Lettere in valigia. La lunga notte di Santa Lucia
Ascoltiamo in TV e radio e leggiamo sui quotidiani continue informazioni sul conflitto in Ucraina.
Secondo le Organizzazioni Internazionali ci sono altri 10 Paesi interessati a conflitti armati, ma se ne parla poco o nulla: Armenia, Azerbaigian, Iran, Yemen, Etiopia, Repubblica Democratica del Congo e Grandi Laghi, Sahel, Haiti, Pakistan, Taiwan.
Ho ragionato su quanta informazione non viene passata, anche perché molte notizie non interessano e non vengono cercate dai cittadini, anche quanta storia e geografia, del nostro mondo, rimane sconosciuta.
E dell’Italia della pirma metà del Novecento, che sappiamo?
Ho voluto riaprire la vecchia e piccola valigia chiusa con le fibbie, ho ripreso le lettere di mio padre riposte nella copertina rossa, ne ho letto una sulla seconda guerra mondiale, e, come per la prima, la ripropongo ai lettori di Abitare A.nella speranza che possa interessare.
Partiamo dal luogo, il mar Mediterraneo; quando, la seconda guerra mondiale; dove, le navi da guerra; chi, i marinai d’Italia; che cosa, una delle tante e tragiche battaglie sconosciute.
Lettera: La lunga notte di Santa Lucia. Chi non c’era sappia, chi c’era ricordi. Primavera del 1987
Attilio, tutte le volte che devo curare la flebite della gamba bruciata, mi prende la smania di ritrovare nella mia memoria quella notte particolare della mia vita. Una notte di cui conservo solo le immagini in bianco e nero, con gli anni ne ho dimenticato i colori, se c’erano.
Un grande mare, solcato da due navi da guerra: la Alberto da Giussano e la Alberigo da Barbiano con circa 1500 marinai a bordo.
Una battaglia marina in una notte della seconda guerra mondiale, il 13 dicembre del 1941, che una credenza popolare indica la notte più lunga dell’anno
Era una sera come le altre, sapevamo pero’ che dopo pochi giorni sarebbe arrivato il Natale.
Ricordo un generoso tramonto, il monte Pellegrino che si ammantava di ombre notturne, le prime nebbie invernali che cominciavano a calare sulla terra nascondendo gli orizonti piu’ lontani e il bel porto di Palermo.
Poi i preparativi. Imbarcammo viveri e materiali per le truppe italiane in Africa. Imbarcammo anche dei soldati destinati in Africa, molti di loro preoccupati per il mal di l mare, visto che non avevano mai navigato.
Poi l’ordine affinché tutti i marinai andassero al posto di manovra, pronti a salpare. Io che andavo verso il gelido castello di prua (che è la parte anteriore del ponte della nave).
Salpammo da Palermo,
A mezzanotte solcavamo il Mediterraneo ad una velocità uniforme di 20 nodi. Navigando nella notte, ci trovammo a largo delle isole Egadi.
I soldati destinati in Africa erano assopiti sotto coperta, le vedette scrutavano il mare, il segnalatore di guardia, che con il binocolo scrutava l’orizzonte, segnalò al Comandante della nave la presenza di aerei.
Il Comandante fece cambiare rotta per cinque minuti, anche se il rumore degli aerei era scomparso, fece anche aumentare la velocità di navigazione per evitare la possibilità di essere colpiti.
I marinai erano sul ponte, con i volti resi pallidi dal freddo e dalla stanchezza, con l’acqua di mare che percuoteva la chiglia della nave, con il vento che aumentava e si avventava su di noi, come se avesse voluto terrorizzarci.
Partì il segnale d’allarme che mise tutto l’equipaggio in moto, da prua a poppa, sagome oscure erano sulla piattaforma, tutti gli uomini erano al proprio posto, senza incertezze. Ma in trappola.
La marina inglese ci aveva intrappolati. Le due navi e l’equipaggio colpiti da cannoni di piccolo calibro, che causò degli incendia a bordo.
Con l’aiuto dell’aviazione inglese, che illuminò tutta la zona di battaglia con dei razzi, la marina inglese colpì e fece affondare la da Barbiano.
La Giussano non era molto lontana, assistemmo silenziosi alla tragica scena, sopprimendo i sentimenti non permessi in guerra. Ma arrivarono anche alla nostra nave altri colpi di cannone, che causarono altri incendi, feriti e morti. Vennero colpite le riserve di carburante che scoppiarono, e il fuoco non ha risparmiato i marinai e i soldati imbarcati.
Agli inglesi non bastò, partirono le mitragliatrici e l’incendio a bordo della Giussano assunse proporzioni gigantesche, poi un siluro colpì la sala macchine.
Colpita al cuore la nave imbarca acqua e affonda.
Quanti uomini feriti e morti in acqua, tra le fiamme, quanti uomini feriti e morti trascinati nei fondali dalla nave inabissata.
Pochi superstiti, feriti e ustionati, che cercavano di allontanarsi a nuoto dalle fiamme.
Silenzio, buio e silenzio. Le urla di morte si erano spente .
Gastone, radiotelegrafista, sei ancora negli abissi dove sei scomparso, senza un rintocco di campana.
Venti anni, avevamo venti anni. Scomparisti tra le scialuppe fatte a pezzi, fra cifrari e codici radiotelegrafici.
Attilio, ricorderai quando mi hai accompagnato in Tunisia nel 1985, era il 13 dicembre.
Siamo stati alla commemorazione della tragica battaglia a Capo Bon.
Con le navi giacenti a un miglio circa dalla costa di Capo Bon, a una profondità marina compresa tra i 60 ed i 70 metri.