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Storia del Commissario Mario Nardone

Il poliziotto che ha inventato la Squadra Mobile

Senza più le stellette

Le righe che seguono vogliono ricordare una figura di poliziotto che ha lasciato il segno nella Storia della Polizia di Stato, al tempo – e fino al 1981 – nota come Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza. Il 1° Aprile 2021 si sono festeggiati i 40 anni dalla data di approvazione della Legge n.121/1981, che ha determinato la trasformazione del Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza nella Polizia di Stato, rendendola moderna, “smilitarizzata” e ad ordinamento civile. Si tratta del Commissario Mario Nardone (1915-1986) e il contesto storico e sociale in cui maturarono gli eventi che lo coinvolgeranno ci vede calati nella Milano del secondo dopoguerra, ancora lacerata dalle ferite del conflitto mondiale da poco concluso. Una città che stava risollevandosi, cercando di guardare al futuro, tra mille difficoltà.

Erano anni in cui la gente si dibatteva in un mix di disperazione e speranza, di quotidiana sopravvivenza e desiderio di rinascita, con tanta voglia di gettarsi il passato alle spalle, ma anche con tanta paura per le incognite del futuro. Anni duri, difficili, dove la gente non guardava in faccia nessuno anche nelle piccole faccende quotidiane. Ai pochi fortunati benestanti, caduti più o meno in piedi, facevano da contraltare tantissime persone che vivevano ancora ammassate negli androni dei Palazzi dove si dormiva sulle scale dandosi il cambio ogni tre ore, oppure nei vagoni ferroviari, a malapena tollerati dal personale di servizio che spesso chiudeva un occhio. Cibo, poco; lavoro, ancora meno.

Ognuno si arrangiava come poteva, contando sulla solidarietà di altri sfortunati che mettevano insieme quel poco che avevano da mangiare, dividendo lo stesso tugurio. La mortalità infantile era alle stelle, le Strutture sanitarie molto scarse e ancora male in arnese: per un raffreddore correvi il rischio di lasciarci la pelle. I più fortunati erano riusciti a trovare un lavoro, magari saltuario, e un appartamento, spesso costituito da due stanze senza acqua corrente e con il cesso all’aperto, giù in cortile, da dividere con tutti. Questa era la Milano del 1946.

Mario Nardone – che passerà alla storia come il “Maigret italiano” anche se tutto, esclusa l’intelligenza investigativa, lo divideva dal personaggio inventato dallo scrittore belga Georges Simenon – era arrivato a Milano verso la fine del 1945. Si trattava di un meridionale, un napoletano estroverso che, all’inizio, faticherà ad ambientarsi nella Milano nordista.

Ma “Il terroncello” come lo chiamavano anche in famiglia, è un lottatore tenace e presto si impone per la sua intelligenza investigativa e per le innovazioni che sperimenta, propone ed attua: sarà lui, infatti, l’inventore del Numero telefonico delle emergenze, il 777, precursore del moderno 113. Sarà lui l’inventore della “Squadra Mobile”, gruppo di poliziotti ben addestrati e pronti ad intervenire velocemente nei luoghi dei crimini, affiancando gli uomini della Polizia Scientifica (un’analoga Squadra opererà in seguito a Roma al comando del Vicebrigadiere di P.S. Armando Spatafora).

Mario Nardone

                                             

Nardone si troverà presto al centro di indagini complesse: il Caso di Rina Fort, che uccise moglie e tre figli del suo amante. E poi quello del a Banda di Pierrot Le Fou, che ammazzò un tabaccaio e un suo amico. E la rapina di Via Osoppo, bottino da seicento milioni di lire. E ancora: i bravi ragazzi di Angera, che colpivano solo di Lunedì e infine, la “Banda Cavallero”, detta la “Banda della morte”, descritta come una banda di criminali comuni e che, invece, in quegli anni ancora bui del dopoguerra, almeno nelle intenzioni dei suoi componenti – oltre a Pietro  Cavallero c’errano Sante NotarnicolaDonato LopezDanilo Crepaldi e Adriano Pasqualino Rovoletto (che ad ogni inizio e fine dei numerosi Processi che li vedevano sedere sul banco degli imputati, cantavano sempre “Figli dell’Officina”) – “lottava per la rivoluzione” (qui qualche altra riga di storia di questa realtà criminale che imperversò a Milano, ma anche a Torino: http://www.instoria.it/home/banda_cavallero.htm).

A raccontare le gesta del Commissario Nardone c’era, all’epoca, una Rivista diremmo così specializzata si chiamava “Crimen”, “Settimanale di criminologia e polizia scientifica” (come recitava il sottotitolo), che in copertina e nelle sue pagine interne recava le notizie dell’attività delle Squadre Mobili della Pubblica Sicurezza.

N. 37, 13-20 Settembre 1949 di “Crimen”

La rapina di via Osoppo

Ma vediamo ora di conoscere meglio uno dei casi più famosi che hanno visto al lavoro il Commissario Nardone, quello della rapina di Via Osoppo.

Quel 27 Febbraio del 1958 era un Giovedì e quella mattina tutto in città pareva andasse nel senso monotono di sempre. Tutto fino alle 9,23 quando in Via Osoppo, zona Ovest di Milano, sette uomini assaltano un fugone portavalori e – senza sparare un colpo, ma solo facendo “ta ta ta ta” con la voce – si portano via 600 milioni di lire, una somma considerevole per l’epoca, se si considera che a quel tempo lo stipendio di un operaio era di 50mila lire al mese.

