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Memoria della Maratona, Olimpiadi a Roma 1960

Storia di Abebe Bikila, l'uomo che vinse una corsa massacrante impersonando il riscatto del suo Paese nella terra dei "padroni"

Szell: È sicuro? Babe: È sicuro cosa? Szell: Sollievo e sofferenza: quale dei due applicherò, adesso dipende unicamente da lei. Quindi ci pensi su e mi risponda: è sicuro?” (dal Film “Il Maratoneta”, diretto da John Schlesinger nel 1976)

Volevo che il mondo sapesse che il mio Paese, l’Etiopia, ha sempre combattuto con determinazione ed eroismo.  (Abebe Bikila, maratoneta etiope, Roma, Luglio 1960)

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Quella di Roma 1960 (25 Agosto-11 Settembre) sarebbe stata la XVII Edizione dei Giochi Olimpici e per qualcuno quel numero XVII non avrebbe portato per niente bene. Qualcun altro, invece, era preoccupato diciamo così dalla situazione politica generale. Una cappa politica pesante aleggiava, infatti, sulla città e sul mondo, facendo temere che quei Giochi si potessero pronosticare tranquilli: la cosiddetta “guerra fredda”, tra il mondo occidentale e quello comunista, era iniziata già prima che la Seconda guerra mondiale avesse ufficialmente fine; Francis Gary Powers, il pilota americano di un aereo spia, l’U2, era stato da poco catturato dai russi, mentre compiva un’azione segreta di spionaggio sui cieli dell’URSS; i tedeschi giocavano ancora insieme, ma un Muro, il Muro di Berlino, in costruzione del13 Agosto 1961, li avrebbe presto divisi in due Stati, nemici per la pelle.

Nella Roma Olimpica del 1960 non accadrà nulla di tutto quello che si temeva accadesse e che altre Edizioni delle Olimpiadi ci riserveranno. Ad esempio, l’Edizione di Città del Messico del 1968, con la strage di centinaia e centinaia di studenti sulla Piazza Tlatelolco (la Piazza delle Tre Culture) dove la polizia aveva sparato ad altezza d’uomo; o come l’Edizione di Monaco 1972, in cui la Squadra olimpica israeliana era stata sterminata in un attentato palestinese. Insomma, le nubi che si addensavano sulla Capitale dell’Italia e dei Giochi Olimpici erano fitte e nere, ma per fortuna il temporale che molti osservatori avevano previsto non scoppiò e quell’Edizione delle Olimpiadi andò in porto liscia come l’olio, riservando agli sportivi molte sorprese. Una di queste fu rappresentata dalla gara della Maratona.

Quell’edizione della corsa su strada, lunga 42 chilometri e 195 metri, sarà infatti leggendaria e non solo per la location, le strade di Roma, lungo le quali si svolse, ma per una serie di altre particolarità che in questa Nota conoscerete.

 

Perché la Maratona Olimpica si chiama così

La maratona, ovvero la gara di corsa sulla distanza di 42,195 km, si chiama così perché rievoca un evento epico dell’antica Grecia: la corsa di Fidippide dalla città di Maratona all’Acropoli di Atene, per annunciare la vittoria dei greci sui persiani nel 490 a.C.

La leggenda vuole infatti che Milziade, a capo degli eserciti di Atene, incaricò Fidippide di recare la notizia della vittoria ad Atene. Fidippide percorse l’intero tragitto, circa 40 km, di corsa senza mai fermarsi. Giunto a destinazione riuscì a gridare “Nenikékamen” (“abbiamo vinto”), ma subito dopo crollò al suolo morto, stremato dallo sforzo.

L’idea di organizzare una corsa del genere venne al filologo francese Michel Bréal, amico di Pierre de Coubertin, il fondatore dei moderni Giochi Olimpici. La prima Maratona fu così introdotta nel programma dei Giochi di Atene del 1896, per una distanza di 40 km. Fu vinta dall’atleta greco Spiridon Louis, che completò il percorso in 2 ore, 58 minuti e 50 secondi.

