Halloween e il mondo pagano

Davvero desideriamo il tempo degli antichi Romani?

È triste il paganesimo, esalta i piaceri del mondo, ma con la malinconia del «finché dura, perché ci aspetta un unico eterno immondezzaio, dove saremo come ombre». Il corpo è perso per sempre e l’anima impedita di nuova conoscenza. Le cerimonie sacre si svolgono al buio, il loro obiettivo è la perdita di controllo in un’animalità bestiale: orge e ubriachezze per dimenticare la propria dolorante umanità.

La nostra umanità ha un bisogno profondo di futuro eterno, di conoscenza piena, di perennità di affetti e amori, ma sente solo l’angoscia del vuoto da colmare con una vita frenetica nel lavoro e nei divertimenti oppure nel filosofeggiare sull’Esserci (il Dasein studiato a scuola): coloro che non riconoscono Dio, dice la Bibbia, «invocano su di sé la morte; credendola amica, si consumano per essa e con essa fanno alleanza, perché sono degni di appartenerle» (Sapienza 1,16).

Chi, come svago, si affolla a vedere dei gladiatori uccidersi tra loro deve aver un cumulo di rabbia perversa enorme nel cuore: la morte ha invaso la sua vita fino all’assurdo di andare ogni primavera a chiedere vita e ricchezza per mezzo della morte di un altro: il sacrificio umano. 

Anche i simpatici celti che conosciamo dai fumetti di Asterix non sono meno crudeli dei Romani: festeggiano per una settimana Samhain alla fine dell’estate, quando credono che le porte del regno dei morti si aprano al passaggio di defunti e demoni.

I druidi distribuiscono amuleti contro gli spiriti maligni fatti di candele di grasso animale dentro una rapa intagliata a forma di volto, raccolgono offerte e maledicono chi si rifiuta (da cui il nostro «dolcetto o scherzetto»). I rituali magici e gli incantesimi raggiungono il culmine con il sacrificio di uomini e animali come omaggio al dio della fertilità, Crom Cruach. 

Ne eravamo usciti da tutto questo. Il cristianesimo aveva acceso la luce. I riti sono ora al mattino, nella luce, per riconoscerci, accoglierci, sentirci al sicuro col nostro vicino. È un Dio inaspettato dalla storia del mondo e il suo sacrifico è l’unico a lui gradito, per mostrarci la perversione dell’uomo, cieco a tal punto da crocifiggere ad un legno il suo stesso creatore. È un Dio diverso, che non ha bisogno di violenza per affermare il suo potere divino.

Il cristianesimo libera le feste dall’angoscia e dall’eccesso demoniaco, dona speranza di vita piena dopo la morte, ripristina il legame dei vivi con i morti attraverso devozioni e preghiere. Nessuno più gioisce della morte degli altri nei giorni di festa, ma ogni domenica si ristora dalle fatiche quotidiane con riti di comunione tra Dio e gli uomini, e degli uomini tra loro. Com’è possibile desiderare di nuovo il mondo pagano?

La festa di fine dell’estate diventa Ognissanti, in cui si guarda alla gloria di quel paradiso in cui già vivono coloro che hanno oltrepassato le porte della morte. È una festa di luce, l’inizio della nuova creazione, quando i corpi risorgeranno luminosi e una beatitudine inimmaginabile inonderà per sempre gli esseri umani.

Chi è morto è vivo – insegnano i cristiani – e ora vive la vita di Dio, sempre vicino a coloro che ama perché siano un giorno anch’essi partecipi della stessa sua gioia. Samhain in Irlanda cambia nome, è festa solenne e la notte precedente si benedicono i fuochi nei campi, è la vigilia di Tutti I Santi, ovvero All Hallows’ Eve, da cui, in seguito, Halloween. È la festa della speranza, del ringraziamento dei doni di Dio. Com’è possibile desiderare di meglio?

