Interventi ed erratiche esplorazioni sull’arte di Giorgio Di Genova
Tre volumi sulla “Dialettica del mestiere di un critico” - l’ultima fatica dello storico dell’arte che il 25 luglio ci ha lasciatoIeri 25 luglio 2023, purtroppo ci ha lasciato un personaggio autorevole della storia dell’Arte ed un maestro, oltre che un amico carissimo con il quale ho avuto l’onore di lavorare in alcuni progetti. La sua scomparsa segna con una ferita una torrida estate e lascia un vuoto nella nostra città. Si unisce al mio cordoglio e alla famiglia, l’artista fotografo Valter Sambucini che lo ha ritratto più volte ed in varie occasioni culturali.
Giorgio Di Genova (Roma, 23 ottobre 1933 – Roma 25 luglio 2023) è stato uno storico dell’arte italiano, noto per essere autore dei 10 tomi della monumentale Storia dell’arte italiana del ‘900 per generazioni (Edizioni Bora, Bologna). Laureatosi in Storia dell’arte all’Università La Sapienza di Roma con una tesi su Silvestro Lega, iscritto al Partito Comunista Italiano, da cui è uscito nel 1956, dopo i fatti di Ungheria, ha intrapreso una lunga attività di critico e storico dell’arte. Ha curato allestimenti museali, simposi di scultura a Carrara e mostre di scultura a Pietrasanta ed esposizioni di arte monocromatica, arte sacra, arte e fumetto, arte erotica sull’arte in carta, ecc. È autore di numerose monografie, tra cui quelle su Cagli, Moreni, Guasti, Ivo Sassi, Garau, sull’arte fantastica e sull’arte erotica. Nel 1975 ha fondato la rivista trimestrale d’arte “Terzo Occhio”, edita a Bologna da Bora, di cui è stato il coordinatore fino al 2006. Nel 1984 è stato commissario per il padiglione italiano alla XLI Biennale di Venezia, invitando Antonio Bueno, Mario Padovan e Novello Finotti, mentre nel 1993 è stato nella commissione per la XII Quadriennale di Roma. E’ stato in due Commissioni Inviti della 54^ Biennale d’Arte di Venezia Lo Stato dell’Arte.
Nel 1980 ha ideato e curato per la Provincia di Rieti le Biennali Nazionali d’Arte Contemporanea, avviate con Generazione anni Venti, a cui ha affiancato al posto del consueto catalogo un volume. Dopo aver curato la Biennale Generazione anni Dieci (1982) e Generazione primo decennio (1985), per dissensi insanabili ha interrotto i rapporti con la Provincia di Rieti e nel 1990 ha riavviato per la Edizioni Bora di Bologna la stesura dei volumi, riveduti ed ampliati, della Storia dell’arte italiana del ‘900, impresa conclusa il 2010 con la pubblicazione dell‘Indice generale dei nove tomi.
Nel 1999 è stato tra i fondatori del MAGI ‘900, concepito come un’antologia dell’arte italiana del Novecento e allestito secondo criteri cronologici e generazionali, in modo da essere il corrispettivo museale del contenuto della sua Storia dell’arte. Di tale museo è stato direttore artistico fino al 2006, anno in cui ha rassegnato le dimissioni per insanabili dissensi con il proprietario. Nel 2008 è stato nominato dalla Camera di Commercio di Vibo Valentia curatore artistico del Premio Internazionale Lìmen Arte da lui ideato e avviato nel 2009, giunto alla VII edizione e da cui è sorta la Galleria d’Arte Contemporanea del Valentianum. Tra le recenti pubblicazioni vanno ricordate: Percorsi di arte in Italia (Rubbettino editore, 2014-2018) di cui dal 2015 è stato anche co-curatore.
