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L’Olocausto narrato da una tedesca: Dimenticando l’imperdonabile al Teatro Lo Spazio
Un palcoscenico allestito a triangolo, in due spazi comunicanti tra loro, un video proiettato in quello a destra che ci introduce nella tematica dell’ Olocausto: è questa la scenografia che ci accoglie al Teatro Lo Spazio di Roma in via Sannio, in cui fino al 18 dicembre 2016 sarà in scena Dimenticare l’ imperdonabile. Spettacolo tratto dal romanzo di Ulrike Pusch, adattato dalla regia di Antonella Granata, intende trattare questa storia vera accaduta all’artista tedesca autrice del romanzo, da una prospettiva originale. Ulrike Pusch è stata vittima dei campi di concentramento, ma è tedesca di razza ariana. È finita nell’orrore dell’ Olocausto perché ha sposato un ebreo e perché non vuole rinunciare alla libertà d’espressione che le viene dalla sua attività di artista. Dunque l’amore per il marito e per l’arte la condurranno in quell’inferno in cui subirà inenarrabili atrocità e a cui sopravviverà proprio continuando a disegnare. In questa indelebile tragedia impressa nella memoria storica, qualcuno ce l’ha fatta a riemergere dall’orrore e ci è riuscito grazie al potere curativo dell’ arte.
A narrare la vicenda, come anticipavamo, una commistione di generi: la video art in cui ci vengono mostrati i disegni dell’ artista durante il periodo dell’ internamento, la danza che si frammezza ai monologhi e ai dialoghi dei protagonisti. la voce di fondo di Anna Chierici, registrata che interviene a tratti con riflessioni e commenti sulle opere della Pusch. Due Ulrike si avvicendano nelle scene, quella adulta nei sui abiti borghesi che fuma e racconta la sua storia di cui veste i panni Paola Belisari e quella giovane e detenuta a cui presta il volto la bravissima ballerina Louise-Karen Fantasia che interagisce con le compagne del campo, le SS e chi la aiuterà a sopravvivere esprimendo la sua essenza di essere umano nell’arte. Ad un certo punto il passato e il presente si fonderanno e sarà la Pusch adulta a danzare con il suo aguzzino, interpretato da Manuel Parruccini, primo ballerino del Teatro dell’ Opera, che ha curato anche le coreografie.
Un’opera monumentale e complessa, molto articolata nelle varie performances di genere diverso, che, in qualche caso risultano poco amalgamate tra loro. Tuttavia nell’insieme il prodotto risulta ben riuscito, se si considera l’elevata professionalità dei ballerini e l’originalità del soggetto che ci fa vedere la tragedie della Shoah attraverso gli occhi di un’ ariana. Originali anche le scelte registiche di base, che hanno impostato una trattazione inconsueta di una materia così complessa.