4 giugno 1944. L’ alba della Resistenza di Sergio Gentili e Aldo Pirone

Settantacinque anni fa gli anglo-americani entravano nella capitale. Un libro ricostruisce la Resistenza romana durante i nove mesi di occupazione nazista

Nel tardo pomeriggio del 4 giugno 1944, settantacinque anni fa, le truppe anglo-americane entravano a Roma a Porta San Giovanni e Porta Maggiore, provenendo da Sud, dalle vie Casilina e Appia, mentre le ultime formazioni tedesche la stavano ancora abbandonando fuggendo verso Nord, lungo le vie consolari Cassia, Flaminia, Trionfale e Salaria. Come facilmente si potrà riscontrare guardando molti filmati dell’epoca tuttora caricati su Youtube, la popolazione accolse gli anglo-americani da liberatori, da Alleati, come venivano già chiamati dai gruppi della Resistenza. Si può infatti affermare senza temere di sfociare nella retorica, che i 271 giorni di occupazione nazzista furono tra i più bui – se non i più bui – della quasi trimillenaria storia di Roma. Nove mesi di atrocità di cui, purtroppo, si ricordano solo le più efferate, come il rastrellamento del Ghetto e degli ebrei romani, il 16 ottobre del 1943, o le Fosse Ardeatine, il 24 marzo del 1944; ma le efferatezze, anche contro donne inermi, furono numerose, se si pensa che l’ ultima strage fu compiuta dai tedeschi in fuga lo stesso 4 giugno a La Storta, dove morì uno dei leader socialisti, Bruno Buozzi..

Questo 75° anniversario sta passando sottotono, motivo per me di grande angoscia, perché con il venir meno dei testimoni si perde la memoria storica di questa città, che ne ha già troppo poca, cosa che spiega in buona parte la mancanza di una identità forte e, di conseguenza, il suo attuale scarso civismo. Una spiegazione è data dall’ aspetto demografico: negli anni della Seconda Guerra Mondiale Roma aveva un milione di abitanti, triplicati nei successivo trentennio, a causa di una immigrazione di massa proveniente soprattutto dalle regioni meridionali che ha addirittura modificato il dialetto locale, creolizzato con i dialetti meridionali e trasformato nell’attuale “borgataro” parlato nei quartieri più popolari. In più ha pesato la mancanza di politiche di integrazione e di inclusione da parte delle classi politiche capitoline e nazionali: per esempio l’assenza di adeguati trasporti pubblici, che ha allontanato le periferie e le borgate dalle zone centrali della Città, o le violazioni del Piano regolatore, da cui sono nati quartieri privi di servizi. Gli immigrati sono rimasti legati più alle rispettive radici regionali di provenienza, come dimostrano le attività delle Associazioni di immigrati su base regionale (Abbruzzesi a Roma, Pugliesi, Calabresi, ecc) o anche sub-regionale (la Famiglia Dauna, ecc). Molti degli attuali abitanti di Roma non si sentono romani (piuttosto si sentono romanisti, tifosi dell’ AS Roma) e non sentono la necessità di coltivare una identità e una memoria della città.

È dunque molto importante la pubblicazione del libro di Sergio Gentili e Aldo Pirone, Roma ’43-44. L’ alba della Resistenza, Bordeaux Edizioni, non solo perché ricostruisce la storia di quei tremendi 271 giorni, ma perché aiuta la città a riappropriarsi di una dimensione essenziale della propria memoria. Il libro infatti narra la Resistenza romana, attraverso la quale l’ intera città – anche quella parte che non partecipò attivamente ad essa – si diede una fortissima dimensione civica. Per certi versi è proprio in quei nove mesi di Resistenza – e per moltissimi di semplice resilienza – che i romani entrarono per la prima volta in una dimensione politica, dopo un ventennio che aveva soffocato la partecipazione alla vita pubblica. Il libro di Gentili e Pirone è una storia e una geografia della Resistenza: vi sono moltissimi nomi e volti, ma anche tanti luoghi, quartieri, piazze, mercati, stabilimenti, che furono teatro non solo delle azioni belliche dei partigiani romani, ma anche delle iniziative di resistenza passiva, di resilienza: a nascondere ebrei, antifascisti e addirittura soldati anglo-americani, non furono solo i conventi di suore e frati, ma anche case di singoli cittadini.

