“Dante e l’arte medica” del dott. Giorgio Cosmacini 

Celebrando l’altissimo poeta, morto in esilio nel 1321, nel libro si esamina il suo rapporto con la medicina della sua epoca
Carla Guidi - 9 Novembre 2021

Giorgio Cosmacini, medico, filosofo, saggista e docente universitario, è uno tra i più autorevoli storici della medicina. Quest’anno, nel settecentenario della morte del divino poeta ha pubblicato Dante e l’arte medica, creando una “ricognizione” del testo della Divina Commedia con riferimenti al campo medico-salitario.

Si dice spesso, seguendo le osservazioni di Friedrich Engels, che Dante, l’ultimo poeta medievale, il grande campione di un Medioevo in declino, è al contempo il primo poeta della modernità, riferendoci con questo, non solo alla lingua, ma al suo modo di usare i vari aspetti della scienza e della cultura del suo tempo, inserendoli in un contesto omogeneo di insegnamento morale. Non per niente egli è iscritto nominalmente, alla Corporazione dei medici e degli speziali, non gli è estraneo quindi parlare diffusamente di questi argomenti nelle tre cantiche della Divina Commedia. https://www.libreriauniversitaria.it/dante-arte-medica-cosmacini-giorgio/libro/9788886591508

Il libro, 150 pagine ricche di immagini dell’epoca ed informazioni, si compone di tre parti. La prima commenta le parti della Commedia in cui Dante parla della fisiologia del corpo umano e delle sue malattie; la seconda tratta di Dante e la medicina del suo tempo; la terza ci parla di Petrarca, Boccaccio e la peste del Trecento. Dante non la vide né la subì, essendo scomparso ventisette anni prima, ma questa lasciò una traccia duratura nella memoria dei due grandi e grandi estimatori dell’opera dantesca. Il libro si conclude infatti con le loro testimonianze.

Quando Dante muore, la sua notorietà è già molto alta ed è ormai prossima a salire alle stelle diventando fama imperitura. Suoi massimi estimatori sono Petrarca e Boccaccio (…) Per i due grandi “principi delle lettere”, che con Dante compongono la triade d’oro della letteratura italiana, il culto dantesco si intreccia al triennio nero della immane moria che a metà Trecento squassa, spopola e sbigottisce l’Europa- (pag 111)

Tra gli altri esempi, nel Canto XXIX dell’Inferno, descrive la patologia della scabbia nei falsari di metalli, ma anche a scopo descrittivo del proprio stato d’animo di paura, indica il tremore, come quello di un malato di febbre malarica, da cui è assalito Dante stesso nel Canto XVII, infine l’autore accenna ai tema di zoologia attraverso la cultura del poeta sui “bestiari” e gli “erbari”. Significativa la citazione di due piaghe infernali: tisi e paludismo, citate nel libro a pag 40:

Tubercolosi e malaria sono malattie infettiva legate ambedue all’ambiente naturale e sociale, l’una prevalentemente urbana, l’altra prevalentemente rurale. La prima, dopo secoli di latenza, è esplosa nel XIX secolo per i contraccolpi patogeni dello sviluppo e del progresso: l’alfabetizzazione che ha affollato le aule scolastiche e l’industrializzazione che ha affollato le fabbriche hanno amplificato a dismisura i contagi. La seconda è stata una endemia millenaria del suolo italiano, contribuendo a modellarne il paesaggio (insediamento cacuminale di borghi e città) …

Ancora più interessante la seconda parte del libro, riguardante “Dante e la medicina del suo tempo”, in estrema sintesi quella che viene chiamata La triade suprema:

Ippocrate di Kos (460-377 a. C.) Galeno di Pergamo (129-201 d.C.) e Avicenna di Afshaan presso Bukhara (980-1037 d.C.) compongono la suprema triade del sapere medico greco-romano e altomedioevale vigente incontrastato al tempo di Dante.

Dar Ciriola

con osservazioni e sottolineature non scontate, che rimandiamo alla lettura diretta, non mancando di sottolineare, riguardo il rapporto oriente/occidente, quanto segue:

(…) La religione coranica, inoltre, è una guida di comportamenti anche e soprattutto igienico-sanitari, con un interesse per la salute dimostrato dal fatto che l’uomo medievale in Oriente, diversamente dall’uomo coevo d’Occidente, lava sovente se stesso e la propria biancheria. «Mille année sans un bain – un millennio senza un bagno» dirà lo storico Jules Michelet (1798-1874) per stigmatizzare la sanità nei secoli del Medioevo cristiano, attenta più alla salute delle anime che a quella dei corpi (pag 67)

 

Giorgio Cosmacini (Milano, 10 febbraio 1931) è medico, filosofo, saggista, storico ed accademico italiano. Docente universitario e socio onorario della Società italiana di igiene e sanità pubblica e della Società italiana di antropologia, attualmente insegna Storia della medicina presso la Facoltà di Filosofia e quella di Medicina e Chirurgia dell’Università Vita-Salute San Raffaele e presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Milano. È considerato il maggiore storico della medicina italiana ed è autore di numerose opere d’argomento storico-medico e filosofico-medico. È collaboratore della pagina culturale del Corriere della Sera. Il 14 gennaio 2016 il sindaco di Milano Giuliano Pisapia gli ha conferito l’Ambrogino d’oro.

Tra i numerosi saggi dell’autore per Raffaello Cortina editore, segnaliamo Ciarlataneria e medicina (1998), Il mestiere di medico (2000), La scomparsa del dottore. Storia e cronaca di un’estinzione (2013). Diagnosi sociale  e premessa di una prognosi che anticipa, auspica un recupero dei valori di cui quella figura era depositaria. Per accedere all’intervista realizzata per la Fondazione Corriere della Sera:

https://www.facebook.com/watch/?v=555885465061709

La foto dell’autore è tratta dal sito: https://video.corriere.it/noi-medicina-intervista-medico-divulgatore-scientifico-giorgio-cosmacini/5c277cfc-9036-11ea-b981-878bbbd902eb

 


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