Memoria risorgimentale: 154 anni fa la “Breccia” di Porta Pia
A Roma il 20 Settembre 1870“Ho sentito un fuoco di moschetteria assai vivo; poi un lungo grido ‘Savoia’; poi uno strepito confuso; poi una voce lontana che gridava ‘Sono entrati’…”.
Così lo scrittore Edmondo De Amicis (quello del Libro “Cuore”) inviato del Quotidiano La Nazione di Firenze, descriveva con piglio da cronista di guerra il “suo” 20 Settembre 1870 e l’irruzione di Fanti e Bersaglieri dell’esercito piemontese in Roma, attraverso la “Breccia” aperta nelle Mura Aureliane, accanto alla michelangiolesca Porta Pia.
La Porta Pia venne realizzata lungo il perimetro delle Mura Aureliane, tra il 1561 ed il 1565, su progetto di Michelangelo e per volere di Papa Pio IV, al Secolo il Cardinale Angelo Medici di Marignano (donde il nome attribuito alla Porta) per sostituire l’antica Porta Nomentana.
La sostituzione si era resa necessaria per superare il tortuoso percorso dell’antica Via Nomentana e completare il tracciato rettilineo della nuova Via Pia (anch’essa così denominata in onore di Pio IV) che congiungeva le Mura Aureliane, con un rettilineo, fino alla Piazza del Quirinale seguendo il tracciato dell’antica Alta Semita, corrispondente alle attuali Via del Quirinale e Via Venti Settembre.
E’ da quel luogo della città che – dopo il primo colpo di cannone, sparato dall’artigliere Giuseppe Valenti di Ferentino (di origine ebraica) i 50mila soldati piemontesi, tra cui i Bersaglieri guidati dal Generale Alfonso Ferrero della Marmora, entrarono nella Roma, ancora papalina, da uno squarcio largo 30 metri (la famosa “Breccia”) praticato dalle cannonate nelle mura della Porta Pia.
Quel giorno, un Martedì, gli artiglieri piemontesi spararono per tre ore di fila, dalle 5,30 alle 8,30, contro le mura della Porta romana, proseguendo poi fino alle 9,45 di quella mattina e sparando complessivamente ben 888 proiettili.
Lo scontro tra i Bersaglieri piemontesi di Della Marmora e i papalini del Generale Kanzler non fu l’epica battaglia che viene spesso descritta ma si risolse in uno scontro locale in cui persero la vita 49 piemontesi e 20 papalini.
Così lo descrive Claudio Fracassi nel suo “La Breccia di Porta Pia” (Mursia): “La Breccia di Porta Pia fu un evento contraddittorio, a molte facce, alcune delle quali addirittura farsesche.
L’impresa non fu una grande guerra vittoriosa, come spesso è stata descritta, né una rivoluzione, ma uno scontro sostanzialmente locale durato, nella sua fase più cruenta meno di un’ora.”.
Com’è, come non è quella porta fu, alla fine, sfondata e la città conquistata ponendo definitivamente fine al dominio temporale del “Papa Re”. Il 2 Ottobre, un Plebiscito sanciva l’annessione degli ex domini papali al Regno d’Italia, con una vittoria dei “Sì” resa schiacciante anche dal poco strategico invito della Curia romana all’astensionismo dei cattolici.
Nel Gennaio 1871, la Capitale del Regno d’Italia si trasferiva da Firenze a Roma: Papa Mastai-Ferretti, Pio IX, reagì duramente, proclamandosi prigioniero nei Palazzi del Vaticano. Anche la nuova “Legge delle guarentigie”, che in quello stesso anno riconobbe l’inviolabilità e le prerogative spirituali del Pontefice, non mutò i rancori di Pio IX verso gli “occupanti” piemontesi: nel 1874, anzi, col Documento intitolato “Non Expedit” (“Non Conviene”) il Papa vietò ai credenti di partecipare alla vita politica italiana.
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Anche se la battaglia della “Breccia” di Porta Pia non si svolse come ce l’hanno sempre raccontata, a scuola e dopo, noi laici, oggi, ne ricordiamo il 154° Anniversario. Quella “Breccia” – come qualcuno ha scritto – ci fece tornare ad essere “umani liberi”, smettendo di essere “cristiani per forza”. E ancora, con quella “Breccia”: “ci facemmo italiani e non pii devoti”, cosa che dobbiamo anche “grazie a Giuseppe Mazzini in ricordo di Armellini e Saffi [e della] sacra Repubblica Romana, libera e non eternamente pregante.” (copyright del giornalista Lidano Grassucci).
Così, anche grazie a quella “Breccia”, che oggi ricordiamo, non dobbiamo più genufletterci o far finta di credere, ma possiamo credere in quello che ciascuno pensa sia giusto.
Un salto in avanti nel tempo e nella Storia
Per la Storia e per la nostra Memoria, occorre ricordare che all’interno della Porta Pia si trova, dal 27 Dicembre del 1921, il Museo Storico dei Bersaglieri, che per i 17 anni precedenti era rimasto aperto presso la Caserma “Della Marmora”, di Roma. L’ideatore del Museo fu l’Ispettore dei Bersaglieri Edoardo Testafochi e il Museo fu inaugurato dal re Vittorio Emanuele III, il 18 Giugno del 1904. Successivamente, con un Regio Decreto del 1921, il Museo venne elevato ad Ente Morale.
Occorre ancora ricordare che nei 271 giorni dell’occupazione nazifascista di Roma, il Museo dei Bersaglieri di Porta Pia (nei cui pressi, nel 1921, verrà collocato il Monumento al Bersagliere) fu la santabarbara dei Gap Romani dell’allora Partito Comunista D’Italia, nato nel 1821 a Livorno.
In quei quasi nove mesi in cui “era notte a Roma”, custode del Museo era il partigiano comunista Lindoro Boccanera che ebbe l’idea dei famosi “chiodi a quattro punte” – poi costruiti dal Fabro Enrico Ferola, partigiano del Partito D’Azione (Giustizia e Libertà) nella sua Officina di Via della Pelliccia, a Trastevere, dove ne produrrà più di 10mila – osservandone uno conservato, come cimelio austriaco della Prima guerra mondiale, in una teca di vetro del Museo stesso.
Enrico Ferola – come ricorda una lapide collocata in Via della Pelliccia –arrestato da Agenti della Questura di Roma il 19 Marzo del 1944, in Piazza di Sant’Egidio, sarà assassinato a Roma, alle Cave Ardeatine dai nazifascisti, il 24 Marzo del 1944, insieme ad altri 334 antifascisti. I suoi resti si trovano tumulati, con quelli degli altri assassinati, nel Sacello N.163 nella Sala dei Sacelli del Mausoleo Militare delle Ardeatine,
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