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Quando la neutralità è solo una parola vuota

Anche in Svizzera i fascisti tentarono una “Marcia su” e videro con favore il fascismo italiano e il nazismo hitleriano
D.: Perché la Svizzera non è stata invasa dalla Germania nazista? R.: “È ormai di buon gusto puntare i riflettori sui servizi economici forniti dalla Svizzera alla Germania nazista per spiegare la salvaguardia dell’indipendenza della Confederazione Elvetica.” (Christophe Farquet, Storico specializzato in Storia dell’Economia e Assistente all’Università di Ginevra)

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«Andammo al confine [con la Sizzera, Ndr.] come richiedenti asilo, ma ci ricacciarono indietro perché non ci credettero. Per quella guardia di frontiera eravamo dei bugiardi: non era vero che gli ebrei in Italia venivano perseguitati. Così fummo arrestati». (Liliana Segre, sopravvissuta ad Auschwitz e dal 19 Gennaio 2018, Senatrice a Vita della Repubblica Italiana)

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Nota: la penetrazione del nazifascismo nella neutrale Svizzera è una pagina poco conosciuta della Storia del ‘900. Una pagina che ci riguarda, considerato il favore con cui, in alcuni ambienti della Confederazione Elvetica, era visto (e apprezzato) il fascismo di Mussolini che in Svizzera era stato esule, quando ancora era un socialista. Anche il nazismo era visto con favore in una parte della Svizzera, quella di lingua tedesca, ma – come leggerete – fu l’intera Confederazione a avere fattivi e continuativi rapporti economici con i nazisti. Ho provato, allora – sulla base di alcuni testi in mio possesso (nel Canton Ticino è attiva una Casa Editrice, la “Edizioni Casagrande”, che pubblica testi in lingua italiana) e di Note reperite in Rete sull’argomento – di mettere in fila qualche cartella per – come spesso scrivo – “capire e capirci”. Dunque, buona lettura. (U.F.)

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Elvezia il tuo governo / schiavo d’altrui si rende / d’un popolo gagliardo / la tradizione offende / e insulta la leggenda / del tuo Guglielmo Tell //.”.

Così, nel Gennaio del 1895, scrive in carcere l’anarchico italiano Pietro Gori (1865-1911) in un Canto che diverrà famoso con il titolo di “Addio Lugano Bella” (titolo originale “Addio a Lugano”) scritto per denunciare di essere stato costretto – insieme ad altri  dodici  suoi  compagni di lotta – a lasciare la Svizzera per essere riconsegnato all’Italia sabauda (che aveva esercitato forti pressioni per la sua estradizione); Confederazione Elvetica che così tradiva (meglio insultava) “la leggenda” di Guglielmo Tell, ovvero la tradizione di accoglienza (leggi asilo politico) che la neutrale Svizzera aveva sempre avuto e onorato – dai tempi di Carlo Cattaneo – verso gli esuli politici italiani.

Tra Storia e Leggenda: il mito di Guglielmo Tell

Così l’Enciclopedia Italiana Treccani, sulla figura di Guglielmo Tell, arciere leggendario ed eroe nazionale svizzero:

Tutto sembrerebbe indicare che non si tratta di un personaggio realmente esistito. È possibile che l’intera leggenda sia nata in Norvegia intorno al 10°-11° secolo, in quanto il tema dell’arco e della mela si ritrova in una cronaca del 1200 redatta dal dotto danese Saxo Grammaticus. Tuttavia le vicende che fanno da sfondo alle sue gesta rievocano un avvenimento storico e reale, la conquista dell’indipendenza da parte della Confederazione elvetica intorno al 1300, e per questa ragione Guglielmo Tell è diventato l’eroe nazionale del popolo svizzero.”.

Forse con il colpo basso (meglio malvagio) tirato all’anarchico messinese e ai suoi compagni, per la prima volta, la Confederazione Elvetica piegava a ragioni di convenienza politica il principio basico della sua neutralità, ma certo quella non sarà l’ultima volta che questo tradimento avrà luogo. Anche durante la Seconda guerra mondiale – come racconta all’inizio di questa Nota la Senatrice a Vita Liliana Segre – questo è avvenuto, ad esempio, con molti italiani ebrei che si presentavano al confine con la Svizzera e venivano respinti e la sua storia e quella di suo padre non sono, purtroppo, le uniche che si potrebbero raccontare sull’argomento; “respingimenti”, di profughi (leggi migranti) oggi sulla cresta dell’onda da noi e nell’intera Unione Europea.

