Morte di un Arcivescovo del Popolo
La storia di Oscar Arnulfo Romero y Galdàmez, Vescovo di San Salvador e Santo della Chiesa di Roma“Nei quartieri dove il sole del buon Dio non dà i suoi raggi /
Ha già troppi impegni per scaldar la gente d’altri paraggi (Fabrizio De Andrè, “La Città Vecchia”,1966)
“Io parlo in prima persona perché questa settimana mi è arrivato un avviso che sto nella lista di coloro che stanno per essere eliminati la prossima settimana. Ma rimanga il punto fermo che la voce della giustizia nessuno mai potrà ammazzarla.” (Monsignor Oscar Arnulfo Romero y Galdàmez,1917-1980, Arcivescovo di San Salvador e Santo della Chiesa di Roma)
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Questa è la storia di un uomo, un uomo diverso dagli altri, timido, semplice, ma anche nervoso e irascibile. Questa è la storia di un Vescovo, anzi di un Arci-Vescovo latino-americano schierato, fino all’ultimo giorno di vita, con il suo popolo. Ma è anche la storia di una “conversione” radicale, una sorta di “rivoluzione copernicana” della propria fede (e della propria vita) pagata con la vita. Ne scrivo qui, perché se ne faccia Memoria e ne resti traccia nella nostra testa e nel nostro cuore, perché quel sacrificio non vada dimenticato.
La sua storia dall’inizio
La Diocesi di El Salvador – piccolo Paese latino-americano definito per questo “El pulgarcito de America”, “Il pollicino dell’America” – dava al Vaticano del Cardinale Giovanni Battista Montini, Papa Paolo VI, molti grattacapi. Non perché fosse popolata di miscredenti, ma perché molti Sacerdoti presenti in quel Paese predicavano il Vangelo in un modo giudicato – tra le mura della romana Città del Vaticano – poco ortodosso; nonché molto “pericoloso”.
Quei Preti, vivevano pienamente le contraddizioni del loro Paese. Un Paese in cui l’economia era in mano ad una trentina di famiglie che detenevano più della metà delle terre migliori. Un Paese in cui i campesinos, braccianti e lavoratori poveri della terra, erano massicciamente sfruttati e se osavano ribellarsi venivano uccisi, giacché il potere era in mano a quei pochi oligarchi ed era difeso dagli “Squadroni della Morte” ovvero dai paramilitari di destra, comandati da Roberto D’Aubuisson Arrieta (1944-1992) Capo del Partito di estrema destra Alleanza Repubblicana Nazionale (ARENA) e finanziati dalla CIA, che la facevano da padroni, eliminando fisicamente chiunque si opponesse alla “Legge” delle oligarchie al soldo delle quali quegli squadristi armati operavano. ( *)
La CIA in America Latina, un Film
Nel 1973 esce nelle Sale cinematografiche italiane il Film del regista greco Costa Gavras, ”L’Amerikano”: nell’Uruguay del 1970, i guerriglieri del Movimento di Liberazione Nazionale Tupac Amaru (i Tupamaros), rivoltosi clandestini di ispirazione marxista-leninista, sequestrano l’Agente della CIA sotto copertura Philip M. Santore (Yves Montand) che verrà abbandonato al suo destino dalle alte sfere politiche. Al di là della trama, il film racconta il “lavoro, sporco” che la CIA compie in quegli anni in Uruguay, come in altri Paesi dell’America latina, San Salvador compreso.
Nel titolo del Film, per un azzeccato espediente pubblicitario, la “c” di “ameriCano” diventa una “k”, “ameriKano”. E in quel modo – sostituendo la C con una K – si troverà scritto – sui muri di mezza Italia – il cognome di Francesco Cossiga (“Kossiga”) quando il vecchio politico democristiano terrà, nel periodo 1976-1978, il Ministero dell’Interno.
