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La GPA (o “utero in affitto”) e la Bibbia

E una lettura approfondita dei suoi testi

Il diavolo è esperto di Bibbia e la conosce a memoria per usarla contro Dio, come ci mostrano i Vangeli. Anche in questi giorni si è usato l’Antico Testamento a favore della GPA (o “utero in affitto”), facendo riferimento all’episodio di Agar (Genesi 16). I preti però ne sanno una più del diavolo – così si dice – e perciò il testo biblico questa volta lo vedremo insieme, se volete.

Guercino – Abramo ripudia Agar

La Bibbia è tutt’altro che una raccolta di racconti edificanti. Il suo primo libro ci mostra come il peccato di Adamo ed Eva avesse portato a conseguenze tragiche all’interno della coppia umana: il maschio si interessava più della sua fatica quotidiana di lavoratore che della sua famiglia e trattava con superiorità la donna; la donna, da parte sua, aveva preso possesso dei figli, vivendoli come parte di sé. Le conseguenze si erano fatte presto vedere: Caino è un “cocco di mamma” e alla prima frustrazione che subisce si lascia sopraffare dalla rabbia e uccide il fratello. 

Il male era diventato endemico a tal punto da indurre Dio ad azzerare la creazione, mandando il diluvio. Il nuovo inizio non aveva tuttavia sradicato il male dal cuore dell’uomo e Dio prova allora una strada nuova, ovvero educare una coppia, perché da essa cominci una nuova umanità: Abramo e Sara.

Michelangelo – Il Diluvio (particolare)

La scelta non sembra delle più sagge, a un primo sguardo: Abramo, sin dal nome (Abramo significa «il padre è esaltato»), è succube di suo padre Terach e tratta la moglie come proprio possesso (il nome originario è infatti Sarai, ovvero «mia principessa»): Dio gli insegnerà a essere quel padre che Terach non era stato e un marito che rispetti la moglie (gli dirà infatti di non chiamarla più Sarai, ma Sara: «non più mia principessa, ma principessa»).

Sara, come vedremo, è anch’essa tutt’altro che santa. Abramo è un ricco nomade proprietario di greggi; partendo al seguito del padre da Ur, nell’odierno Iraq, arriva nel sud dell’attuale Turchia e lì riceve il comando da un Dio sconosciuto di lasciare il padre e dirigersi nell’attuale Palestina; questo Dio gli promette anche un figlio da sua moglie, finora sterile. 

Per diventare padre è necessario per lui smettere di essere figlio. Una numerosa discendenza era importante, assicurava braccia per l’agricoltura e difensori in caso di aggressioni. Una donna senza figli era inutile, forse aveva addosso anche la maledizione di un dio. Sara non nutre un semplice desiderio di maternità, per lei un figlio significa essere riconosciuta come donna e come moglie.

Ne va della sua vita. In quell’epoca, intorno al 1800 a.C., l’avere dei figli è così importante che il codice di Hammurabi permetteva addirittura, in caso di moglie sterile, di prendere una seconda moglie con gli stessi diritti della prima, a meno che la moglie non avesse offerto al marito come concubina una schiava da cui avere una discendenza.

Forse proprio per evitare che il marito le affianchi un’altra moglie, o perché stufa di aspettare il compimento delle promesse di Dio ormai da una decina d’anni, Sara conduce quindi ad Abramo la schiava egiziana Agar. È questo che è sembrato ad alcuni anticipare l’odierna GPA.

Dio sul momento non interviene, ma di sicuro non è ciò che avrebbe voluto: nel capitolo precedente Abramo gli aveva espresso fiducia e Dio aveva stretto con lui un’alleanza.

La moglie non crede più però alle promesse di Dio e vuole ottenere a qualunque costo ciò che Dio ritarda a concederle; così Abramo, come Adamo prima di lui, ignora Dio e ascolta la moglie, accogliendo Agar. Ecco il testo (Genesi 16).

Sarài, moglie di Abram, non gli aveva dato figli. Avendo però una schiava egiziana chiamata Agar, Sarài disse ad Abram: «Ecco, il Signore mi ha impedito di aver prole; unisciti alla mia schiava: forse da lei potrò avere figli». Abram ascoltò l’invito di Sarài. Così, al termine di dieci anni da quando Abram abitava nella terra di Canaan, Sarài, moglie di Abram, prese Agar l’Egiziana, sua schiava, e la diede in moglie ad Abram, suo marito. Egli si unì ad Agar, che restò incinta. Ma, quando essa si accorse di essere incinta, la sua padrona non contò più nulla per lei. 