I numeri e le vite: profughi accolti e respinti nella Svizzera neutrale

In Svizzera è ancora acceso il dibattito sul numero di civili (tra i quali figuravano molti ebrei) respinti alle frontiere della Confederazione, durante gli anni 1943-1945.

Il “Rapporto Bergier” – Commissione di Esperti e Storici che aveva iniziato il suo lavoro di Ricerca sulla Svizzera nella Seconda guerra mondiale nel 1997 e lo aveva concluso cinque anni dopo, pubblicando le sue Conclusioni in un Rapporto che porta il nome del Presidente di quella Commissione – aveva stimato che erano stati 24.398 i civili respinti alle frontiere nel periodo su indicato e di questi il 27% erano italiani ebrei.

Recentemente però, la Storica svizzera Ruth Fivaz-Silbermann ha ritrovato le tracce di 15.519 ebrei che durante la Seconda guerra mondiale avevano tentato di attraversare la frontiera franco-svizzera, in cerca di rifugio. Di questi, secondo la Ricercatrice, solo 2.844 erano stati respinti e almeno 248 di loro furono deportati e sterminati nei Lager nazisti.

Dunque, i numeri messi sul tappeto sono in contrasto e racconterebbero due differenti verità. Di questa differenza numerica e di quello che sott’intende molto si discute in Svizzera. Ma a me pare che anche il numero di meno di 3mila ebrei respinti, indicato dalla Fivaz-Silberman sia comunque alto per come la Svizzera era vista (e teneva a farsi vedere) in quegli anni dal resto del mondo; trattandosi comunque di persone e vite delle quali si immaginava (meglio si sapeva) anche in Svizzera, quale poteva essere (e per molti fu) la fine decretata da quel diniego all’accoglienza.

Ma prima di inoltrarci in questo racconto, occorre fare un passo indietro ad una data per noi italiani storicamente importante. Mi riferisco, al 28 Ottobre del 1922, il giorno in cui avvenne un fatto, di fatto (sorry), mai avvenuto, almeno come ce lo hanno sempre raccontato, ovvero la cosiddetta “Marcia su Roma” dei fascisti di Benito Mussolini.

Perché ho scritto “mai avvenuto”? Perché, di fatto, quella fascista fu una messa in scena per la presa di un potere che il re savoiardoVittorio Emanuele III, aveva già deciso di consegnare nelle mani di Benito Amilcare Andrea Mussolini (1883–1945), capo del Movimento fascista dei “Fasci di Combattimento”, nato nel 1919 a Milano, in Via San Sepolcro. ”Marcia su Roma” che Mussolini stesso – a riprova di quello che effettivamente essa fu: una comoda passeggiata delle squadracce fasciste, non esente dalle solite vigliacche aggressioni  a mano o armata di manganello degli antifascisti – fece in vagone letto, proveniente proprio  da Milano, arrivando a Roma riposato e, si presume, “fresco come una rosa”, come solitamente si dice in questi casi.

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Tornando alla Svizzera, quella italica “Marcia su Roma – così come la successiva ascesa al potere di Benito Mussolini – nella Confederazione Elvetica fu accolta, da diverse cerchie politiche, con fragorosi applausi.

Il cuore pulsante del fascismo elvetico si trovava a Losanna – città sul Lago di Ginevra, nel Cantone di lingua francese di Vaud – dove, nel 1902, il disertore socialista Benito Mussolini si era rifugiato, guadagnandosi a stento da vivere, lavorando come manovale e garzone. Molto presto però il futuro duce del fascismo riuscì a farsi un nome, all’interno della colonia italiana del Cantone di lingua francese, mettendosi in evidenza grazie a discorsi incendiari e ai suoi articoli pungenti sulle pagine del Giornale “L’Avvenire del lavoratore”. Nel 1904 Mussolini lasciò la Svizzera, ma le sue macchinazioni sediziose ebbero un effetto prolungato su tutto il territorio della Confederazione Elvetica.