Con il terzo volume si è completato invece nel 2021 il saggio “Interventi ed erratiche esplorazioni sull’arte. La dialettica del mestiere di un critico” (Gangemi editore 2021) dove Giorgio Di Genova ha raccolto documenti, articoli, scritti critici e l’esperienza umana di un’intera vita. I tre volumi sono stati presentati il giorno 3 novembre 2021 alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea (viale delle Belle Arti, 131 Roma) dalla Direttrice dell’Archivio della GNAM, dott.ssa Claudia Palma, dal dottor Paolo Bolpagni, direttore della Fondazione Ragghianti di Lucca e dalla dott.ssa Michela Becchis storica dell’arte.
L’intero lavoro che segnaliamo, analizza una sostanziosa panoramica culturale delle arti, avendo l’autore lavorato nel campo fin dal 1961 ed essendosi attivato con intensa vivacità come critico, saggista e conferenziere sia in Italia che all’estero; ricordiamo altresì che fino al 1999, ha svolto la professione di insegnante in Storia dell’arte contemporanea nelle Accademie di Belle Arti di Catania, Napoli e Roma.
I tre volumi hanno lo stesso titolo, a dimostrazione dell’unità del progetto, ed anche la stessa immagine di copertina – “Maja” (1976 chiasmage+oggetto cm 30×20,6) – che l’autore ha scelto, tra le opere di sua proprietà, di Jiři Kolář, modificata solo con calibrate variazioni di colore di fondo, diverso per ogni volume. Jiři Kolář è anche un autore citato più volte nei 3 libri e presentato estesamente con un articolo nel volume uno, nella sezione Adii. Infatti nelle pagine 216/218 del testo l’autore ci parla di questo artista ceco da lui definito poeta “derealizzatore”, con il quale ebbe un intenso scambio epistolare, dopo aver conosciuto la sua produzione nel 1968 a Kassel (Documenta 4), provenendo da un lungo viaggio con tappe ad Auschwitz e Praga ai tempi della tensione antirussa dei giovani sostenitori della Primavera di Dubček.
Giorgio Di Genova ricorda di aver definito la sala di quella mostra straordinariamente eccitante, anche per il geniale uso del collage che l’artista aveva utilizzato, ricoprendo oggetti comuni con strati di carta, stampata con caratteri di varia tipologia, definendolo quindi “una vera rivelazione in anticipo sui tempi” – cioè come colui che già poteva dimostrare quanto poi il postmoderno ci avrebbe privato della conoscenza concreta della realtà. Infine, ponendo tale immagine sulla copertina dei tre volumi, risulta chiara la volontà dell’autore di alludere all’espressione Velo di Maya, coniata da Arthur Schopenhauer nel suo Il mondo come volontà e rappresentazione.
Il primo volume si apre con un accattivante “Vissi d’arte” …(dalla famosa aria dell’opera Tosca di Puccini), definito dall’autore una sintesi della sua esistenza; viene poi completato dalla seconda strofa nell’epigrafe del terzo: “…Vissi d’amore” (sempre dal libretto di G.Giacosa e L. Illica) e non è casuale che il nostro aggiunga alla sua premessa, un sentito ringraziamento alla moglie, Patrizia Veroli che ha fatto l’editing dei suoi testi. Ma l’incipit del secondo è almeno sorprendente: “Ogni discorso sugli altri è un diario truccato” di Angelo M. Ripellino, attraverso il quale l’autore vuole ribadire che ogni discorso sugli altri è sempre un discorso dettato dall’io di chi lo fa, di conseguenza questo avviene anche per i suoi testi.
Non lo sappiamo per certo, ma quello che mi sembra di capire è che l’autore, caratterizzato pertanto da passione ed amore per l’arte, rigore ed onestà intellettuale (espressa in uno stile coinvolgente e con una schiettezza che non tollera fraintendimenti), abbia concepito l’essere umano sempre chiuso in limiti troppo stretti, forse rispetto all’infinita volontà di alimentare curiosità ed avventure intellettuali.
