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In vista della Pasqua

L’intelligenza artificiale, il poker e Padre Pio

Cos’hanno in comune i tatuaggi, il buddismo, la pornografia e l’intelligenza artificiale, insieme all’eutanasia, alla dispersione delle ceneri e alle convivenze? E perché si oppongono a cose così disparate come la Croce, le cure palliative, l’Eucaristia, il sorriso e la meditazione cristiana, come anche agli abbracci, al dolore, al poker, al solletico, alle statue dei santi e persino al pranzo domenicale e a Padre Pio?

Vi suggerisco di lasciar perdere la lettura di ciò che segue e rifletterci da soli. Naturalmente, sia nel primo sia nel secondo elenco avrei potuto aggiungere tante altre cose, ma queste sono abbastanza significative.

Per coloro che conoscono il catechismo cattolico aggiungo un’ultima domanda: che cosa ci invidiano gli angeli e di più disprezzano di noi i demoni?

Un certo Platone, tanti secoli fa, diceva che l’uomo è composto di anima e di corpo. L’anima – a sentir lui – era la nostra parte nobile, una “scintilla divina” secondo alcuni suoi seguaci; il corpo ne era come la prigione, impedendole di unirsi a Dio, o all’universo, o a qualsiasi cosa ci sia dopo la nostra morte.

Nella Bibbia vengono riportati diversi racconti della creazione (almeno tre, se li ho contati bene), tutti diversi, e in due di questi si racconta che l’uomo è fatto di un corpo animale, oppure è fatto di terra (a seconda del racconto) e di un alito di Dio in noi, o una immagine divina impressa in noi (a seconda del racconto). Il corpo non è una prigione, anzi, in alcune parti si parla di una sua risurrezione alla fine dei tempi.

Il buddismo condivide con Platone il disprezzo di tutto ciò che è corporeo. Lo scopo della vita è liberarsi di ogni passione, di ogni legame, diventare insensibili a ogni affetto o sofferenza. Provate a trasportare queste teorie nella pragmatica America del Nord e otterrete una Scientology che mira a farci diventare dei super-uomini liberando le nostre energie psichiche e spirituali. I monaci buddisti per lo più dimostrano un reale distacco dai beni di questa terra, Scientology – di certo per maggiore generosità – si fa pagare profumatamente per assumersi il pesante fardello della ricchezza. Quello però che ci colpisce è che il nostro corpo risulti ininfluente sulla nostra personalità. Non siamo quindi, secondo loro, legati al corpo, ma tutto ciò che la nostra mente desidera lo può realizzare nonostante il corpo. Oggigiorno al nostro corpo non è riconosciuto alcun rispetto, visto che neanche serve per farci conoscere la realtà. Eh sì, perché i nostri sensi spesso ci ingannano e quindi, alla fine, siamo solo ciò che sentiamo di essere o desideriamo essere. Il corpo non comunica una nostra identità, non ci rappresenta, a meno che non vi dipingiamo o ci scriviamo sopra con i tatuaggi: ciò che non comunica più nulla di per sé lo si rende capace di comunicare in modo diverso.

Il corpo è invece il mezzo per ottenere il piacere sessuale, che è più un’attività ginnica che una comunicazione di affetto: avete notato su internet il calcolo delle calorie di ogni attività sessuale? Se poi si vuole una storia d’amore romantico, si verifica prima di tutto la compatibilità sessuale, poi si prova la convivenza e alla fine, se mai, ci si sposa. Dove un tempo il rapporto sessuale coronava un cammino di conoscenza reciproca, ora la sua buona riuscita è la prima condizione per scambiarsi nomi e numeri di telefono. La pornografia è ora una maestra di vita e le sue star hanno programmi televisivi a loro dedicati. Le nostre scelte sessuali sono frutto di una scelta individuale aperta a ogni possibilità, senza tener conto della nostra realtà corporea: è questa la differenza tra identità sessuale e gender. Ogni desiderio deve trovare esaudimento anche nel corpo, che gli si addica o no.

E se il corpo fosse invece fonte di dolore? Il diritto alla morte è una necessità vitale (scusate il gioco di parole): la «dolce-morte» (l’eutanasia) deve essere garantita a tutti, salvo ticket ospedaliero. Se l’anima non esiste – come tutti sanno, salvo i creduloni – il corpo è solo una carcassa di cui disfarsi spargendone le ceneri nella natura, nel desiderio inconfessato forse di essere, almeno in questo modo, ancora parte di questo mondo. Persino l’intelligenza artificiale non si preoccupa di garantire la cura del nostro corpo, troppo limitato, troppo “umano” per le nostre aspirazioni: ci darà invece la permanenza della nostra mente, dei nostri ricordi, delle esperienze fatte, riversando tutto in un computer quantistico composto di parti viventi.