Dunque, i Giochi Olimpici romani hanno inizio e il 10 Settembre è la volta della Maratona, vi partecipano 69 atleti di 35 Nazioni. Si tratta di una Edizione   particolare della corsa olimpica su strada. Intanto perché viene disputata per le strade di Roma in parte in notturna, partendo nel pomeriggio. poi perché – altra novità – non parte (e non arriva) in uno Stadio (a Roma l’Olimpico) come era sempre stata tradizione di quella gara olimpica.

Tra i partecipanti c’è – con il numero 11 stampato su una canotta verde (con calzoncini rossi) – un atleta etiope a tutti sconosciuto, convocato all’ultimo momento, in sostituzione dell’atleta titolare Wami Biratu, che si era infortunato durante una partita di calcio. Non è tra i favoriti di quella corsa,  il favorito per la vittoria tra i 69 partecipanti era il sovietico Sergej Popov, che aveva vinto la maratona ai Campionati Europei del 1958 e fino a quel momento deteneva il record mondiale di velocità in quella specialità su strada.

Lui si chiama Abebe Bikila e ha 28 anni. essendo nato nel 1932 nell’Etiopia centrale da un povero pastore. Per aiutare economicamente la famiglia, a circa vent’anni Abebe si trasferì ad Addis Abeba – la Capitale etiope – per arruolarsi nella Guardia Imperiale, dove diventò componente della scorta dell’Imperatore dell’Etiopia, Hailé Selassié.

Il percorso della Maratona romana Bikila lo conosce bene. Insieme al suo allenatore, lo svedese Onni Niskaen che era stato incaricato della preparazione atletica dei militari della Guardia Imperiale, lo aveva percorso diverse volte. Così quel pomeriggio era pronto per quella gara, massacrante si, ma mai come le sue corse di allenamento sugli altopiani etiopi.

 

Ma ecco la prima sorpresa di quel ragazzone etiope numero 11: decide di correre scalzo. Non era un vezzo. Lui le scarpette da corsa le aveva, ma le aveva praticamente distrutte durante gli allenamenti e quelle che gli avevano dato in sostituzione gli stavano strette e gli avevano causato delle vesciche ai piedi. Così decide che ne farà a meno e correrà a piedi nudi. D’altronde, i suoi piedi – uno strumento sicuro che conosceva bene – erano abituati a sentire la voce della terra e ad agire secondo quello che la terra sussurrava loro.

La corsa era partita nel tardo pomeriggio di quel 10 Settembre – un Sabato dal tramonto infuocato – dal Campidoglio. Poi gli atleti avevano imboccato Via dei Fori Imperiali e costeggiato i bordi del Colosseo, per raggiungere il Circo Massimo. Mentre gli atleti si infilavano per le strade di Roma, tra due ali di spettatori incuriositi e partecipi, lo Stadio Olimpico era rimasto “orfano” di quella partenza ma – con il Foro Italico che mostrava i marmi delle conquiste coloniali fasciste e l’obelisco dedicato a Mussolini, simbolo della conquista di Adis Abeba del 1936 – non sembrava sentire la mancanza di quegli atleti: lo spettacolo che dava era comunque maestoso e non si poteva non riconoscerlo.

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Roma, Palazzo Venezia, 5 Maggio 1936, dal balcone del Palazzo Mussolini annuncia la conquista dell’Etiopia, con le parole di Badoglio che era entrato nella Capitale etiope in sella ad un cavallo bianco: «Oggi 5 maggio, alle ore 16, alla testa delle truppe vittoriose, sono entrato in Addis Abebà».

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Dopo i primi dieci chilometri, Bikila stacca il resto dei concorrenti con altri tre atleti e a metà gara inizia un testa a testa con il marocchino Rhadi Ben Abdesselem (che alla fine arriverà secondo) e poi si ritrova a correre in solitaria per le strade di Roma, illuminate dalla luce della luna e da quella dei militari che lungo alcuni tratti del percorso, facevano luce con delle torce.

