Potrebbe succedere a chiunque

Una storia che mostra uno spaccato della nostra Italia di oggi
Don Domenico Vitulli - 10 Marzo 2023

Voglio raccontare una storia. Mi è stata raccontata come vera, anche se stento a crederci. La voglio raccontare perché potrebbe succedere a chiunque. La voglio raccontare perché ci mostra uno spaccato della nostra Italia.

Ho un amico rumeno. Sono scaduti i suoi documenti e non li ha rinnovati. Ha ricevuto un’intimazione a lasciare il paese tempo fa, ma vi ha fatto ricorso e gli è stata fissata l’udienza il 17 febbraio 2023. Il giorno dopo Natale un tunisino, ben conosciuto a Quarticciolo per le sue violente rapine ai passanti, gli ha però strappato dalle mani il cellulare. Se a questo ci aggiungiamo delle forze di polizia alquanto incerte, ecco le premesse per una commedia dal sapore amarognolo.

L’amico viene a raccontarmi il furto e io lo invito a denunciare, almeno per ottenere una nuova scheda telefonica col vecchio numero. Va alla Polizia. È l’ora di pranzo, ma i poliziotti sono persone attente e subito rilevano che il mio amico ha un foglio di via che non ha rispettato; tuttavia anche i migliori uffici hanno i loro buchi e lì non risulta la sospensione del provvedimento dovuta al ricorso. Basterebbe telefonare all’avvocato del mio amico per accertarsene, ma il numero è nel cellulare rubato e il cercare il numero su qualche elenco via internet sembra un concetto difficile da comprendere per gli addetti.

Si potrebbe accompagnare la persona a casa sua, dove ha le carte per attestare il ricorso presentato e la data dell’udienza, ma anche questo sembra fuori questione, senza un perché. Decidono di rivolgersi all’Ufficio Immigrazione, di persona, ma arrivano esattamente un minuto dopo la chiusura, alle 18.01, e neanche tra colleghi sembrano disposti a venirsi incontro. Le soluzioni sono due: rilasciare il pericoloso criminale intimandogli il ritorno il giorno dopo con le attestazioni richieste, oppure trattenerlo; lo riportano in questura e decidono di lasciarlo andare. Significa anche per gli agenti potersene tornare a casa. Sembra fatta, anche senza aver ancora scritto alcuna denuncia del furto del cellulare, ma almeno si va a casa. All’improvviso ecco che arriva tuttavia un ispettore che straccia l’invito a ripresentarsi il giorno dopo, si rifiuta di farlo accompagnare a casa a prendere le sue carte e lo sbatte in una cella a dormire sul pavimento per tutta la notte, così, tanto per far vedere la serietà delle nostre forze dell’ordine. Chi era andato a denunciare un furto si ritrova a dormire sul cemento e il ladro di cellulari per adesso può dormire sonni tranquilli.

Il mattino dopo si organizza una nuova gita all’Ufficio Immigrazione (ma non basterebbe telefonarsi?), ma anche lì non risulta il ricorso fatto; in un impeto di creatività viene suggerito ai colleghi che si sono portati appresso il mio amico di accompagnare il presunto reo al suo domicilio per controllare se davvero esistono queste carte giuridiche: niente da fare, chissà perché non si può fare. Così dalle 9 del mattino fino al pomeriggio la polizia – che non conosceva l’uso del telefono per rintracciare l’avvocato, né per consultare l’Ufficio Immigrazione – scopre la comodità di telefonare dalla scrivania e si mette a cercare un posto letto in qualche Centro di Permanenza per il Rimpatrio, che però risultano tutti pieni.

L’Ufficio Immigrazione ha un vero colpo di genio però e finalmente trova il numero di telefono dell’avvocato che immediatamente, alle 16, manda un fax con i documenti che attestano il ricorso presentato. Finalmente il mio amico diventa un essere umano con dei diritti e può sporgere denuncia per il furto del cellulare, ma – misteri della burocrazia italiana – viene attestato invece il suo smarrimento.

Se si tratti di disorganizzazione o siano le prove di qualche filmetto comico, proprio non lo so. È certo che andare a denunciare un reato è diventato pericoloso. Lo spavento della rapina dura pochi istanti, la paura degli interrogatori, della notte in cella, dell’incertezza dell’esito nella più totale confusione delle procedure è durata dalle 13 del 26 alle 18 del 27 dicembre. Quando me lo racconta il giorno dopo è ancora tanta l’agitazione, la rabbia e l’umiliazione.

Questo è quanto mi ha detto e mi ha chiesto di scrivere, di far sapere. Mi sembra tutto assurdo, ma lui non è persona di grande fantasia. Nessuno si è scusato con lui, dice con rabbia. L’udienza a febbraio poi c’è stata e il suo ricorso è stato accolto, può rimanere liberamente in Italia. D’ora in poi non dovrebbe avere più problemi a sporgere denuncia, se ne avesse bisogno.

Quante persone sul nostro territorio nazionale però non denunciano i reati di cui sono vittime per paura di subire lo stesso trattamento? Naturalmente, se tutto questo è vero. E se questo è vero, ecco l’Italia che siamo diventati.

don Domenico Vitulli, parroco a S. Tommaso d’Aquino

Macelleria Colasanti

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