Categorie: Cronaca
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11 settembre 2001: L’America sotto attacco

L'inizio di una nuova epoca di guerre e di precarietà a livello mondiale
Impossibile da dimenticare: l’11 settembre 2001 è iniziata una nuova epoca del mondo e della storia, segnata dal rifiorire delle religioni e soprattutto dagli odi tra seguaci delle diverse religioni.
Un poderoso e rovinoso salto all’indietro nella storia dell’umanità, dopo decenni di “magnifiche sorti e progressive”; una nuova “eclisse della ragione” dopo quella registrata con la doppia tragedia delle due guerre mondiali nella prima metà del XX secolo; in secondo luogo una sanguinosa smentita ai sedicenti storici (come Francis Fukuyama) che, dopo il crollo dell’Unione Sovietica, avevano parlato di “fine della storia”, celebrando così il trionfo del capitalismo, unico sistema in grado di offrire pace e ricchezza, nonostante le necessarie e ineliminabile diseguaglianze, a tutta l’umanità.
In realtà da quell’11 settembre sono incominciate guerre ancora più sanguinose (la lunga guerra in Afghanistan, terminata due anni fa con il trionfo dei talebani, amici e alleati di Osama ben Laden; la seconda guerra del Golfo che ha scatenato nuove e più pericolose correnti che hanno fatto della religione e del terrorismo un mix micidiale, le guerre all’interno e tra nazioni formatesi dopo il collasso dell’URSS, non ultimo il conflitto tra Russia e Ucraina) ma, soprattutto, crisi imprevedibili del sistema economico-finanziario del nuovo capitalismo globalizzato e globalizzante (ricordiamoci della lunga crisi iniziata nel 2008), un sistema che, invece di creare ricchezza e benessere, ha generato povertà e intollerabili diseguaglianze tra le classi sociali e i diversi paesi, trascinando nell’incertezza e nella precarietà anche quei ceti medi che si sentivano più al sicuro.
Insomma: ciò che, dopo il crollo del muro di Berlino e la scomparsa dell’impero sovietico, sembrava essere l’inizio di un nuovo “ordine mondiale”, si è rivelato, a partire da quell’11 settembre 2001, l’inizio di una nuova epoca di caos, di conflitti interetnici e interreligiosi, di grandi migrazioni dai paesi più poveri del mondo, di imprevedibili pandemie.
Ora, di fronte a tutto ciò, risulta difficile non ripensare e non ammettere le ragioni di quei pensatori che, della storia e sulla storia, hanno elaborato una concezione “dialettica”, a partire da Machiavelli (colui che, come scrive il Foscolo, “alle genti svela di che lacrime grondi e di che sangue”), per passare ad Hobbes (la storia come “bellum omnium contra omnes” guerra di tutti contro tutti), e ad Hegel (la guerra come giustiziera della storia) e infine a Marx (la storia dell’umanità come un continuo conflitto tra classi sociali).
E, tuttavia, non possiamo rinunciare a nutrire l’utopia kantiana della “pace perpetua”, almeno come ideale regolativo, una pace che, però, può e deve basarsi sull’eliminazione delle forme più stridenti delle diseguaglianze tra gli individui, le classi, i paesi e su una razionale distribuzione della ricchezza.

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