Quella rapina è ancora oggi considerata la «più sensazionale rapina che la cronaca milanese abbia mai registrato» e così la racconta, il giorno dopo, il Quotidiano cittadino più letto, il Corriere Della Sera: «La più sensazionale rapina che la cronaca milanese abbia mai registrato è stata compiuta nella nostra città alle 9.23 di ieri. In via Osoppo, a Porta Magenta. Una banda di “gangsters” con un organico complessivo che viene valutato a non meno di una decina di persone, ha assalito l’autofurgone blindato della Banca Popolare di Milano». Nel pezzo, è riportata anche la testimonianza di un salumiere che aveva assistito allo svolgersi dei fatti e che dice: «La scena si è svolta con una tale rapidità che la gente è rimasta più stupita che terrorizzata: molto, ma molto più in fretta di quelle rapine che si vedono al cinema». 

I sette componenti della banda, in realtà, non erano “gangesters”. Erano uomini quasi tutti di trent’anni o poco più che fino al giorno prima si erano arrangiati tra truffe, furti, rapine e affari loschi di vario tipo. Erano una piccola parte di quella che era (ed è) nota come la ligera: la malavita di Milano degli anni dopo la guerra. Non si sa da dove arrivi la parola: forse è un riferimento alla leggerezza delle tasche (perché quasi vuote) di rapinati e rapinanti, forse alla leggerezza degli atti, che erano quasi sempre fatti senza armi e senza sangue. La ligera aveva anche il suo gergo: polenta, per esempio, voleva dire oro; i dadi, quelli usati nelle bische, erano detti “borlótt”.

Come scrive Gabriele Gargantini su Il Post, in un pezzo rievocativo dei 60 anni trascorsi da quella rapina: “Tra i sette della rapina di via Osoppo c’era un po’ di tutto. Quello che aveva fatto in tempo a fare più cose era stato Ugo Ciappina: aveva 30 anni e aveva fatto parte della “Banda Dovunque”, chiamata così perché faceva rapine dappertutto. Era stato un partigiano comunista, nei GAP, e nel 1945 fu preso e portato a San Vittore dalle SS, ma non confessò nulla. A San Vittore ci tornò a fine anni Quaranta, quando furono arrestati i membri della Banda Dovunque, che si erano travestiti da carabinieri ed erano andati in una banca dicendo di dover fare un controllo.

Gli altri della rapina di via Osoppo erano Luciano De Maria, Arnaldo Gesmundo (che alcuni chiamavano anche “Jess il bandito”), Ferdinando Russo (che tutti chiamavano “Nando il terrone”), Arnaldo Bolognini (anche lui ex partigiano), Eros Castiglioni (che aveva fatto il pugile e si dice facesse una vita molto vivace) ed Enzo Cesaroni, che di lavoro faceva il droghiere. Alcuni avevano famiglia e figli e quasi tutti erano già stati in carcere. Russo aveva 45 anni ed era il più vecchio: anche suo figlio maggiore, che aveva 20 anni, aveva già fatto in tempo a finire in carcere. Pare che l’idea di rapinare un furgone portavalori, cosa che in Italia ancora non aveva fatto nessuno, fosse venuta a Ciappina a fine anni Quaranta, poco prima di finire in carcere. E che in carcere ne parlò con De Maria. Una volta usciti Ciappina e De Maria misero in piedi la banda. Presero anche un po’ di ispirazione dalla Francia, dove la “banda dei marsigliesi” aveva rapinato un furgone portavalori del Crédit Lyonnais, e dal cinema: nel 1955 era uscito ”La rapina del secolo”, film sulla vera storia di una rapina di cinque anni prima a Boston.”.

Mario Nardone è tra gli investigatori che il Ministro dell’Interno dell’epoca Ferdinando Tambroni (che salirà alle cronache politiche un paio di anni dopo, da Presidente del Consiglio, per i fatti del Luglio 1960 di Piazza De Ferrari, a Genova, legati al Congresso Nazionale del Movimento Sociale Italiano, prima autorizzato dal Governo in una città Medaglia D’Oro della Resistenza, autorizzato anche per “pagare” i 24 Si alla fiducia a Tambroni arrivati dai Rappresentanti del MSI in Parlamento, e poi violentemente rinviato a causa della rabbia popolare) e quelli per chi lavorava alla Questura di Milano furono giorni frenetici e notti insonni. Nardone non dava loro tregua.

Alla fine della Fiera, Nardone arriverà a sbrogliare anche quell’intricata matassa criminale. Il Commissario farà, infatti, pedinare un pregiudicato che si era comportato in modo sospetto durante i rilievi sul luogo della rapina e, tramite lui, scoprirà tutti i componenti della Banda, arrestandoli uno dopo l’altro. Il capo della Banda di Via OsoppoEnrico Cesaroni, che era riuscito a sfuggire alla cattura, rifugiandosi in Venezuela, una volta catturato ed estradato in Italia, volle stringere la mano al Commissario per congratularsi con lui. Altri tempi.

Divenuto Questore di Como, Nardone andò in pensione nel 1980 e un male incurabile se lo portò via solo sei anni dopo, all’età di 71 anni. Certo, se ce l’avesse fatta e avesse vinto anche la battaglia finale della sua vita di lottatore, quella contro la sua malattia, sarebbe stato contento di vedersi raccontato in TV dall’attore Sergio Assisi, napoletano come lui, nella Serie che la RAI gli ha dedicato nel 2012; Serie che – trasmessa sulla Rete Ammiraglia della RAI (RAI 1) – ha riscosso un importante successo di pubblico.

Ma Mario Nardone non ce l’ha fatta. Di lui ci restano, però, la sua intelligenza investigativa e le sue idee: il 777, numero delle emergenze e canale diretto tra la Polizia e i cittadini, le auto veloci, con le quali dotò la sua Squadra (al posto delle vecchie Jeep americane, ricordo e “regalo” della guerra) e l’avere creato una Squadra di Investigatori preparata, affiatata e vincente: la “Squadra Mobile”.


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