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Le “madonne vestite” un antico culto della Tuscia e ancora vivo a Oriolo Romano

La “Madonna della Stella” un culto attivo rimasto inalterato nei secoli

La festa estiva per tradizione – il ferragosto – è, soprattutto, una festa religiosa anche se, nel corso degli anni, si è sempre più affievolita la valenza liturgica della festività.

Possiamo senza dubbio affermare che “nel dì di ferragosto sacro e profano se strigneno le mano” e questa commistione tra il divino e l’umano la ritroviamo nella secolare tradizione delle “madonne vestite”.

Nella Tuscia, una delle più antiche statue lignee snodabili rappresentanti la Madonna e, tuttora, oggetto di un culto attivo rimasto inalterato nei secoli è senz’altro la “Madonna della Stella” di Oriolo Romano.

Il 14 agosto mattina, come da tradizione, le “vestitrici”, attraverso un rituale interdetto ai fedeli, si prendono amorevole cura “umana” affinché la statua possa essere trasportata in solenne processione, la sera stessa, con i suoi abiti più belli e sontuosi. Queste madonne preziosissime e, ormai, molto rare, sono vestite nel senso stretto del termine; cioè indossano abiti veri e propri secondo le manifatture e il gusto delle varie epoche. Inoltre, il cambio dei vestiti segue un calendario ormai cristallizzato che rispecchia il tempo liturgico (sacralizzando il simulacro e innalzandolo al livello della divinità), nella scelta dei colori e nella scelta dell’abito più o meno bello o simbolico, e le varie festività dell’anno.

Per secoli questa tipologia di statue e la conseguente devozione hanno aiutato i fedeli ad avere un contatto più diretto con il divino, rendendolo simile all’uomo. Furono introdotte, in Italia, dagli Spagnoli e i primi esemplari rinvenuti o catalogati sul territorio italiano risalgono ai primi anni del Cinquecento. Svolgevano, anche, una funzione catechetica offrendo una prova concreta della realtà dell’incarnazione dimostrando così che il sacro non è qualcosa di ‘altro’, di ‘distante’ ma qualcosa da sfiorare, da accarezzare, da toccare, da accudire e vedere.

L’elemento che colpisce di più, osservando attentamente questi simulacri, è la specifica fisionomia, i lineamenti, una concezione della bellezza appartenente e riconoscibile dalle classi popolari per le quali erano stati concepiti con forme e atteggiamenti caratterizzati da uno spiccato realismo.

Sparirono per volere di Papa X perché ritenute troppo umane e perché si creava una sorta di ‘intimità’ con l’immagine venerata. I fedeli avevano un contatto diretto – non mediato – con la Madonna: un rapporto vero e genuino. Inoltre, con l’esaltazione della “femminilità” dell’umile ancella la devozione fu considerata, dalle alte sfere ecclesiastiche, quasi una sorta di rito di superstizione che assomigliava troppo ad atteggiamenti vicini al paganesimo. Tuttavia, la loro soppressione non riuscì, in alcuni casi, a far scomparire del tutto questa tradizione.

Ad Oriolo Romano la devozione e il culto sono rimasti inalterati nel tempo grazie, anche, a una profonda e sentita ramificazione nella comunità locale che ha saputo preservare, custodire, curare l’immenso patrimonio non solo devozionale e religioso ma anche ‘artistico’. Molto ricco e numeroso il guardaroba della Madre di Dio: si va dai vestiti più antichi dono della famiglia Altieri, a quelli della più recente tradizione intessuti e ricamati dall’indimenticabile parroco don Vittorio, per finire con quelli donati e realizzati da mani tuttora esperte di questa antichissima arte.

Per chi ne volesse sapere di più segnaliamo che sabato 31 agosto presso il Monastero di Santa Rosa (Sala del Quattrocento e Sala delle Colonne) ci sarà l’inaugurazione della mostra: “Tessere la speranza. Il culto della madonna vestita nella Tuscia”, ultima in ordine di tempo dopo la prima iniziale mostra, tenutasi a Roma, nel 2016.

Le diverse esposizioni hanno declinato questo tema sempre in modo diverso ora accordando maggiore importanza alle vesti e ai loro ricami, ora all’iconografia. In questa occasione sarà dato maggiore risalto ai culti e alle vicende che hanno portato alla devozione di alcuni simulacri che riscoperti e restaurati riaccendono la memoria dei fedeli e fanno riattivare l’antico culto. Si potranno ammirare, dopo accurato e attento restauro, i corredi: abiti, scarpine, corsetti, gioielli.

Superstizione, culto, devozione, tradizione … tessitura come metafora della preghiera … forse, di tutto ciò, rimane ‘l’amorevole cura’, quel ‘prendersi a cuore l’altro’ che trascende luoghi e tempi. Monito per questa estate torrida e, sempre più spesso, arida di atavici valori umani.

 

Brunella Bassetti

 


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