Ci portiamo però dentro un tarlo: destinati alla vita con Dio, ne desideriamo le gioie, ma senza la fatica di amare come invece Dio ama. Non si ha beatitudine senza fatica d’amore, senza l’umiltà di far spazio al proprio vicino: la sola gioia di Dio è amare, ed è questo che lo rende beato. Essere Dio senza esser come Dio: è assurdo, e non ottenendolo ne diamo la colpa a Dio stesso, come se non ci volesse felici. Lo immaginiamo geloso, ed è per questo che alcuni, separatisi dalla Chiesa cattolica, non festeggiano i santi per non togliere gloria all’unico Dio, come se un padre non trovasse il suo vanto nei propri figli più buoni. La Bibbia lo mostra invece diverso, un Dio orgoglioso dei propri amici: «Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe!». 

Quando nel XVII secolo gli irlandesi arrivano nel Nuovo Mondo, non potendo più festeggiare quel Dio che dà loro la vita, rispolverano Crom Cruach, che dava la morte ai propri seguaci: chi esalta l’uomo rinnegando Dio – gli atei da poco comparsi – si ritrova alla fine alleato con chi, per esaltare Dio, ha rinnegato la gloria dell’uomo – i protestanti anglosassoni – e insieme si inchinano, alla fine, al dio-denaro.

Il neocapitalismo rampante dell’inizio del Novecento si appropria della festa e ne fa una macchina per soldi. L’ultimo affondo è il film Halloween – La notte delle streghe di John Carpenter, che nel 1978 lega la festa agli omicidi di un serial killer e lancia la moda nel mondo.

Tutti giocano a travestirsi da morti ammazzati, streghe, zombie e fantasmi, divertendosi a minacciare piccole vendette a chi non dà i dolcetti; non ci si accorge della discesa morale che si percorre alla cieca. Nel mondo più di un milione di giovani si definisce Wicca, ovvero seguace di riti pagani, moderne streghe e moderni stregoni, e danzano nei boschi praticando magia. Di «che male c’è» in «che male c’è» si passa al «sono solo ragazzi» per finire con il solito «non ce lo saremmo mia potuto aspettare».

HALLOWEEN, HALLOWEEN US 1978 Date 1978. Photo by: Mary Evans/COMPASS INTERNATIONAL PICTURES/FALCON INTERNATIONAL PRODUC/Ronald Grant/Everett Collection(10318256)

È l’ironia della storia: i paesi che hanno rinnegato la fede per sentirsi liberi, per l’arte sganciata dal sacro e per la scienza atea moderna hanno generato orde di schiavi che esaltano la bruttezza e vivono di magie e superstizioni. Il neopaganesimo è peggiore del suo antenato: non ignora il Dio cristiano, lo odia; non è triste, è colmo di rabbia; conosce il bene, ma lo rifiuta con consapevole scelta blasfema. È quella che chiamano la «generazione triste».

Halloween non è la malattia del mondo, la violenza non nasce di certo da questo; è un sintomo, ma indica la nostra malattia: se festeggiamo violenza e morte, sono esse che portiamo nel cuore e, cercando di esorcizzarle, le riconosciamo per nostre, come se fossero parte ineliminabile della nostra natura. Abbiamo l’immagine divina per natura, e invece brindiamo incoscienti alla violenza degli idoli pagani.

Non è solo un altro carnevale: non puoi scegliere la tua maschera, non ti fa ridere sereno, cerca lo spavento e ti fa recitare il ruolo di vittima o carnefice. Non basta l’innocenza delle tue intenzioni quando ciò che bevi è avvelenato. E noi passiamo anche il bicchiere ai bambini. 

Davvero desideriamo il tempo degli antichi Romani? Eravamo usciti dal buio e ci stiamo tornando con ilare noncuranza. Ci meravigliamo della rabbia e crudeltà che invadono il nostro mondo, ma brindiamo contenti come se non ci riguardasse; andiamo a ballare imbruttiti, e per non farci definire bigotti o fuori del mondo, sorridiamo inebetiti e diciamo: «che male c’è?». Tutto qui ciò che facciamo? Davvero tu credi non ci sia nulla di male?

Buona Festa dei Santi!


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