Il dottorato honoris causa conferito a Benito Mussolini dall’Università di Losanna (“Per aver concepito e realizzato nella sua patria un’organizzazione sociale che ha arricchito la scienza sociologica e che lascerà una traccia profonda nella storia”)

Meno di una ventina di anni dopo quegli eventi personali del duce, il fascismo aveva preso il potere in Italia e in Svizzera la cosa aveva suscitato molto interesse (e plauso) in diversi settori borghesi della società, anche se il dottorato “Honoris Causa” concesso nel 1937 a Mussolini, dall’Università di Losanna, aveva scatenato un vespaio di critiche feroci.

Tre – raccontano gli Storici elvetici– furono le figure importanti del fascismo svizzero (modellato su quello mussoliniano) che aveva attecchito nella Confederazione: il ginevrino Georges Oltramare, il vodese Arthur Fonjallaz e il ticinese Enzo Rezzonico, il vice di Fonjallaz, che lavorava nel Canton Ticino (Svizzera Italiana) per fondare la Federazione Fascista Ticinese (FFT), intenzionato anche a fondare una Sezione locale (un Fascio) della FFT con gli svizzeri residenti a Milano. Il progetto però fallirà miseramente per via di lotte intestine a quel Fascio estero che, alla fine, comportarono anche l’intervento del Rappresentante diplomatico svizzero a Roma.

Fascismo: il Ticino, un caso speciale

Il fascismo italiano manifestò, da subito, un grande interesse per il Canton Ticino, Cantone svizzero di lingua italiana. “Le mire espansionistiche italiane venivano legittimate da una parola d’ordine: irredentismo. Una dottrina, questa, che considerava i gruppi etnici svizzeri di lingua italiana e romancia “irredenti fratelli di sangue e di lingua”, futuri membri del regno italiano.

Questa assurdità attecchì in alcuni ticinesi soprattutto per un motivo: la crescita della popolazione della Svizzera tedesca e del Reich andava, a loro modo di vedere, di pari passo con un intollerabile disprezzo nei confronti della cultura italiana. La grande maggioranza dei ticinesi non si lasciò irretire dalla dilagante propaganda italiana. Tuttavia, uno zoccolo duro degli estremisti di destra ticinesi causò irritazione nel Governo cantonale.” (https://www.swissinfo.ch/ita/cultura/).                                   

Tra il 1933 e il 1936 fu pubblicato in tre lingue il Settimanale “Il fascista svizzero” (Schweizerische Nationalbibliothek, Berna)

Anche i fascisti ticinesi tenteranno una parodia della “Marcia su Roma” mussoliniana. Ecco come la storia di quel tentativo di Golpe, miseramente fallito, è raccontata in un interessante Sito online svizzero:

“Il 25 gennaio 1934 i seguaci di Rezzonico si riunirono a Lugano, pronti a marciare sul capoluogo ticinese [Bellinzona, Ndr.] con l’intenzione di occupare la sede del Governo cantonale e chiedere l’annessione all’Italia. L’azione irredentista, tuttavia, contro ogni aspettativa lasciò indifferenti gli italiani del Ticino, che se ne tennero lontani. Per finire, solamente un gruppetto formato da una sessantina di dimostranti armati marciò verso il palazzo del Governo. Qui fu accolto da circa 400 antifascisti, piazzatisi davanti alle porte sbarrate dell’edificio parlamentare. A parte qualche tafferuglio non successe nient’altro. Il piano dei fascisti, che prevedeva di sabotare la seduta del Governo, si risolse in un nulla di fatto.

