

È il 30 gennaio, un pomeriggio come tanti nella periferia di Tor Vergata, quando un uomo si presenta al pronto soccorso con una ferita da arma da fuoco al torace.
È pallido, spaventato, ma ancora in grado di parlare. Ai poliziotti accorsi racconta di essere stato vittima di un tentativo di rapina. Una versione che, sin da subito, non convince del tutto.
Dietro quel proiettile, infatti, si nasconde una storia ben più oscura. Una trama fatta di spaccio di droga, regolamenti di conti e un piano premeditato che sfocia in un agguato armato. Un piano che, però, non è andato come previsto.
Quel giorno, la vittima è al volante di una Fiat Panda. Non sa di essere seguita, o forse lo intuisce. Dietro di lui c’è un’utilitaria, a bordo due uomini. Uno di loro – come ricostruiranno in seguito gli investigatori – è un 29enne di origini tunisine. Non è lì per caso: ha un obiettivo preciso e un disegno criminale da portare a termine.
Per diversi chilometri la caccia prosegue silenziosa, finché l’uomo alla guida della Panda, probabilmente sentendo il fiato sul collo, decide di forzare la mano: con una manovra improvvisa costringe i suoi inseguitori a superarlo. È una mossa disperata, che però gli salva la vita.
A quel punto, la tensione esplode. Parte un colpo di pistola: lo centra alle spalle, vicino al torace. Ma l’uomo non si ferma. Esce dall’auto, sanguinante, mentre altri due colpi sibilano nell’aria, mancandolo di poco.
Barcollando, riesce a trovare rifugio in un bar poco distante. Dentro, però, cala il silenzio. Chi ha visto, volta lo sguardo altrove. Nessuno chiama i soccorsi, nessuno vuole immischiarsi.
Quello che sembra un episodio isolato di violenza urbana si rivela presto il tassello di un mosaico ben più complesso. Le indagini, affidate alla Squadra Mobile di Roma e coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia, scavano a fondo e portano alla luce un network criminale che ha come fulcro lo spaccio di droga.
Attraverso l’analisi minuziosa delle telecamere di sorveglianza, gli investigatori ricostruiscono la scena, fotogramma dopo fotogramma. Le immagini non mentono: il 29enne è uno degli uomini a bordo dell’auto inseguitrice.
È lui a premere il grilletto. L’obiettivo? Non una semplice rapina, ma un vero e proprio sequestro di persona, probabilmente per risolvere una questione legata al traffico di stupefacenti.
La conferma arriva con il fermo di indiziato di delitto, eseguito nei giorni successivi. Per il 29enne le accuse sono pesantissime: tentato omicidio e sequestro di persona, entrambi aggravati dal metodo mafioso.
Mentre il 29enne è già dietro le sbarre, l’indagine non si ferma. Gli inquirenti sono sulle tracce del suo complice – che quella sera era con lui – e stanno cercando di risalire ai mandanti dell’agguato.
L’impressione è che ci sia molto di più dietro quel colpo di pistola: un regolamento di conti all’interno di un sistema che usa la violenza come strumento di potere.
E resta il silenzio. Quello che ha avvolto il bar di Tor Vergata, dove nessuno ha parlato. Quello che pesa sulle strade di periferia, dove si conoscono i volti e i nomi, ma pochi hanno il coraggio di denunciarli.
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