La burocrazia si abbatte con l’intelligenza… artificiale
Una delle dannazioni del cittadino italiano, come si sa, è la burocrazia dello Stato, in particolare il suo linguaggio burocratico o burocratese come viene detto. Nei corridoi di enti e ministeri e in quelle parole arcane sparse tra leggi, leggine, circolari, direttive, delibere, atti attuativi e via complicando, muore, di solito, ogni empito di rinnovamento democratico e di riforma sociale progressista. Il burocratese da sempre è anche l’arma più potente usata dai burocrati per difendere la propria casta. La loro “arma fine di mondo” è il cavillo burocratico, un virus minuscolo, sfuggente al normale occhio umano, contro cui non si è ancora trovato il vaccino. Esso, però, non serve solo al generone apicale di enti e ministeri, serve, da sempre, anche alla difesa del privilegio e dell’ingiustizia sociale. È vero, se ne lamentano anche lor signori ma solo quando gli viene comodo.
Ora che l’Italia pandemica deve darsi una mossa se vuole gli aiuti europei, il governo Conte ha messo tra le priorità urgenti la riforma delle riforme: la “semplificazione burocratica”. Obiettivo di ogni governo da decenni e che mai si è riusciti a realizzare. Ma, forse, questa volta a dare una mano ad abbattere il Moloch potrebbe essere l’intelligenza artificiale. A “media e dintorni”, rubrica settimanale di radioradicale, Edoardo Fleischner, docente di Comunicazione Crossmediale all’Università degli Studi di Milano, ci ha informato domenica scorsa che un algoritmo prodotto dalla OpenAI, il Gpt3, è in grado di riscrivere in linguaggio sintetico e chiaro, grammaticalmente e sintatticamente corretto, le decine di migliaia di leggi e documenti vari prodotti dalla nostra pluridecennale legificazione ordinaria e straordinaria. È dieci volte più potente del suo predecessore, il Gpt2, che era in grado già di scrivere articoli e, però, anche di inventare fake news. Il Gpt3, dice Fleischner, sa fare di conto ed è anche in grado di sfornare romanzi e poesie, sebbene il suo poetare sia un po’ triste. Il “cervello” di quest’algoritmo contiene ben 175 miliardi di parametri paragonabili un po’ alle sinapsi che innervano la nostra materia grigia addette a propagare gli impulsi nervosi. Il suo modico prezzo è di 12 milioni di dollari solo per la fase di apprendimento, ed è sostenibile, per ora, solo da grandi multinazionali e Stati sovrani. Inoltre l’algoritmo della OpenAI, come tutta la gamma delle macchine d’intelligenza artificiale, più legge e più apprende.
Però, se esso fosse utilizzato, saremmo solo a metà dell’opera, perché, semplificato il linguaggio, rimane da semplificare tutto il resto: quantità di leggi, leggine ecc., di passaggi fra ministeri, enti, uffici, dipartimenti, sezioni e via elencando. Tale percorso si erge come una “selva selvaggia e aspra e forte”, nei cui meandri si perde il comune cittadino e chiunque abbia bisogno di risolvere in tempi umani il proprio problema. Oppure, ancor peggio, la fitta vegetazione burocratica impedisce che provvedimenti governativi arrivino senza lungaggini ai destinatari in tempi utili e prima che siano deceduti. Sarebbe necessario, dunque, un Gpt4 di intelligenza artificiale in grado di deforestare la jungla burocratica, giacché quella umana non è riuscita allo scopo.
Forse il presidente Conte dovrebbe rivolgersi alla OpenAI.
Aldo Pirone
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