In quel piccolo Paese, la democrazia era dunque solo un sogno e allo strapotere delle oligarchie proprietarie, protette dal corrotto potere politico-militare, si opponeva soltanto la guerriglia del Fronte di Liberazione di El Salvador, in ami per difendere i contadini poveri. Dunque, in quella situazione, molti Sacerdoti erano schierati con il popolo e predicavano il Vangelo secondo la cosiddetta “Teologia della Liberazione”. Non si trattava, certo, di uno scisma, ma solo di vivere il Vangelo anche alla luce di quanto deciso nel Concilio Vaticano II e così trasmetterlo perché portasse alla liberazione non solo spirituale, ma anche sociale ed economica dei cristiani.
Dall’altra parte di una ideale barricata c’erano i Vescovi della Diocesi salvadoregna, in maggioranza conservatori, che puntavano a superare qualsiasi tensione tra Chiesa e Governo. Tra loro stava il Nunzio Apostolico, Monsignor Emanuele Serada che non perdeva occasione per magnificare l’azione del Governo reazionario del Paese.
La “Teologia della Liberazione”
“Corrente manifestatasi all’interno del cattolicesimo latino-americano alla conferenza episcopale di Medellín del 1968. Fondatasi sulle aperture del Concilio vaticano II, ebbe tra i suoi principali esponenti i teologi Leonardo Boff (Jesus Cristo libertador, 1972) e Gustavo Gutiérrez (Teología de la liberación, 1971), e l’arcivescovo di San Salvador Oscar Romero. Tema centrale del movimento è la priorità della «prassi di liberazione» rispetto alla riflessione teologica. In tale quadro fu promossa la formazione di comunità di base con finalità non soltanto confessionali ma anche di emancipazione politica, sociale ed economica, di difesa della dignità umana e di riduzione della miseria e delle sperequazioni nell’ambito dei (regimi autoritari latinoamericani.”. (Fonte: Enciclopedia Italiana Treccani)
Dunque, al Vaticano serviva qualcuno che, per dirla con una espressione forse non consona ma calzante, “mettesse le cose a posto” tra i ranghi diremmo così sfilacciati e riottosi di quella Chiesa, che la mettesse, insomma, sull’attenti e la compattasse schierandola, interamente, sulla linea apostolica e politica voluta dalla Santa Sede.
Così, il 3 Febbraio del 1977, venne nominato Arcivescovo di San Salvador, la Capitale del Paese, Monsignor Oscar Arnulfo Romero y Galdàmez, un Cardinale salvadoregno 60enne, tradizionalista da molti ritenuto un conservatore e per alcuni addirittura uno “di destra”. E dunque gradito soprattutto ai militari salvadoregni rappresentati dal Colonnello Arturo Armando Molina Barrazo che in quel 1977 tagliava il traguardo del suo sesto e consecutivo anno di Presidenza della Repubblica.
Il Cardinale venuto da Roma fu, all’inizio, bene accolto nei Palazzi salvadoregni del potere. Di lui, si ricordava un’intervista, rilasciata a Febbraio del 1970, nella quale aveva sostenuto:
«Il governo non deve scambiare il sacerdote che si esprime a favore della giustizia sociale per un politico o un elemento sovversivo, perché sta solo compiendo la sua missione nella politica del bene comune».
Ad una lettura superficiale di quelle parole, non risultava subito chiaro quale fosse, per Monsignor Oscar Romero – che veniva da una famiglia salvadoregna molto povera e si era laureato in Italia, all’Università Gregoriana di Roma – il senso dell’espressione” bene comune”, ma presto, tutti i salvadoregni l’avrebbero capito.
Dunque, il Cardinale Romero arriva nel suo Paese con la fama di essere “uno di destra”. Ma spesso, le idee che ci facciamo delle persone sono errate e così sarà nel caso del Monsignore di Ciudad Barrios. Infatti, il Cardinale conservatore, infatti, dette subito un primo segnale dissonante con l’idea che generalmente si aveva di lui, quando rifiutò l’offerta della costruzione, come sua residenza, di un Palazzo Vescovile, optando, invece, per una piccola stanza nella sagrestia della Cappella dell’Ospedale della Divina Provvidenza, dove erano ricoverati i malati terminali di cancro.