Mi sia consentita una divagazione personale, ma utile a capire l’importanza del libro. Nella mia memoria ci sono i racconti familiari sulla Resistenza a Roma: la famiglia di mia madre faceva riferimento agli ambienti cattolico popolari, che si appoggiavano a sacerdoti oratoriani di San Filippo Neri di Chiesa Nuova, mentre la famiglia di mio padre faceva riferimento alla resistenza socialista. Questi racconti, inseriti nella storia complessiva della Resistenza romana, escono dalla loro dimensione quasi magica (per es. il soldato inglese nascosto in cantina; la cattura di mio zio da parte dei fascisti e dei tedeschi e la fuga di mio padre nelle catacombe di Madonna del Riposo, ecc) per entrare in un tessuto storico, reale, civile e politico. Un’esperienza che potranno vivere quindi altri lettori.

Va detto che non si tratta di un libro agiografico o celebrativo in senso stretto, ma storico. Gentili e Pirone evidenziano non solo gli atti eroici dei partigiani, ma anche le debolezze della Resistenza, a partire da quella sul piano politico. Per esempio le divisioni tra i partiti del Cnl romano sul ruolo dei “badogliani” e dei “monarchici” nel futuro di Roma e dell’ Italia, indebolirono la stessa capacità militare della Resistenza. La spaccatura portò il presidente del Cnl, Ivanoe Bonomi, a dimettersi il 26 marzo 1944, con il Comitato che non si riunì per tutto aprile.

Le dimissioni di Bonomi – raccontano Gentili e Pirone – furono ritirate ufficialmente solo il 10 maggio, dopo tre settimane dalla formazione del primo governo di unità nazionale a Salerno. Tuttavia a Roma la paralisi politica creò una assenza di direzione politica e militare, tanto che, in quel maggio decisivo, nessun piano insurrezionale fu predisposto o abbozzato in termini precisi con tempi, obiettivi e indicazioni delle forze partigiane da impegnare. Il generale Bentivenga, dal canto suo, ebbe un atteggiamento sterile e conflittuale con i partiti antifascisti, non capendo la situazione e quale avrebbe dovuto essere il suo ruolo.(p 165).

Di conseguenza il Cnl non riuscì neppure a costituirsi come autorità cittadina per i romani e gli Alleati(p 166)

e quando il generale Clark il 5 giugno, si recò in Campidoglio per interloquire con le autorità cittadine, non trovò nessuno.

Gli americani mandarono un auto a prendere il Presidente del Cnl per portarlo dal Laterano in Campidoglio dove lo aspettavano due ufficiali, Mr Caccia e Mr. Raber, per un primo scambio di idee (p. 166).

Il libro, insomma, non è reticente sugli aspetti negativi.

Se la Resistenza – in tutte le sue forme – è stato il lato predominante e solare della città, colpisce il lato oscuro di quei mesi: il collaborazionismo dei fascisti con le truppe occupanti. Colpisce la ferocia dei fascisti – a partire dalla famosa Banda Koch – contro i loro concittadini. Quando i nazisti decisero la strage delle Fosse Ardeatine, che avrebbe portato all’uccisione di dieci italiani per ogni soldato tedesco rimasto ucciso nell’ attentato di via Rasella, il questore Caruso, con il consenso del ministro dell’Interno repubblichino Buffarini Guidi, fornì cinquanta italiani per completare il numero della mattanza. Un “prima gli italiani” ante litteram.

 

Giovanni Innamorati


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