Tre volumi importanti ed impegnativi quindi che segnaliamo; agili, ma senza sconti per nessuno, poiché già nel titolo avvertono essere i percorsi dell’arte “erratici” e quindi essere “dialettico” il mestiere del critico, per mantenersi sempre tale di fronte alle sfide e poter inseguire le infinite congiunzioni dei codici linguistici elaborati dagli artisti. Come interpretare diversamente infatti, la premurosa cura e catalogazione dedicata a svariati movimenti e tendenze, alle vite di artisti e le loro opere; la stessa passione con la quale ha raccolto la vitalità creativa di personalità che hanno vissuto, o vivono ancora nel nostro paese, nei 10 tomi della Storia dell’arte italiana del ‘900 per generazioni (Edizioni Bora, Bologna 1990 – 2010), forse la sua opera più famosa.
In questi tre volumi non si trascurano incontri letterari, recensioni di libri e soprattutto interessanti parti sono dedicate al rapporto arte/critica. A tal proposito da pag. 145 nel primo volume vorrei citare: – E’ perverso il linguaggio della critica? Intervento al convegno promosso da Domenico Guzzi, (Casa della Cultura, Roma 1981.):
“L’arte è un organismo vivente, una realtà nella realtà degli uomini, in cui altri uomini possono riconoscersi o no. Quindi il primo problema che si pone, quando si parla di critica, nella fattispecie di critica d’arte, è quale ruolo ha e/o debba avere il critico nell’ambito di un sistema talmente complesso e articolato, com’è quello dell’arte d’oggi, che si serve anche dell’industria della parola. Infatti tutti sappiamo che nella società a capitalismo avanzato, come la presente, l’aura culturale propria dell’arte è necessariamente inquinata dalla struttura di base economica, che tramuta il prodotto artistico immediatamente in merce”
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Giorgio Di Genova, un prezioso amico che mi mancherà, non solo per la fonte di riflessioni sulla storia dell’arte del nostro tempo, ma anche per la sua testimonianza di ciò che vuol dire dignità culturale*.
Giorgio poteva documentare (avendo le prove nel suo sterminato archivio) il malcostume imperante nel mondo del sistema dell’arte ma, sapeva anche fare pubblica dichiarazione delle proprie inesattezze qualora venissero verificate da altri, e, soprattutto dal suo rigore intellettuale.
Buon viaggio caro amico verso gli infiniti mondi.
*a conferma ecco un estratto da una lettera che Lia Drei scrisse e non spedì mai a Giorgio.
“…Caro Prof. Di Genova,
Questa mattina passeggiando nel parco di Monte Mario, e respirando l’aria di Roma finalmente ripulita dalla pioggia di ieri sera, guardando dall’alto il grande paesaggio di Roma ho pensato ai discorsi e ai ricordi che abbiamo rivissuto insieme a lei, parlando di Villa Medici e la scuola del nudo e gli artisti che abbiamo conosciuto e frequentato.
Mi è venuto il desiderio di parlare con lei che ha un modo così piacevolmente stuzzicante ed una curiosità innata di sapere anche tante piccole cose che poi lei fa diventare grandi con la sua pittorica fantasia….”
Oggi l’unico rammarico è che questa lettera non mi sia stata spedita nell’aprile 1998, perché, come mi riferisce Guerrieri, Lia, che era piuttosto timida, temeva che mi apparisse una piaggeria. Peccato, perché certamente avrei potuto approfondire la ricostruzione di quei “favolosi anni ’60” con lei, utilizzando i suoi ricordi sollecitati dalla mia curiosità per la cronaca, su cui, secondo le mie convinzioni, cammina la storia, che ha appunto nei fatti di cronaca le proprie gambe. Specialmente se arricchiti dalla linfa del vissuto, le ricostruzioni storiche acquisiscono quella sostanza che altrimenti si perde irrimediabilmente.
estratto da: Interventi ed erratiche esplorazioni sull’arte due. pag. 212-213-214