Poi però il tempo passa e le cose per il Vescovo Romero cambiano radicalmente e comincia la sua lenta “conversione”: da Cardinale conservatore a prete “rivoluzionario” (meglio un “prete terzomondista” come le destre del Paese definivano i Preti che si richiamavano alla “Teologia della Liberazione”) Dunque, Monsignor Romero si trasforma in un Prete schierato con il suo popolo e diventa “la voz de los sin voz” (“la voce dei senza voce”).
La scintilla che fa scattare quella “conversione” è l’assassinio – da parte degli Squadroni della Morte di D’Aubuisson – del Padre Gesuita Rutilio Grande, avvenuto il 12 Marzo del 1977 e insieme a lui sono assassinati i due campesinos che lo accompagnavano. Nella sua ultima predica Padre Rutilio Grande aveva affermato:
“Io temo che se Gesù volesse entrare dalla frontiera del Chalatenango, i nostri potenti governanti non lo lascerebbero passare, lo tratterebbero da rivoltoso, da ebreo straniero, da portatore di idee esotiche e bizzarre, contrarie alla democrazia. E lo crocifiggerebbero. Di nuovo. Possiamo dire che essere cristiani in Salvador è praticamente illegale. Ma Dio agisce! E desidera che voi costruiate il suo regno qui, sulla terra, anche in Salvador!”.
L’inchiesta successiva a quelle morti violente, chiarirà che i proiettili che hanno ucciso i tre sono quelli in dotazione alle Milizie governative della sicurezza, anche se il Presidente Molina in persona, in una telefonata a Romero, attribuisce l’assassinio agli “estremisti di sinistra”. Dopo Padre Grande, altri Sacerdoti saranno assassinati, tra i quali Padre Alfonso Navarro e il Gesuita trevigiano Padre Cosma Spessotto.
Romero reagisce a quell’assassinio disertando un’importante incontro tra Rappresentanti del Governo e della Chiesa e decidendo che, la Domenica successiva, non si celebrerà alcuna Messa in San Salvador. Ve ne sarà una soltanto, nella Cattedrale della Capitale e sarà lui, in persona, a celebrarla. Intanto, nel Paese intero si sparge la voce che l’Arcivescovo Romero ha osato sfidare il governo e a quella Messa partecipano decine di migliaia di persone: la Cattedrale non le contiene e la Piazza antistante, anch’essa stenta a farlo.
A niente, prima dell’inizio della Funzione religiosa, erano valsi gli inviti alla prudenza rivolti a Romero dal Nunzio Apostolico, Monsignor Serada; esortazioni che arrivavano da chi, sempre, non aveva visto di buon occhio il lavoro pastorale di Romero anzi, potendo, lo aveva fortemente avversato, tanto che 300 Preti e Suore della Diocesi avevano affermato, in una Lettera indirizzata al Nunzio:
“Denunciamo la sua insensibilità dinnanzi al silenzioso dolore dei contadini oppressi e perseguitati, alle lacrime delle vedove e delle madri degli scomparsi. Condanniamo le sue simpatie per un governo repressivo ed ingiusto. In questa battaglia ci sentiamo tuti al fianco di Monsignor Oscar Romero. Toccare lui, è toccare il cuore della Chiesa.”.
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Nei giorni precedenti l’assassinio di Padre Grande e dei due campesinos, alcuni volantini, diffusi dalla destra, recitavano (e incitavano): «Sii patriottico, ammazza un prete». Poteva sembrare solo propaganda, ma non lo era affatto: 40 saranno, infatti, i Sacerdoti uccisi in quel periodo nel paese..
Poi, a Maggio del 1977, i militari attaccano una Comunità contadina che era nata sulle terre occupate da quei campesinos nella zona di Aguilares (la zona in cui predicava Padre Rutilio Grande) I contadini si difendono e più di 50 di loro sono uccisi dai militari; molte donne sono violentate e alla fine centinaia saranno gli scomparsi. Il Tabernacolo della Chiesa è bersagliato da colpi di pistola e scassinato. Le ostie consacrate sono sparse a terra e calpestate dagli scarponi dei militari. Romero arriverà in quei luoghi qualche tempo dopo la strage, celebrerà un’affollatissima Messa in quella Chiesa profanata e dirà ai campesinos: “Sono venuto a dirvi che voi siete il Cristo che soffre nella Storia.”.
