

L’attacco della portavoce di Putin alle parole pronunciate dal Presidente della Repubblica Italiana più di una settimana prima, durante una lezione di Storia all’Università di Marsiglia, ha scosso la politica e l’opinione pubblica del Paese. La colpa attribuitagli sarebbe contenuta nel parallelo tra l’attacco sovietico all’Ucraina e l’invasione che vide Hitler responsabile della seconda guerra mondiale, prima fagocitando i Sudeti cecoslovacchi, successivamente invadendo la Polonia.
Maria Zakharova, portavoce russa, afferma inoltre che non si comprende come Mattarella non ricordi da quale parte stava la sua Unione Sovietica durante la Seconda guerra mondiale e quale contributo ha dato per sconfiggere il nazifascismo. «Non lo sapeva, non conosce bene la storia? Non credo», aggiunge Zakharova, portavoce del ministro degli esteri che – certo non si è espressa a titolo personale- attacca frontalmente il capo dello Stato italiano definendo «invenzioni blasfeme» le parole da lui pronunciate lo scorso 5 febbraio.
Riassunto l’antefatto, ho intuito e rimosso la sorpresa che mi ha colto quando, dopo diverso tempo, venerdì sera alla porta di casa mia si sono presentati Romoletto, Ubaldone e Gilberto, lasciandomi lì per lì stupefatto.
“Ulallà, ragazzi: vi vedo in forma. Com’è che non siete davanti al televisore, incantati dal Festival della canzone? Qual buon vento vi sospinge?”
“Er vento che voremmo esse aiutati da Lei, Proffe, pe’ capì mejo l’aggettivo blasfeme, usato contro Mattarella.” Ha cominciato Gilberto in tono piuttosto risentito, aggiungendo poi: “Intanto che è ‘a bblasfemia, che così a orecchio me sembra che se usa pe’ significà quarcosa de offensivo e mastrodontico, fora da le righe. O me sbajo?”
“Vedete, la blasfemia, da cui proviene l’aggettivo, si usa per sottolineare le bestemmie, soprattutto in chiave religiosa, quindi contro ciò che attiene al divino o alla divinità, pronunciate da colui che ingiuria diffamando. Vi è chiara la spiegazione?”
“Chiarissima ed efficace come ‘n corpo de remo sull’acqua der Fiume. Proffe, s’è spiecato com’un libbro stampato”. E Romoletto guardava soddisfatto gli altri due cercandone l’approvazione.
“Sì, però – ha continuato Ubaldone. il bancarellaro di libri usati- gli attori in gioco son tre: Hitler è morto e sarà stato puro blasfemo, ma mo nun c’entra. Mattarella ‘o conoscemo troppo bbene pe’ sta sicuri che blasfemie nu ne dice: omo onesto e religgioso… E allora qui, Proffe, posso usà na figura rettorica?”
“E chi te lo vieta?” Gli ho risposto.
“E allora qui è questione de sincheraglia, ossia ce casca l’asino: ché tanto, tanto Putin se crede Dio? Perché solo in sto modo po’ mannà n’annunciatrice de radio Mosca ad accusà de blasfemia er sant’omo, Presidente der nostro Paese. E mica ‘na vorta l’ha detto. Nossignore! Proffe, posso usà ‘nartra figura retorica?” Ho scosso la testa in segno di luce verde. “E’ annata ‘n giro come ‘na Pecheronza a volà de fiore ‘n fiore per offende come e più jè stato commannato. Pe’ ffortuna, cor silenzio, er nostro Presidente ha cristianamente perdonato er blasfemo de Putin che se crede Dio, come ce se credeva puro quell’artro nazizozzo che, meno male, ‘n ce sta più da tempo.”
Ho fatto uno sforzo per non ridere. Però fa piacere constatare che dopo anni faticosi spesi per la loro crescita culturale, almeno Ubaldone si è dedicato, con profitto, allo studio delle figure retoriche.
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