Complice questo fiasco, dopo alcune lotte gerarchiche Rezzonico fu escluso dalla guida della Federazione fascista ticinese e in seguito si ritirò per qualche tempo nel suo podere a Torino. L’Asse Roma-Berlino e l’aggressione della Wehrmacht contro la Polonia avvenuta il 1° settembre 1939 contribuirono a far aprire gli occhi alla maggioranza dei fascisti ticinesi, e l’unione tanto auspicata dai fronti della Svizzera tedesca fallì definitivamente. Quando nove mesi più tardi anche l’Italia entrò in guerra, in tutta la Svizzera lo spirito fascista andò dissolvendosi. Nel 1941 Fonjallaz fu arrestato e condannato a tre anni di reclusione per spionaggio. In quel periodo Rezzonico riapparse a Porza, vicino a Lugano, e da lì in poi visse nell’ombra come politico locale e giornalista.” (https://www.swissinfo.ch/ita/cultura/).

Per meglio comprendere quanto fin qui avete letto consiglio la lettura di un’interessante Saggio di Francesco Scomazan – Dottore di Ricerca in Storia contemporanea, si occupa principalmente di relazioni tra Italia e Svizzera negli anni del fascismo e del secondo dopoguerra. Già borsista del Fondo Nazionale Svizzero, collabora con la Fondazione Memoria della Deportazione di Milano e fa parte del Consiglio direttivo dell’Istituto di Storia Contemporanea «Pier Amato Perretta» di Como – intitolato “La Linea Sottile” e pubblicato nel 2022 dalla Casa Editrice Donzelli, di cui appresso potete leggere una breve sinossi.

Francesco Scomazan, “La Linea Sottile”, Donzelli, 2022 – Il Libro

Se le frontiere riflettono i rapporti di potere tra Stati, quale ruolo può avere un confine che separa dittatura e democrazia? E se la democrazia è quella di uno Stato neutrale come la Svizzera, chiamato a confrontarsi e rapportarsi per oltre vent’anni con il fascismo mussoliniano, quel confine rappresenta una netta linea di demarcazione o piuttosto il tratto distintivo di una regione dove le differenze politiche, sociali ed economiche sfumano dando vita a una realtà del tutto peculiare? Negli anni del fascismo l’apparente e invalicabile «linea sottile» che separa Italia e Svizzera sembra frantumarsi sotto i colpi di una dittatura che finisce per metterne in risalto connessioni e intrecci, elevando quella regione ad area di congiunzioni e smerci, politici ed economici: una calamita per rifugiati, antifascisti e trafficanti che trasforma una periferia del potere in un centro di attrazione e azione.

Rocamboleschi traffici, avventurosi andirivieni e clamorose azioni contro il regime fanno da sfondo a un originale palcoscenico dove l’incontro-scontro tra fascismo e democrazia, dittatura e libertà, definisce i rapporti che separano Roma da Berna, l’Italia dalla Svizzera, crocevia di contatti con Francia, Germania e una Spagna martoriata dalla guerra civile. Una «linea sottile» che è precario equilibrio tra aiuto e profitto, assistenza e tradimento, salvezza e condanna. Sullo sfondo l’ondivaga politica elvetica verso antifascisti, emigranti economici e profughi razziali, stretti tra ambigue accoglienze e devastanti respingimenti: una «zona franca», quella del confine, campo da gioco per il disordinato apparato poliziesco fascista ma pure fertile terreno di scambi, contatti e riflessioni politiche, destinato a rivelarsi cruciale nel modellare il destino delle future democrazie, nonché dei rinnovati contatti tra l’Italia e la Svizzera del dopoguerra.” (https://www.donzelli.it/libro/9788855223379).

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Per quanto riguarda i rapporti della Svizzera con la Germania hitleriana, forse è noto l’affare dei conti correnti che molti ebrei aprirono nelle Banche svizzere, prima di essere deportati e della assai complicata successiva restituzione ai parenti di quanto in essi contenuto. Questo perché, da quelle banche, venne richiesto a quei parenti un documento che comprovasse la deportazione e la successiva dipartita dell’intestatario del conto nei Lager nazisti, cosa spesso difficile da comprovare, dato che i nazisti in fuga avevano distrutto la maggior parte dei documenti amministrativi dei Lager.

Questa storiaccia venne chiusa, nel 1998, con un Accordo tra la Confederazione Elvetica e lo Stato di Israele che prevedeva la restituzione però del solo capitale depositato che, per anni, aveva “dormito” nei forzieri di quelle banche che si tennero, invece, gli interessi che quei capitali avevano maturato e che rappresentavano, certamente, una cifra non indifferente, visto il molto tempo trascorso tra l’apertura di quei conti correnti, il loro numero, complessivo e il momento della richiesta di restituzione delle somme in essi contenute.