A quel punto Oscar Romero – che già il giorno della sua nomina ad Arcivescovo di San Salvador aveva assistito al massacro, operato dai militari, di centinaia di persone che si erano rifugiate nella Chiesa del Rosario – fa sentire sempre più alta e forte la sua voce, in difesa dei contadini poveri che diventano “il suo popolo”.
Ma ancora la “conversione” non è completa. A Febbraio del 1980, Romero compie un viaggio in Europa per ricevere la laurea Honoris Causa dall’Università di Lovanio (Belgio). Ha portato con sé un voluminoso Fascicolo in cui ha documentato i crimini degli Squadroni della Morte e i patimenti inflitti ai contadini salvadoregni. Vuole consegnarlo al nuovo Papa Giovanni Paolo II.
Dopo una lunga anticamera che preannuncia il clima dell’incontro, Romero è ricevuto da un Wojtyla gelido che gli dà tutt’altro «consiglio»: quello di non occuparsi degli oppressi, ma di tenere piuttosto in conto le buone relazioni con gli oppressori: «Lei, Signor Arcivescovo, si deve sforzare di avere una migliore relazione con il governo del suo paese», lo ammonisce il Papa, pronto alla crociata contro «il comunismo» insieme al Presidente USA Ronald Reagan. Intanto, come risulta dagli archivi Cia, qualcuno sta già ordinando l’omicidio dell’Arcivescovo “terzomondista”.
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E l’omicidio di Oscar Arnulfo Romero, il Prete che era diventato “la voce dei senza voce”, arriva puntuale, dopo la sua ultima Omelia in cui, tra l’altro, dice, con voce ferma:
«In nome di Dio, di questo popolo sofferente… vi chiedo, vi prego, vi ordino in nome di Dio, cessi la repressione». E ancora: “Signore, in questo calice il vino diventa il sangue che è stato il prezzo della salvezza. Possa questo sacrificio darci il coraggio di offrire il nostro sangue per la giustizia e la pace del nostro popolo.”.
È il 24 Marzo del 1980 e sono queste le ultime parole pronunciate da Oscar Arnulfo Romero, Arcivescovo di San Salvador, al termine della sua lenta ma sicura “conversione” e della sua vita. (**)
Morire per il proprio Popolo
Dopo il colpo di fucile che colpisce l’Arcivescovo Romero ancora sull’altare, le fotografie di un Reporter italiano, Paolo Brosio, arrivato lì per caso, mostrano che dalla bocca e dal naso di Monsignor Romero uscivano fiotti di sangue e dopo pochi momenti di agonia, arrivato in Ospedale, il Prete diverso, schivo, timido, ma anche nervoso e irritabile; il Prete che dava la voce ai “senza voce”, spirerà.
Arrivano da tutto il Salvador i poveri per vedere, ancora una volta, il loro Vescovo. Il suo volto – attraverso la finestrella di vetro della bara – sembra sereno.
Per vedere Romero e soprattutto chi è lì per rendergli l’ultimo omaggio, verranno anche le spie della polizia fingendo – a fatica però – una faccia di circostanza; verranno giornalisti da tutto il mondo, verranno, da tutto il Salvador, anche molti vecchi e persone che sono ancora giovani, ma pensano di avere davanti a sé poco tempo da vivere: perché nel Salvador di Oscar Arnulfo Romero, per quanto riguarda la morte, l’età conta poco.
Oggi Romero è un Santo della Chiesa di Roma, come lo è Karol Józef Wojtyła, Papa Giovanni Paolo II, il Papa del lapidario “consiglio” all’Arcivescovo salvadoregno diventato “terzomondista” e – ne sono certo – la convivenza tra le due anime sante non deve essere affatto tranquilla.
