La morte di Maradona: non avrai altro dio all’infuori di me
La scomparsa improvvisa di Diego Armando Maradona, e l’unanime sconfinato compianto delle folle di tifosi (e non solo), dal Sudamerica all’Europa, da Buenos Aires a Napoli, consacra la sua figura quale suprema divinità della nuova religione, veramente universale, della nostra epoca post-moderna: il Calcio. Tale consacrazione era già stata preconizzata ed affermata in un vecchio libro, intitolato semplicemente Calcio (tradotto in italiano nel 1998) dello scrittore catalano Manuel Vasquez Montalban.
“Ma quando Zarathustra fu solo, così parlò al proprio cuore: Allora è possibile! Questo vecchio santo nella sua foresta non ha ancora sentito che Dio è morto” (F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra).
Manuel Vasquez Montalban è noto a tutti, soprattutto agli amanti della letteratura poliziesca, come “padre” del detective Pepe Carvalho, singolare figura di investigatore catalano, bibliofilo, filosofo e gastronomo, oltre che buongustaio e amante delle belle donne. Alla creatura di Montalban si è ispirato il nostro Camilleri nel delineare i tratti caratteriali del suo commissario siculo Montalbano (anche nella scelta del nome, come si vede, emerge con forza la fratellanza spirituale tra i due scrittori). Vi è però un aspetto che distingue il prolifico narratore di Barcellona dal suo omologo di Porto Empedocle: la passione, quasi viscerale in Montalban, per il gioco del calcio. È noto infatti il suo sconfinato amore per il Barcellona (inteso come squadra nelle cui fila milita il giocatore argentino, più volte Pallone d’oro, Leo Messi, e nella quale ha militato, agli inizi degli anni ‘Ottanta, per un breve periodo, lo stesso Diego Armando Maradona), così come è altrettanta nota la sua simpatia per i giocatori argentini, corifei di un tipo di gioco che privilegia la forma, la bellezza delle giocate, l’invenzione estemporanea, le singole personalità rispetto agli schemi, alle geometrie, al pressing, alle “entrate assassine”. Un tipo di gioco all’insegna della cavalleria e della lealtà e che aborrisce l’insulto e la cattiveria gratuita; quel gioco del quale l’esponente più insigne è stato, nella sua folgorante carriera, sempre lui: Maradona, detto El pibe de oro.
Date queste premesse, non poteva, il nostro autore catalano, non regalarci un libretto che, nonostante la sua brevità, può essere a ragione definito una sorta di “propedeutica filosofica” al football, un libro uscito nel 1998 ed immediatamente tradotto in italiano e pubblicato dall’editore Frassinelli di Piacenza. Esso ha per titolo Calcio e, per sottotitolo (significativamente): Una religione alla ricerca del suo dio. In effetti, ciò che a Montalban preme di mettere in particolare evidenza è, appunto, il fatto che il calcio, ormai, è l’unica vera e universale religione in grado di accomunare, nei suoi riti domenicali e infrasettimanali, le masse popolari dislocate in tutti i continenti e in tutti i paesi.
E ciò nonostante ruotino, intorno al mondo calcistico, interessi giganteschi e capitali incalcolabili, ma anche ruberie, imbrogli, riciclaggi, falsificazioni di bilanci societari, truffe e così via. Non solo, ma il calcio pare diventato anche uno dei principali strumenti, se non quello fondamentale, per dare la scalata al potere politico (a pag. 19 il nostro autore, facendo riferimento alle vicende italiane, ci tiene a dichiarare che: “Probabilmente Berlusconi non sarebbe mai arrivato alla presidenza del governo senza l’aiuto del Milan di Van Basten, Gullit, Rijkaard”).