Grande sarà la sua emozione – come racconterà a fine gara – quando passerà davanti all’obelisco di Axum che era stato preda di guerra italiana in Etiopia   ed era stato portato a Roma e mai restituito al Paese di Bikila. Grande sarà anche la sua emozione quando passerà sotto l’Arco di Costantino e taglierà il traguardo di quella gara che aveva corso scalzo, come faceva sempre sugli altopiani del suo Paese. Il suo tempo, 2h,15” e 16’, sarà migliore di quello del mitico Emil Zatopek, l’atleta cecoslovacco fino ad allora incontrastato recordman di quella corsa su strada.

Un obelisco, la Storia e una corsa a piedi scalzi

La cosiddetta stele di Axum antica città santa dell’Impero etiopico, è un obelisco in pietra basaltica a sezione rettangolare. Dopo la conquista coloniale italiana dell’Etiopia, nel 1937 venne portato a Roma e istallata in Piazza di Porta Capena. Il monumento è alto 23,40 metri e pesa circa 150 tonnellate. Il monumento è stato restituito all’Etiopia solo nel 2005.

Bikila sarà il primo atleta africano a vincere la Maratona olimpica e sarà anche il primo atleta a bissare il successo di Roma ‘60 nell’edizione successiva delle Olimpiadi, quelle di Tokio 1964. Per quella vittoria romana, l’Imperatore etiope in persona lo promosse al grado di Caporale, della Guardia Imperiale, in più gli assegnò una casa e un Maggiolino della Volkswagen con autista privato: Bikila, infatti, non sapeva guidare.

L’atleta etiope rimase paralizzato dalla vita in giù per un incidente in auto nel 1969, ma iniziò a cimentarsi in altri sport e partecipò anche a competizioni di tiro con l’arco  e tennis da tavolo per atleti paraplegici. Bikila venne invitato come ospite alle Olimpiadi di Monaco nel 1972, e ricevette una standing ovation durante la cerimonia di inaugurazione. Morì l’anno successivo per un’emorragia cerebrale: al suo funerale parteciparono oltre 75mila persone e anche la famiglia dell’Imperatore.

Abebe Bikila, Roma ’60 e il “Maratoneta Thomas Babington Levy, detto “Babe”

All’inizio di questa Nota avete letto alcune battute tratte dal Film “Il Maratoneta”, diretto dal regista americano  John Schlesinger, nel 1975. Il film ha inizio con le immagini di Abebe Bikila che taglia il traguardo della Maratona di Roma e in sottofondo si sente il respiro affannato di Thomas Babington Levy, detto “Babe”, l’attore Dustin Hoffman, che di Bikila è, nel film, un fan sfegatato. Nel film, Hoffman si allena incessantemente per la Maratona di New York e quando torna a casa (dove ad una parete della sua stanza ha appeso un poster 70X100 di Bikila) infila nel video-registratore una cassetta della Maratona di Roma ‘60, per rivedere la corsa del suo idolo del quale sogna di emulare le gesta olimpiche.

Purtroppo per lui, le cose non andranno come sperava perché nel tempo del film incrocerà un mucchio di pendagli da forca, compreso l’ex nazista Szell, che gli darà una dimostrazione di cosa può fare  quando non si risponde alle sue domande come lui vorrebbe.

Alla fine, però, il nostro “Babe” ne uscirà vincitore (ma non della Maratona di New York) e forse un po’ sarà stato anche merito di Abebe Biikila, del suo coraggio e della sua incrollabile fiducia nel destino e nella vittoria che lo aveva portato a vincerà quella mitica Maratona romana. Film, comunque da vedere o ri-vedere.


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Un commento su “Memoria della Maratona, Olimpiadi a Roma 1960

  1. Che bello pensare a un africano che corre e vince per le strade di Roma, metaforicamente pisciando sulle presunte e ridicole conquiste del fascismo

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