coccole

La vita vera è però molto diversa. Quando eravamo bambini abbiamo conosciuto il mondo attraverso il corpo e l’affetto dei nostri genitori lo abbiamo sentito riversarsi su di noi proprio attraverso la cura che essi avevano del nostro corpo. Un bimbo ti guarda fisso negli occhi, ti sorride e attraverso il sorriso comunica la sua gioia di ritrovarti. I baci, gli abbracci, i sorrisi sono quanto di più corporeo esista, e sono quanto di più spirituale, più amorevole sperimentiamo nella nostra vita. Le parole possono essere false, ambigue, manipolatrici; è molto più difficile che lo sia il linguaggio del corpo. E quanto amore e simpatia suscita nei bambini il solletico fattogli dai genitori o dai parenti? Il corpo comunica, comunica sempre, anche quando non vuole comunicare, ed è questo che rende affascinante un gioco come il poker: si vince controllando il proprio corpo, le proprie minime espressioni e cercando di leggere le emozioni dell’avversario da piccoli indizi. Il pranzo domenicale italiano unisce poi la sazietà (sovrabbondante) del corpo alla conversazione rilassata, fatta di sorrisi e chiacchiere, a unire anima e corpo nella gioia. Quando poi i nostri genitori o il compagno, la compagna di una vita vengono a mancare, è proprio il loro corpo che ci manca, il sentirceli spazialmente vicini. Non ci accontentiamo della loro anima: il desiderio vero è quello di poterli riabbracciare un giorno. E a chi disprezza l’italiana abitudine di toccare le statue dei santi, provate pure a impedirlo e diminuirà di sicuro la devozione verso il santo, ma anche la confidenza in Dio!

Quando il corpo è colpito dal dolore, poi, diventa luogo sacro di amore concreto, gratuito. Non si può dire di amare finché non si ama la fragilità dell’altro. Soffriamo se non ci sentiamo importanti per qualcuno, solo la nostra infermità ci assicura di essere amati non per ciò che diamo, ma per ciò che siamo per l’altro. La malattia ti rivela i veri amici, il vero amore. E la sofferenza sfoltisce anche i nostri desideri. Certo ci si può anche chiudere a riccio crogiolandosi nella propria disperazione, ma la vicinanza degli amici sa aprirci il cuore a un amore più scarno e scattante. Le cure palliative sono fondamentali per avere la lucidità necessaria per amare e lasciarsi amare: nessuno cerca la morte se non è lasciato da solo, ma il sollievo sì. È assurdo che ci si affatichi più per riconoscere il diritto all’eutanasia che per la cura del dolore. Per chi crede, poi, niente accende di più all’amore verso Dio che il meditare la sua Passione, i suoi dolori sopportati per noi. In fondo, niente è più sacro del corpo umano, perché è dal Corpo umano di Gesù sofferente per amore nostro che è venuto a noi ogni dono e la possibilità di vivere la vita stessa di Dio, il paradiso; niente è infatti più sacro dell’Eucaristia, Corpo di Cristo, che unisce la nostra anima a Dio attraverso il nostro apparato digerente.

Padre Pio è molto amato perché in lui è evidente la spiritualità del corpo umano. Ci ha fatto vedere la nostra fede vissuta in una corporeità prepotente, nelle stigmate, nelle manifestazioni demoniache molto concrete (con botte talmente reali da ammaccare il corpo), nei profumi che uscivano dal suo sangue. La nostra fede è infatti concreta, fatta di sudore e sangue, posseduta dall’anima ma sentita nel corpo. Per questo Padre Pio è così grande e così adatto alla nostra epoca: il suo corpo offerto a Dio ha reso visibile, effettiva la presenza di Cristo nel nostro tempo. Dal Dio che si è fatto carne niente è più lontano dello spiritualismo buddista.

E gli angeli e i demoni che c’entrano? Quando gli angeli, prima di noi, dovettero scegliere se riconoscere Dio come loro Signore, la loro risposta fu immediata e definitiva. I ribelli all’istante si allontanarono da Dio e provarono la sofferenza dell’inferno, una sofferenza che porta solo dolore e distruzione. I buoni invece furono inondati all’istante dall’amore di Dio e dalla Sua gioia eterna, senza passare attraverso il dolore. Essi non hanno avuto esperienza di un amore doloroso, di una sofferenza rigenerante, salvifica. La superbia demoniaca disprezza il corpo umano per la sua fragilità e il nostro amore sofferente per Dio è ai demoni incomprensibile e disgustoso. Il corpo umano suscita tenerezza negli angeli buoni, che quasi invidiano gli uomini, e stupiscono ammirati di vedere Dio soffrire e morire per noi. Ancor più – se potessero desiderare qualcosa di diverso, ora che godono del paradiso – vorrebbero poter donare la sofferenza, perché attraverso di essa noi, fragili esseri umani, possiamo dimostrare a Dio il nostro amore, possiamo davvero dire di amarlo «nella buona e nella cattiva sorte». Loro non hanno potuto soffrire per amore di Colui che pure amano così tanto.

In fondo, la Croce di Gesù e la croce degli innamorati di Gesù sono l’oggetto di contemplazione più ricercato dall’intero universo.

don Domenico Vitulli

 

 


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