corpo straziato potevi spegnere la tua angoscia e appagare la tua sete di libertà”.

Ma nel titolo del libro non c’è la parola donne, sebbene ci sia la parola amore, quell’amore che, per Pasolini, voleva dire anche sesso (molto spesso a pagamento) con partners occasionali come i “ragazzi di vita” delle borgate romane o delle periferie delle grandi metropoli come New York o Calcutta o Bombay o Nairobi, tutte città che, per il poeta, avevano lo stesso effetto di una droga che, pur conoscendone le potenziali terribili conseguenze, non si può fare a meno di assumere: “Non ti stancavi mai di sfidare la turpitudine – continua la lettera della Fallaci -, toccare l’orrendo, unirti ai relitti maschili dei drogati, degli invertiti, degli ubriaconi”.  

E, tuttavia, non c’è alcun dubbio che, da tutto quel male nel quale Pasolini era solito immergersi, egli riusciva a tirar fuori, grazie alle sue capacità di trasfigurazione poetica, il massimo della bellezza, tanto nelle poesie e nella narrativa, quanto nei drammi e, soprattutto, nelle immagini della sua complessa e vasta filmografia. Parafrasando una celebre sentenza platonica, è possibile affermare che, per Pasolini “… la bellezza non è che l’immagine sensibile del Male che permea l’intero mondo, annidato negli interstizi delle metropoli”. 

E c’è solo l’Arte (della quale il cinema è la variante più moderna ed efficace) che, nella società odierna, possa valere come unico strumento per esorcizzare il Male e trasformarlo in Bellezza. Non c’è da stupirsi, quindi, se il volume di Lupi e di Avella riserva un’ampia percentuale della sua mole ai film di Pasolini, ad ognuno dei quali (non soltanto i lungometraggi, ma anche i documentari e gli episodi, di film come ROGOPAG e Amore e rabbia, da lui firmati) è dedicata una puntuale e circostanziata recensione, curata singolarmente da Gordiano Lupi. Ma non c’è solo la recensione, corredata da un’ampia scheda informativa elencante autori, interpreti, collaboratori, musiche, fotografia, locations ecc. dell’opera; troviamo, per la maggior parte della filmografia pasoliniana, una storia della genesi, della recezione da parte della critica e del pubblico, delle conseguenze a livello giudiziario, di ciascuna opera cinematografica.

Un’altra importante sezione del libro è occupata dai luoghi di Pasolini. Non soltanto i paesi e le città che hanno visto la sua più o meno lunga presenza e/o residenza: Casarsa, Bologna, Roma, Sabaudia, la Tuscia, ma anche quei quartieri, quelle piazze, quelle stradine, che hanno rivestito un preciso significato nella vita e nella formazione di Pasolini, e nei quali è rimasta almeno una traccia, piccola o grande che sia, del suo passaggio. 

E qui entra in primo piano Roma, la città senza la quale Pasolini non sarebbe, probabilmente, mai diventato il Pasolini che conosciamo. Roma e le sue periferie: Rebibbia, Ponte Mammolo, Pigneto, Torpignattara, Quadraro e Mandrione, Ostia e l’Idroscalo. Le periferie immortalate nei suoi primi film, le periferie dove egli fa la conoscenza di quegli attori-non attori che sarebbero diventati, in un modo o nell’altro, presenze fisse nei suoi film (Sergio Citti, Franco Citti, Ninetto Davoli, Mario Cipriani e tanti altri); ma anche la Roma del centro storico e di Trastevere, la Roma dei caffè frequentati dagli intellettuali che più sono stati vicini a Pasolini (Moravia, Bassani, Bertolucci, Morante, Maraini, Fellini, Lizzani, ecc.).

Con Roma, però, oltre alle persone, entrano in campo i luoghi d’incontro: le pizzerie, le trattorie, i ristoranti più o meno famosi e storici, i baretti. E’ un lungo elenco, quello dei luoghi d’incontro: da Necci al Pigneto alla Carbonara in piazza Campo de’ Fiori, da Meo Patacca a Trastevere a Pommidoro a San Lorenzo, dal Biondo Tevere a San Paolo alla Campana in vicolo della Campana, da Otello alla Concordia in via della Croce a Sora Lella all’Isola Tiberina, da Lilly a Fiumicino alla Trattoria dei trenini in via Appia Antica, ecc. 

Di trattorie e di piatti tipici (con ampi e generosi e appetitosi ragguagli sulle ricette e sugli ingredienti e sulle storie caratteristiche di ciascun piatto) se ne è occupato il “gastronomade” (auto-definizione) Patrice Avella, l’altro autore del volume, francese ma innamoratissimo dell’Italia (e di Pasolini), esperto di storia della gastronomia italiana, autore di molti altri libri e non solo di cucina. Per gli amanti della buona cucina italiana, e per l’influenza che le trattorie e la cucina in sé svolsero sulla vita e l’opera di Pasolini, la lettura delle schede gastronomiche (e delle descrizioni delle trattorie) sarà senz’altro una piacevole sorpresa e, nello stesso tempo, un potente stimolo a visitare quelle trattorie e pizzerie e a gustare quei piatti presentati con tanto amore.

In conclusione: questo ponderoso volume arricchisce la bibliografia su Pasolini e, per tutti coloro che vogliono inoltrarsi nella conoscenza del grande intellettuale prematuramente e tragicamente scomparso quasi mezzo secolo fa (ma ancora vivo nella memoria collettiva), rappresenta un’utilissima e preziosa guida introduttiva alla vita, al pensiero, alle opere di un personaggio la cui assenza pesa come un macigno nel desolato odierno panorama della cultura italiana.


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