Raccontare la migrazione nelle scuole: l’esperimento

Gregorio Staglianò - 6 Dicembre 2018

Raccontare la migrazione non è facile: non lo è in televisione, sui giornali, nel dibattito pubblico dove persino gli addetti ai lavori vedono minate le loro ricerche e i loro studi dalle distorsioni delle contingenze politiche. Non è facile raccontarla nelle piazze, nelle università, nelle sezioni di partito, nelle associazioni o nelle parrocchie. Il velo di Maya che riveste l’analisi di una questione globale come la migrazione, dovuto appunto alla discussione che se ne trae da studi superficiali e motivati da passioni politiche piuttosto che ricerche approfondite, scientifiche e di lungo termine, influisce pesantemente sulla percezione della realtà dell’effettivo impatto della migrazione nella nostra società.

Allora perché non provare a raccontare i numeri, i dati, il quadro legislativo internazionale e nazionale, le rotte e le condizioni delle centinaia migliaia di persone che lasciano il proprio Paese per altri lidi alle scuole, nei licei? Già, perché non raccontarlo a quella fascia di giovani che forse più di tutti subiscono il bombardamento informativo – distorto e no – dalla televisione, dalla stampa o soprattutto, dal web? È quello che ho provato a fare lunedì 3 dicembre 2018 al Liceo francese Chateaubriand di Roma, in Via di Villa Patrizi ad una classe di attentissimi uditori.

Ho provato a raccontare di alcune esperienze personali come volontario prima in una struttura di accoglienza per migranti in transito, e come responsabile di un Centro di Accoglienza Straordinario nel territorio del Lazio, spiegando loro quali fossero i miei compiti e le difficoltà di operare in un settore complesso. Impossibile poi non fornire una panoramica su quali siano state in passato e siano oggi le rotte, le direzioni e i percorsi che migliaia di esseri umani scelgono per attraversare il Mediterraneo alla ricerca di condizioni di vita migliori. A giudicare dalla loro crescente attenzione ho voluto calcare la mano, provando ad annoiarli fornendo loro una panoramica legislativa internazionale – attraverso la breve disamina delle Convenzioni più importanti, come quella di Ginevra del 1951, o spiegando loro cosa fosse il Trattato di Dublino – e nazionale – con un excursus storico partito dalle leggi in vigore negli anni Trenta, fino alle novità introdotte dal Decreto Sicurezza. Ebbene, non ci sono riuscito, i ragazzi continuavano ad annotare appunti e a chiedere spiegazioni. Non sono riuscito ad annoiarli.

Se non hanno sbattuto la testa contro il banco o guardato fuori dalla finestra il moto delle foglie trasportate dal vento è sicuramente grazie alla loro volontà di capirne di più, non grazie al relatore. Quella volontà, che chi si è dimenticato di essere adolescente, crede sopita, seppellita per sempre fra i social network e l’atarassia. Niente di più errato: la necessità e l’urgenza di informarsi, di capire gli ingranaggi della società, di avere le chiavi interpretative del mondo, sono ancora oggi, quando tutto sembra perduto, i bisogni primari di ogni ragazzo che si affaccia dalla finestra, a cui non viene concesso, da un dibattito pubblico in cancrena, di sviluppare una coscienza critica. Questi ragazzi, quelli del Liceo Chateaubriand e tutti quelli che oggi chiedono di “sapere” sono l’argine, la resistenza, la penna e lo scudo contro la spada di Damocle della politica sterile e vuota, delle fake news e della disinformazione.


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