La situazione di Agar come schiava non era tragica come potremmo pensare: in Israele gli schiavi erano pochi e di solito ben trattati. Il padrone poteva venderli e le donne darle in moglie a qualcuno senza il loro consenso, è vero, ma non era infrequente che il padrone stesso le sposasse – nel qual caso avevano tutti di diritti di ogni altra moglie – o se le tenesse come concubine, con determinati diritti garantiti.

In ogni caso, in particolare se avevano dato un erede al padrone, avevano garantito a vita vitto, alloggio e ogni altra necessità. Le donne che nella GPA si prestano a “donare” l’ovulo o a portare avanti la gravidanza vengono liquidate con un assegno. Agar sembra quasi una privilegiata.

Il desiderio prepotente di un figlio, costi quel che costi, ricorrendo anche a delle schiave straniere, è il riflesso di quella stessa bramosia da cui era scaturito il peccato dell’Eden. Ci vorrà un lungo percorso per arrivare a un vero amore libero e gratuito. Qualche capitolo dopo, infatti, l’uso di una schiava sarà addirittura l’arma di un duello tra le sorelle Lia e Rachele per chi dà più figli all’unico sposo di entrambe, Giacobbe (Genesi 30). 

Con la GPA si usa invece l’ovulo di una donna e lo si impianta nel ventre di un’altra, per evitare che una delle due possa vedersi riconosciuta come madre, se dovesse volerlo, sottraendo il bambino ai committenti. La donatrice rimane anonima e, almeno sulla carta, è del tutto gratuito il suo sottoporsi alla stimolazione ormonale, di cui sono necessari diversi cicli per la bassa percentuale di successo, oltre alla piccola operazione necessaria per il prelievo.

Infine, al momento del parto, il bambino viene subito sottratto alla gestante, togliendo al neonato l’odore e la voce rassicurante di colei che lo ha portato per nove mesi, con conseguenze psichiche che ancora sono da approfondire.

Ad Agar non viene sottratto il bambino: lo allatta, prende parte alla sua educazione, è sempre con lui e ha voce in capitolo sulla sua crescita. Ismaele sa di chi è figlio, conosce sia suo padre, sia la sua madre biologica e la sua madre legale; non perde nulla della sua identità. È un altro mondo in confronto alla GPA.

Proseguiamo però con la storia di Agar. Con la sua gravidanza l’equilibrio di forze si capovolge e Sara si sente umiliata dalla schiava che, fiera del suo nuovo ruolo, si prende la rivincita sulla sua padrona. Sara non solo non ha conquistato la maternità, ma si sente come se le fosse stata sottratta ogni autorità.

Allora Sarài disse ad Abram: «L’offesa a me fatta ricada su di te! Io ti ho messo in grembo la mia schiava, ma da quando si è accorta d’essere incinta, io non conto più niente per lei. Il Signore sia giudice tra me e te!». Abram disse a Sarài: «Ecco, la tua schiava è in mano tua: trattala come ti piace». Sarài allora la maltrattò, tanto che quella fuggì dalla sua presenza. 

Sara, piena di frustrazione, se la prende col marito, che all’istante si scarica di ogni responsabilità. Ai suoi occhi sono faccende tra donne. La madre di Ismaele viene maltrattata tanto da fuggire per esasperazione, portando via il suo unico figlio, ma lui non si muove. È sconcertante: né Abramo né Sara li cercano, li inseguono. Agli occhi di Sara la schiava Agar è ora solo un’avversaria e Ismaele un mezzo per ottenere stima sociale: quando nascerà Isacco, figlio del suo ventre, Ismaele diventerà solo un peso. Agli occhi di Abramo invece le due donne e quel figlio non sono altro che scocciature.

La trovò l’angelo del Signore presso una sorgente d’acqua nel deserto, la sorgente sulla strada di Sul, e le disse: «Agar, schiava di sarà, da dove vieni e dove vai?». Rispose: «Fuggo dalla presenza della mia padrona Sari». Le disse l’angelo del Signore: «Ritorna dalla tua padrona e restale sottomessa». Le disse ancora l’angelo del Signore: «Moltiplicherò la tua discendenza e non si potrà contarla, tanto sarà numerosa». Soggiunse poi l’angelo del Signore: «Ecco, sei incinta: partorirai un figlio e lo chiamerai Ismaele, perché il Signore ha udito il tuo lamento. Egli sarà come un asino selvatico; la sua mano sarà contro tutti e la mano di tutti contro di lui, e abiterà di fronte a tutti i suoi fratelli». 

