

Un film nel film, per ricordare quanto il cinema – e l’arte in genere – possa fare per la società e quanto esso potrebbe essere anche azione politica, se la Politica stessa smettesse il chiacchiericcio sciocco e inutile, buono solo a mascherare giochetti di corridoio e si limitasse a un reale e adulto confronto di idee, nel tentativo – anche compromesso – per realizzarle.
È certamente un programma ambizioso questo di Nanni Moretti che dirige mescolando atmosfere felliniane a momenti intimi e lirici, a “lezioni” sull’etica e sulla morale: ma le prime, come sempre coinvolgono attori e spettatori in un gioco onirico di specchi; le “lezioni” sono vissute come perdita di tempo, antieconomiche, annoiano fino al sonno e spesso non incidono né sul cinema, e neanche sul comportamento e ancor prima sulla riflessione sociale.
Paradigmatica è la storia personale del regista Giovanni (Nanni Moretti) e della moglie Paola (Margherita Buy), storia lunga e difficile per lei, rassicurante per lui; che induce non tanto a un’inversione di rotta nel rapporto, quanto al ripensamento di Giovanni sulla sceneggiatura e al conseguente cambiamento del messaggio che essa sottende. Divenendo cosciente dei suoi limiti e della fissità nei rapporti affettivi, sciolto da un ballo catartico e condiviso con la troupe, sulle note di “Voglio vederti danzare” di Battiato, il regista dà forza alla ribellione contro un partito comunista nelle sue forme più rigide e massificanti per l’individuo, come quello socialista sovietico degli anni cinquanta.
Molto bella la colonna sonora, che ripropone veri e propri classici della musica leggera – Tenco, Battiato, De André, insieme a Noemi – che hanno segnato un’epoca e che nel film sottolineano o semplicemente accompagnano il senso e l’atmosfera delle scene e il canto degli stessi attori, in un “presente trasversale” fortemente simbolico.
Il cambiamento della scena finale, che inizialmente sarebbe dovuta essere un malinconico e impotente suicidio del comunista Ennio (Silvio Orlando) diviene, per la decisione di Togliatti di prendere le distanze dall’Unione Sovietica per i fatti d’Ungheria del 1956, una vittoriosa “sfilata” sorridente e pacifica di tutto il popolo comunista, proprio là dove – via dei Fori Imperiali – il 2 Giugno sfilano soldati e armi per ribadire l’intento difensivo e di sostegno alle popolazioni in difficoltà; anche se il messaggio, nella sua fattualità, non è poi così chiaro.
Alla manifestazione della folla che marcia verso l’avvenire, sventolando bandiere rosse e sorrisi, partecipano anche attori che non recitano nel film: ancora una volta Nanni Moretti vuole evidenziare l’importanza della coesione dell’arte e del tessuto sociale, a difesa dei diritti e della pace.
Non è secondario neanche l’intervento di personalità come Augias, Renzo Piano, e altri a supportare le apparenti “farneticazioni” del regista del film nel film; se pur paradossali, essi sottolineano aspetti ai quali stiamo perdendo l’abitudine: la riflessione, l’ascolto, la necessità di rispettare i pensieri dell’altro senza stroncarli con un frettoloso giudizio.
Per finire il titolo: ritorno alle origini di un partito, quello comunista, anche in altri film di Moretti oggetto di discussione; origini non certo riproponibili oggi, dato il terremoto che ha investito il partito e la stessa società di questi ultimi settant’anni. Bensì un “ritorno al futuro”, verso il domani preparato nel tempo presente e non lasciato alla sola speranza e alla buona volontà, mentre la logica economica e soprattutto quella finanziaria “triturano” le persone, i diritti, i rapporti sociali del nostro e degli altri Paesi.
“Il sol dell’avvenire” di Nanni Moretti. Con Nanni Moretti, Margherita Buy, Silvio Orlando, Barbora Bobulova, Flavio Furno.
Maurizio Rossi
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