A Nemi continua la lunga marcia delle donne

Commissionata per il 25 novembre 2021, un’opera dell’artista Marco Manzo contro la violenza sulle donne
Carla Guidi - 30 Novembre 2021

Da sinistra Marco Manzo, Giorgio Di Genova ed Alberto Bertucci

In occasione del 25 novembre, Giornata Mondiale per dire basta alla violenza sulle donne, il Comune di Nemi ha inaugurato, in piazza del Crocifisso, un’opera-monumento dell’artista tatuatore Marco Manzo, alla presenza del Sindaco di Nemi, Alberto Bertucci e dello Storico dell’arte Giorgio Di Genova, i rappresentanti della Proloco, la stampa ed un numeroso pubblico.

Questo artista, già autore dell’opera bronzea “La mano dei desideri”, dedicata agli innamorati e collocata nel centro storico del Comune di Nemi (in un angolo panoramico che si affaccia sul lago) ha progettato questa seconda scultura raffigurando due calzature femminili in bronzo. Una rappresenta il passo sicuro della donna verso il futuro, libera ed emancipata, decorata con quei motivi ornamentali che hanno reso celebre l’autore nel mondo come simbolo di eleganza femminile; l’altra calzatura invece ha i lacci spezzati, un tragico inciampo nella sopraffazione e nella violenza dei suoi persecutori. Titolo significativo dell’opera è “NO”, semplice e definitivo.

La scultura “NO” dell’artista Marco Manzo

Ha partecipato alla performance artistica di presentazione una modella tatuata dall’artista, l’attrice Melinda, che ha letto anche parte del “Manifesto del tatuaggio orna/mentale” del quale Marco Manzo è autore, impostato su di una visione della donna in netto contrasto con la condizione che la vede così spesso vittima di soprusi e sopraffazioni. Da sottolineare infatti che il tatuaggio ornamentale di Manzo vuole andare oltre (sia nelle intenzioni che nelle rappresentazioni) alla concezione del tatuaggio come marchio e sub/cultura, essendo invece concettualmente ormai simbolo del raggiungimento della libertà di integrare l’arte con il corpo, sia come espressione della propria personalità, sia come ornamento identitario di valorizzazione del Sé, opponendosi quindi alla concezione della donna come oggetto e feticcio della società dei consumi.

La modella Melinda con lo storico dell’arte Giorgio Di Genova (foto di Valter Sambucini)

L’artista romano ha infatti molto a cuore questo tema ed ha espresso la sua posizione anche alla 58.ma Biennale d’arte di Venezia, all’interno del Padiglione Guatemala, dove ha esposto un’istallazione monumentaleIl muro del silenzio”, opera di denuncia della violenza sulle donne ed il femminicidio, in Sudamerica e nel Mondo. Tornando alle calzature di Nemi, è evidente l’allusione al simbolo ideato nel 2009 dall’artista messicana Elina Chauvet con le sue “Zapatos Rojas”; inoltre le ha collocate di fronte ad una panchina rossa, con questo colore il Comune di Nemi ha voluto rappresentare infatti uno spazio idealmente occupato dalle donne, cadute vittime di violenza, sottolineando che in questo contesto i tatuaggi rappresentano anche le cicatrici dell’anima, verso il superamento del dramma, convertendolo in solidarietà e speranza.https://comunedinemi.rm.it

Riassumiamo a memoria l’intervento del prof. Giorgio Di Genova, storico dell’arte e scrittore che, dopo aver sottoscritto le riflessioni dell’artista sulla sua opera, ha aggiunto:

Dar Ciriola

Marco Manzo

– “Premesso che ciò che più mi addolora sono le morti sul lavoro e le violenze sulle donne, ricordo che quest’ultimo argomento è stato uno dei temi principali della mostra da me curata nel 2017 a Bomarzo, Mostri e mostruosità di oggi. Vorrei citare inoltre lo scrittore di colore Ta-Nehisi Coates che, nel libro Tra me e il mondo, scritto in forma di lettera al figlio, stigmatizza il razzismo di “coloro che si credono bianchi”, paragonando tale definizione ai violenti contro le donne, come coloro che “si credono veri uomini”. Costoro in nome di un proclamato “amore” che si esplica solo con la distruzione e la violenza, deturpano con l’acido il volto dell’amata, o addirittura cercano di darle fuoco ancorché viva, oppure addirittura la uccidono. Ovviamente, con tale concezione dell’amore, dimostrano solo la loro inferiorità sub culturale, il loro egoismo e la loro impotenza di uomini di fronte all’alterità della donna che si oppone alla loro costrizione.”-

Se l’arte aiuta a metabolizzare il lutto attraverso i simboli e questi simboli accusano un disagio sociale a tinte cupe, ci servono però a prendere coscienza di un fenomeno dalle proporzioni enormi, per la maggior parte sommerso. Nella risoluzione 54/134 del 17 dicembre 1999 infatti viene precisato che si intende per violenza contro le donne – qualsiasi atto di violenza di genere che si traduca o possa provocare danni o sofferenze fisiche, sessuali o psicologiche alle donne, comprese le minacce di tali atti, la coercizione o privazione arbitraria della libertà, sia che avvengano nella vita pubblica che in quella privata mentre l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha designato il 25 novembre come data sensibile ed ha invitato i governi, le organizzazioni internazionali, le ONG a programmare in quel giorno, attività volte a sensibilizzare l’opinione pubblica. Questa data segna anche l’inizio dei “16 giorni di attivismo contro la violenza di genere” che precedono la Giornata mondiale dei diritti umani del 10 dicembre di ogni anno, promossi nel 1991 dal Center for Women’s Global Leadership (CWGL) e sostenuti dalle Nazioni Unite, per ribadire che la violenza contro le donne è una violazione dei diritti umani.

Anche se la violenza sulle donne è ritenuta ancora una manifestazione delle relazioni di potere storicamente ineguali fra i sessi, pensiamo che la violenza umili anche l’uomo che, fin da bambino, è ancora “educato” socialmente a dominare e non indulgere ai propri sentimenti teneri, come scrisse tra l’altro, in un famoso saggio, Elena Gianini Belotti in Dalla parte delle bambine. L’influenza dei condizionamenti sociali nella formazione del ruolo femminile nei primi anni di vita – (Feltrinelli 1976). Inoltre vorrei ricordare quando (non molto tempo fa, sul finire del 1965) la notizia che fece più clamore in tutta Italia fu la ribellione di Franca Viola, figlia di una coppia di coltivatori diretti nel Sud. Lei aveva deciso di rompere con il suo fidanzato, ma lui aveva scatenato una serie di violente minacce e prepotenze contro la famiglia, infine la rapì e la violentò, tenendola segregata per otto giorni. La legislazione italiana, in particolare l’articolo 544 del codice penale (Codice Rocco) considerava la possibilità di estinguere il reato di violenza carnale (a donna anche minorenne) con il cosiddetto matrimonio riparatore. La violenza sessuale infatti era considerata un reato di oltraggio alla morale e non reato contro la persona. Franca Viola con la sua denuncia, divenne in Sicilia un simbolo di libertà e dignità per tutte quelle donne che erano state costrette a subire un simile trattamento ed il regista Damiano Damiani nel 1970, realizzò un film su questa vicenda.


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