Se volete approfondire questo aspetto il libro consigliato s’intitola “Oro di Razza: la grande rapina nazista ai danni delle banche europee e delle vittime dell’Olocausto”, lo ha pubblicato nel 1997, la casa Editrice Il Mondo3 e lo ha scritto Furio Morroni, giornalista e all’epoca del libro corrispondente dell’ANSA da Tel Aviv. (se ne trova copia solo in Rete).

Ma anche altre furono le situazioni che denotavano come la Confederazione Elvetica fosse interessata ad avere rapporti privilegiati con la Germania nazista, nonostante quello che in quel Paese accadeva e nonostante la guerra, fatta scoppiare nel Settembre del 1939, proprio dai nazisti con l’invasione della Polonia.

Ne cito solo tre: le armi acquistate dalla Germania presso la Svizzeral’oro tedesco acquistato dalla Banca Nazionale Svizzera (BNS) e i crediti commerciali concessi dalla Svizzera alla Germania nazista. Questi fatti ebbero due conseguenze. La prima: Hitler si dissuase dall’invadere la Confederazione Elvetica, ché gli faceva comodo restasse indipendente e soprattutto “neutrale”. La seconda: gli svizzeri letteralmente si “girarono dall’altra parte” mentre i convogli dei deportati diretti verso i Lager nazisti sfioravano i loro confini. Aggiungo che forse i respingimenti degli ebrei al confine, di cui ho accennato sopra, furono messi in atto dal Governo Centrale svizzero proprio per non alienarsi i i fruttiferi rapporti economici e commerciali con i nazisti tedeschi.

Delle prime due situazioni che ho elencato sopra parla diffusamente lo Storico svizzero Christophe Farquet nel pezzo pubblicato, nel Febbraio di quest’anno, sul Sito web “Swissinfo.ch.”. Lo trovate qui in italiano: https://www.swissinfo.ch/ita/storia/la-neutralit%C3%A0-svizzera-durante-la-seconda-guerra-mondiale-continua-a-far-discutere/49151232 .

Una Nota a margine: la Svizzera e l’internamento dei militari alleati

Dal 1943, la Svizzera fermò gli aerei americani e britannici, principalmente bombardieri, che sorvolavano il Paese durante la seconda guerra mondiale. In numerose occasioni durante la guerra, aerei alleati sconfinarono nello spazio aereo svizzero; per lo più i bombardieri alleati danneggiati di ritorno da incursioni in Italia e Germania i cui equipaggi preferivano l’arresto da parte degli svizzeri piuttosto che diventare prigionieri di guerra. Oltre un centinaio di equipaggi di aerei alleati furono internati e collocati in stazioni sciistiche lasciate abbandonate, dopo lo scoppio della guerra. Dovevano essere trattenuti lì fino alla fine del conflitto. Almeno 940 aviatori americani tentarono di fuggire in Francia dopo l’invasione della Normandia, ma le autorità svizzere intercettarono 183 internati. Oltre 160 di questi aviatori furono incarcerati in un Campo di prigionia svizzero noto come Wauwilermoos, che si trovava vicino a Lucerna, cittadina situata sul Lago omonimo che dà il nome al Cantone di lingua tedesca che essa stessa costituisce – ed era comandato da André Béguin, un ufficiale svizzero filonazista. Gli internati americani rimasero a Wauwilermoos fino al Novembre 1944, quando il Dipartimento di Stato statunitense protestò conil governo svizzero e alla fine ne assicurò il rilascio e il rimpatrio.

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Forse, l’ho fatta un po’ troppo lunga, ma come ho già fatto presente tempo addietro la sintesi non mi appartiene. Comunque, spero di avere messo sul tappeto un argomento interessante e altresì spero di avere stimolato la vostra sicura intelligenza (nel senso letterale del termine, ovvero quello di “stare dentro le cose e saperle “leggere” e capire) che certo anche su questo pezzo di Storia continuerà a scavare, per portare alla luce altre “schegge di Memoria”.


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