Per tornare al calcio come religione, è naturale pensare che, come ogni religione che si rispetti, anche il calcio possiede la sua o le sue divinità (a dire il vero è una sorta di politeismo ma con tendenze monoteistiche). Per Montalban non c’è dubbio alcuno che divinità calcistiche non possono essere altri che gli idoli degli stadi, i calciatori in grado di infiammare i cuori e dare fiato alle voci con l’eleganza del tocco, le finezze degli smarcamenti, i dribblings ubriacanti, le magistrali e mirabolanti realizzazioni: su calcio piazzato, su azione, di testa, di collo pieno, d’esterno, da fuori area ecc. ecc. Essendo il calcio una religione politeistica e con l’abitudine a divorare le divinità, è chiaro che soltanto alcune di queste divinità possono aspirare al livello più alto dell’Olimpo calcistico, cioè a quel livello in cui si è da tutti riconosciuti (tifosi ed avversari) e da tutti ricordati quando, a carriera finita, si esaltano anche dopo decenni le loro magnifiche gesta (chi non ricorda il famoso “goal di mano”, la mano de Dios, di Maradona nella partita Inghilterra – Argentina di Messico ’86? Un gol, oltretutto, che le cronache televisive sulla morte del campione stanno ripetendo infinite volte, in queste ultime ore?).
Per il creatore di Pepe Carvalho solo 4 giocatori, nella storia del calcio, hanno saputo raggiungere l’inaccessibile vetta: essi sono l’argentino Di Stefano, il brasiliano Pelé, l’olandese Crujff e, finalmente, l’altro argentino Diego Armando Maradona, verso il quale Manuel Vasquez Montalban, pur non sottacendo gli innumerevoli suoi difetti e la controversa storia di casi giudiziari, ha parole di grande simpatia umana e di altissima considerazione sotto il profilo professionale. Ciò si evince, ancor meglio, dal fatto che, dopo Maradona, il calcio – secondo Montalban – è tuttora alla ricerca di un dio che possa degnamente sostituirlo. Montalban, morto precocemente nel 2003, non ha fatto in tempo a conoscere né Leo Messi né Cristiano Ronaldo, ma, a mio modesto avviso, credo che avrebbe avuto qualche difficoltà ad inserire questi due celebri calciatori nell’Olimpo del calcio mondiale.
Vi sono almeno due capitoli, nel libro, che possono suscitare l’interesse anche di chi non ama il calcio ma non disdegna le buone letture. Essi sono il capitolo dedicato ai rapporti calcio-letteratura, nel quale si trovano utilissimi suggerimenti bibliografici per approfondire l’argomento. A tal proposito vorrei muovere una critica al bravo Montalban: nell’elenco di scrittori e poeti che egli compila (da Eduardo Galeano a Osvaldo Soriano, da Henry de Montherlant a Umberto Saba a Rafael Alberti, ecc.) non ho trovato il nome di Peter Handke, scrittore austriaco, autore del libro Die Angst des Tormanns beim Elfmeter (L’angoscia del portiere prima del calcio di rigore), dal quale il grande regista Wim Wenders trasse l’omonimo film del 1971.
L’altro capitolo in questione è quello intitolato “La teoria e la prassi”, tutto occupato da una lunga intervista a Jorge Valdano, ottima ala sinistra che giocò al fianco di Maradona ai mondiali del 1986 e fu, successivamente, allenatore del Real Madrid. In tale capitolo Montalban, insieme a Valdano, pone le fondamenta per un’analisi critica – forse una specie di Critica della ragion calcistica, oppure, più semplicemente, una sorta di rapidi Prolegomeni – del gioco del calcio.
In definitiva un libro, questo dello scrittore catalano, consigliabile a coloro che si ostinano a ritenere che il calcio non può essere soltanto sfogo di belluini istinti da parte di gruppi di tifosi che inalberano striscioni razzisti e croci uncinate, o da parte di giocatori che si lasciano andare, in campo, a comportamenti che non hanno niente a che vedere con lo sport, la lealtà e la civiltà; né, tantomeno, può essere assimilato alle vuote chiacchiere di quegli arrabbiati che frequentano abitualmente i salotti televisivi delle varie reti, sia nazionali che locali, dedicati alle interminabili analisi delle partite di calcio e nelle quali tutti gli intervenuti dimostrano competenze di gran lunga superiori a quelle dei più acclamati allenatori dei più grandi clubs internazionali.
Un libro, infine, che molto ci può spiegare relativamente alla moderna psicologia delle masse e, aggiungiamolo pure, alla teologia che, dopo la morte degli dei delle religioni tradizionali e dopo la scomparsa delle ideologie che hanno profondamente segnato la storia del XIX e del XX secolo, ha trovato nuovo alimento e vigore nelle liturgie e nei riti collettivi dei tifosi di football.
MANUEL VASQUEZ MONTALBAN, Calcio, Frassinelli editore, Piacenza 1998.
Francesco Sirleto