È Dio che si prende cura di Agar. Dove Abramo e Sara falliscono, Dio interviene. Agar e Ismaele sono amati quanto Abramo e Sara, e ad Agar Dio manda un angelo per soccorrerla e convincerla a tornare dai suoi padroni. La rassicura sul destino del figlio, futuro leader e capostipite degli Arabi.

Agar, al Signore che le aveva parlato, diede questo nome: «Tu sei il Dio della visione», perché diceva: «Non ho forse visto qui colui che mi vede?». Per questo il pozzo si chiamò pozzo di Lacai-Roì; è appunto quello che si trova tra Kades e Bered. Agar partorì ad Abram un figlio e Abram chiamò Ismaele il figlio che Agar gli aveva partorito. Abram aveva ottantasei anni quando Agar gli partorì Ismaele. 

È con particolare insistenza che il narratore chiama Ismaele figlio di Abramo; in nessuna occasione, al contrario, lo chiama figlio di Sara. Il modo in cui Sara ha scelto di risolvere la propria sterilità non è stato gradito a Dio e il suo desiderio è rimasto insoddisfatto: il padre di Ismaele è Abramo, la madre di Ismaele è Agar, e Agar rimarrà per sempre sua madre. I figli non si acquistano (Eva, alla nascita di Caino, aveva esclamato: «ho acquistato un figlio dal Signore»), i figli non si strappano alla loro mamma naturale. Esiste un limite ai nostri desideri, Dio stesso si è posto un limite creando libera l’umanità.

Il rispetto del limite è necessario per instaurare una relazione con l’altra persona, ma il peccato rifiuta ogni limitazione, scavalca ogni ostacolo, non accetta il peso della responsabilità: Eva aveva infatti scaricato la colpa su Adamo e Adamo sul serpente. Sara non ha sopportato l’attesa, non ha riconosciuto i diritti di Agar e di Ismaele.

Abramo, d’altra parte, non si è assunto alcuna responsabilità come marito, come padre e come amico di Dio, ma ha lasciato che il male trionfasse con colpevole disinteresse.

E quel Dio dell’Antico Testamento che è accusato di essere duro e patriarcale si rivela alla fine molto più giusto e rispettoso della donna di quanto lo siano i suoi detrattori. Riportando ad Abramo la coppia Agar-Ismaele, Dio lo costringe ad assumersi il ruolo di padre e insegna a Sara ad accogliere un figlio come un essere umano di cui avere cura, non come un bambolotto da mostrare alle amiche.

La GPA fa di tutto per cancellare la figura della madre surrogata, Dio, al contrario, riconosce i diritti di Agar e di suo figlio, li protegge e assegna al bambino un destino glorioso. 

Al funerale di Abramo sono presenti entrambi i fratelli. Ismaele diventerà progenitore dei capi di dodici tribù, anticipando la fecondità del figlio di Isacco, Giacobbe, progenitore delle 12 tribù di Israele (Genesi 25) .

Le donne possono essere a volte come Sara, accecate dal desiderio urgente di un figlio; anche gli uomini di oggi possono vivere come Abramo, indifferenti e freddi nei confronti di donne e bambini.

Dio cercherà d’insegnare a entrambi come si ama sul serio. Se ci siamo riconosciuti nella disperata violenza di Sara o nella sconcertante noncuranza di Abramo, la Bibbia mostra la misericordia di Dio verso di loro e, insieme, la sua tenerezza di padre verso Agar, di cui ascolta il grido disperato di madre: Dio salva la sua vita e preserva il suo rapporto col figlio. Per intervento di Dio, Abramo e Sara diventano genitori di moltitudini di popoli, Agar e Ismaele si ritrovano insieme con un destino glorioso.

Oggi invece, dove si è voluto escludere Dio, i nuovi Abramo e Sara s’illudono di manipolare il mondo, lasciando dietro di sé il dolore di due madri che piangono un figlio che non hanno mai visto e la confusione di un bambino che non sa chi chiamare sua madre. Dio perdona ed accoglie, il mondo purtroppo no.


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