“Roma Disco Playlist 1965-1995”: intervista a Corrado Rizza

La Capitale notturna raccontata attraverso la musica e le parole 

Foto di Luciano Di Bacco

Il 16 ottobre 2023 è uscito un libro davvero unico nel suo genere: “Roma Disco Playlist 1965-1995” scritto da Corrado Rizza e Cristiano Colalizzi e pubblicato da Vololibero. Un libro che ci porta in un viaggio indietro nel tempo in una Roma notturna completamente diversa, un viaggio che ha come colonna sonora trent’anni di musica raccolta minuziosamente in questo volume. Abbiamo avuto il privilegio di intervistare uno degli autori, Corrado Rizza, dj di fama mondiale, produttore, regista e scrittore.

Ad ottobre 2023 è uscito il tuo ultimo libro “Roma Disco Playlist 1965-1995” un disco che ripercorre un trentennio di storia, ma soprattutto di musica grazie ai QR Code per ascoltare le playlist. Cosa ti ha spinto a scriverlo?

Nasce da un’idea mia e di Cristiano Coalizzi, senza il quale questo libro non si sarebbe potuto realizzare perché lui, negli ultimi 30 anni, ha raccolto le cassette dei DJ dei locali della Roma notturna. Cristiano è anche lui un DJ ed ha creato insieme a me, Massimiliano Baiocchi detto Piovra, Paolo Micioni , Massimo Buonerba ed Elisabetta Graziani il gruppo “Ventanni di Roma by Night”. 

Fino a ai primi degli anni 90 il DJ era “resident” quindi andavi in un locale e trovavi quel DJ, quella musica e quel tipo di pubblico. Cristiano nel corso degli anni ha raccolto le cassette, le ha sbobinate e scalettate le famose tracklist o playlist per usare un termine attuale. Dopo averle caricate su Soundcloud abbiamo pensato di farne un libro diventato da subito futuristico o quantomeno attuale. Abbiamo abbinato ad ogni playlist di ogni locale di ogni DJ, anche un QR Code che rimanda su Spotify. La cosa bella di questo libro è che si tratta sicuramente di un  libro da leggere, ma sicuramente anche da ascoltare.

Oltre che su carta stampata hai raccontato il mondo della dance capitolina anche come regista. Nei tuoi docufilm “Roma Caput Disco” e “Piper Generation” racconti un mondo della notte con molto romanticismo. Quanto è cambiato il mondo della dance dai primi tempi ad oggi? E soprattutto è cambiato in meglio od in peggio?

I docufilm, trasmessi prima su RAI 5 ed ora disponibili su Rai Play, sono nati in maniera non casuale perché  sono stato sempre molto attento alla memoria ed a quello che poteva essere il ricordo di un periodo che inevitabilmente non tornerà più. Avevo iniziato questi due progetti in maniera diversa raccogliendo dei ricordi. “Roma Caput Disco” è un’idea che era nata insieme a Marco Trani (famoso DJ romano) che purtroppo ci ha già lasciato ormai da 11 anni. Con lui abbiamo cominciato a raccogliere interviste e testimonianze intorno al 2010 subito dopo aver realizzato il nostro libro “I love the nightlife”. Era un libro in cui raccontavamo quegli anni in cui io ero stato inizialmente un suo fan, poi suo braccio destro e poi dei grandissimi amici grazie a questa grande passione comune. Abbiamo iniziato così a scrivere questo film io nelle vesti di regista e lui di produttore insieme a me. Purtroppo non ha trovato subito una messa in onda ed il progetto si è fermato. Ho messo questo film nel cassetto poi, con l’avvento della pandemia e dovendo stare a casa, ho deciso di riprendere il progetto. Ho girato qualche altra scena con dei droni su una Roma deserta e, con la voce di Pino Insegno, ho ridato vita a questo progetto  trovando anche finalmente  una messa in onda. 