Due consigli di lettura
Il primo, forse solo in Rete è ancora possibile trovare copia di un libro che racconta la vita di Monsignor Romero ed il suo lento cammino verso la “conversione”. Si tratta di Oscar Arnulfo Romero, “Diario 1978-1980”, Edizioni La Meridiana, 1991.
Il secondo consiglio, nel 2011 esce nelle Librerie, per i tipi della Editrice Il Margine, il Saggio di Ettore Masina, “L’Arcivescovo deve morire, Oscar Romero e il suo Popolo”, con Prefazione di Leonardo Bof, Teologo della Liberazione. Forse anche questo testo è di difficile reperimento, se non in Rete. Dunque, buona caccia! (***)
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Questa Nota è stata resa possibile dalla lettura, sul Quotidiano il Manifesto, del pezzo di Geraldina Colotti pubblicato il 5 Febbraio 2015 che potete leggere qui: https://ilmanifesto.it/la-lunga-conversione-del-vescovo-conservatore; nonché dall’ascolto del Podcast “La Storia in Giallo, 28-Oscar Romero”, di Antonella Ferrera, prodotto da RAI Radio3 per Ray Play Sound (https://www.raiplaysound.it/audio/2023/11/La-Storia-in-Giallo-2004-07-24-OSCAR-ROMERO-f7507cf1-55ce-4c5a-b217-74af7a640711.html).
(*) Roberto D’Aubuisson Arrieta è noto come fondatore del Partito politico Alleanza Repubblicana Nazionale (ARENA), Capo degli Squadroni della Morte salvadoregni e mandante dell’assassinio dell’Arcivescovo Monsignor Oscar Arnulfo Romero, ucciso sull’altare da diversi colpi di arma da fuoco (un fucile) mentre celebrava Messa nella Cappella dell’Ospedale della Divina Provvidenza in San Salvador, la Capitale di El Salvador. D’Aubuisson sarà deputato all’Assemblea Legislativa Nazionale, nel periodo 1982-1983 e candidato alle Presidenziali nel 1984, ma sarà battuto da Josè Napoleon Duarte e morirà nel 1992 per un tumore all’esofago.
(**) “Secondo il quotidiano salvadoregno Diario CoLatino sarebbe stato individuato il killer che, con un fucile di precisione, freddò Romero sull’altare mentre alzava l’ostia. Si tratta di Marino Samayoa Acosta, sotto-sergente della seconda sezione dell’ormai abolita “Guardia nazionale”. Le rivelazioni emerse sono pesanti e chiamano in causa le responsabilità degli apparati statali. Responsabilità che sempre hanno aleggiato sul delitto, ma mai, finora, erano state provate. Il killer di Romero era, all’epoca, membro della sicurezza del presidente, il colonnello Arturo Armando Molina. E, secondo il Diario, sarebbe stato il figlio di Molina, Mario, a mettere a disposizione il sicario per eliminare un vescovo divenuto fin troppo scomodo, per le sue denunce contro il regime. A dare la rivelazione, sarebbe stato il maggiore Roberto D’Aubuisson, fondatore degli Squadroni della morte e mandante dell’omicidio, che si conferma così un “omicidio di stato”. Di quelli di alto rango perché, se è vero che ai tempi della guerra civile oltre 200mila attivisti furono uccisi o fatti sparire, l’uccisione di uno dei maggiori leader della chiesa cattolica nazionale ha un significato ben diverso.” (Fonte: https://www.ilfattoquotidiano.it/2011/09/12/individuato-il-killer-di-romero-il-vescovodi-san-salvador-scomodo-al-regime/156962/#:~:text=Secondo%20il%20quotidiano%20salvadoregno%20Diario).
(***) Sulla figura e sulla tragica fine di Monsignor Oscar Arnulfo Romero, oltre ai Volumi che ho segnalato sopra sono stati prodotti sia un Film “Romero”, diretto nel 1989 dal regista John Dugan e voluto dalla Chiesa cattolica che due Drammi teatrali. Il primo intitolato “Il Martirio del Pastore” e scritto da Samuel Rovinski. Il secondo intitolato “Oscar Arnulfo Romero, Morte per un Popolo”, scritto da Padre Luigi Francesco Ruffato.
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