Piper Generation nasce invece da un’altra idea ossia quella di fare un libro che si chiamasse appunto “Piper Generation” raccogliendo la storia dei primi cinque anni del Piper che è stato, per chi non lo sapesse o per chi non ha visto il film, la prima discoteca ed  il primo club d’Italia. Fu aperto nel 1965, precisamente il 17 febbraio, in via Tagliamento nel quartiere di Roma Coppedè. È stato un po’ il big bang della del divertimento della night life in cui i giovani hanno abbandonato il ballo della mattonella e hanno cominciato a ballare gli “svelti”, lo Shake e la musica beat. I capelli si sono allungati e le gonne si sono accorciate. L’idea di Giancarlo Bornigia e Alberico Crocetta di far mettere dei dischi a “Peppe” Giuseppe Farnetti, allora tecnico luci ed audio del locale, ha fatto in modo che diventasse per caso il primo DJ italiano. Dopo il  Piper tutto il resto è storia. Ho raccontato i primi anni molto intensi in cui, addirittura, al Piper sono arrivati i Pink Floyd oppure  l’avvento della pop art con un grande evento di Mario schifano e il suo gruppo Le Stelle che evocava un po’ i Velvet Underground di Warhol passando per Caterina Caselli e Patty Pravo. Tantissimi giovani ribelli, ma nello stesso tempo ancora pacifici, perché il 68 ancora doveva arrivare.

Quello del DJ non era un lavoro molto semplice, richiedeva molte doti tecniche e soprattutto un grande orecchio, credi che la tecnologia abbia un po’ tolto la magia a chi sta dietro la consolle?

È cambiato, ma sicuramente è  cambiato l’approccio della gente ed il rispetto verso questa professione.  Io ancora faccio il DJ, lo faccio in maniera diversa qui a Miami dove ormai vivo da 11 anni. Vivo e lavoro qui in situazioni più intime ed a volte capita che i ragazzini mi chiedano se ho dei brani e quando dico di no propongono di “passarmeli” con il cellulare. Per fortuna non mi succede così spesso però capita anche questo. Ho visto un po’ una parabola di questa professione che ho visto nascere indirettamente perché nasce nella metà degli anni sessanta. Io sono del ’61, ero piccolo ancora, ho attraversato gli anni ’70 come fruitore di musica ascoltando il Rock, quello impegnato dei Pink Floyd ,dei Genesis e di Bowie ad esempio. Poi alla fine di quegli anni mi sono innamorato della Disco Music, del Funk e del Soul e da lì è nata questa questa professione. Credo che ci sia ancora tanto spazio per i giovani e per la musica, ci vuole forse un po’ più di attenzione e passione verso quelle che sono le scelte musicali. Bisogna sempre cercare di capire che c’è una persona che mette la musica.

Paradossalmente oggi il DJ è una professione famosissima. Oggi tutti sanno cos’è all’epoca era difficile pure spiegare ai miei genitori cosa facessi come lavoro. Al giorno d’oggi il DJ è diventato un personaggio. Voglio usare un termine un po’ brutto quasi un clown e lo vediamo su  tanti filmati su Instagram,Tik tok e quant’altro. Io ho avuto la fortuna, lo dico senza polemica ma con gioia, di iniziare questa professione forse nel migliore dei momenti storici che ha avuto questo lavoro.

Sei fra i promotori dell’intitolazione di una strada di Roma a Marco Trani. Puoi raccontarci meglio questa iniziativa?

La strada per Marco Trani è nata effettivamente da una mia idea che, insieme a Maria Egizia Fiaschetti una giornalista del Corriere della Sera,ed ai miei amici del gruppo “Ventanni di Roma by night” abbiamo deciso di propore al sindaco ed all’assessore alla cultura Gotor. Secondo noi Marco meritava questo riconoscimento perché è stato il più grande DJ, la prima vera popstar DJ che ha avuto l’Italia. Un DJ ancora oggi irraggiungibile dal punto di vista tecnico. Oggi non è facile avere una strada per vari motivi burocratici come, ad esempio, cambiare le tessere sanitarie ed elettorali. Si tende più a dare degli spazi pubblici in maniera ufficiale. Abbiamo ottenuto anche noi per Marco un parchetto a Casal Palocco dove lui è cresciuto, ha vissuto la sua infanzia e dove ha lavorato nella prima discoteca ed ancor prima in una radio Finalmente, anche il DJ è stato riconosciuto come professione ed ha avuto il suo primo spazio pubblico dedicato, una cosa bellissima che ancora oggi fatico a credere.


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