

Memoria di un combattente antifascista, di un politico democratico e di un uomo d'azione
Come può accadere che una scelta personale diventi, di fatto, qualcosa di collettivo in grado di cambiare non solo una vita, ma molte vite (anche se “ristrette”) lo sa Francesca Columbano che nel 2012 decide di fare Servizio Civile e va a lavorare presso il “Servizio Biblioteche in Carcere”, di Biblioteche di Roma. Francesca chiede di intervenire all’interno dell’Istituto Penale per Minorenni Casal del Marmo di Roma, fondando, nel 2014, l’Associazione “FuoriRiga” (di cui è Presidente).
Da allora FuoriRiga ha reso la Biblioteca di Casal del Marmo un servizio stabile all’interno dell’Istituto minorile, incrementandone il patrimonio librario che consta, oggi, di oltre 7mila volumi. Ecco come trasformare una scelta individuale in un’azione collettiva che coinvolge oggi molte persone fuori e dentro il Carcere. Uno come me, che ama i libri (quelli cartacei di cui puoi sentire l’odore delle pagine mentre le sfogli) non poteva farsi sfuggire una notizia come quella che avete letto che però non ha avuto molto spazio nemmeno sul Quotidiano sul quale l’ho letta.
Qualcuno, che affatto rimpiangiamo, diceva che “con la cultura non si mangia” e che la Cultura (quella con la C maiuscola) non faccia notizia è noto. A maggior ragione, se la Cultura entra e dà frutti dentro i luoghi “ristretti” che chiamiamo “Carceri”, “Case Circondariali”, “Istituti Penali” “Correzionali”, “Galere” e via scrivendo (la lingua italiana è dinamica e possiede molte parole da spendere per indicare un solo e unico quid) luoghi nei quali qualcuno vorrebbe rinchiudere sempre più persone “moleste” e “disturbanti” e “buttare via la chiave”.
Ma luoghi dove, invece, Progetti come quelli portati avanti. con i libri. dall’Associazione “FuoriRiga”, sono simbolo di presa di coscienza, riscatto sociale e volontà di cambiamento dei “ristretti” (e non solo di loro) e danno vita concreta al terzo comma dell’Articolo 27 della nostra Costituzione. Qui il Sito web dell’Assoiazione: https://www.fuoririga.org/
Antonio Gramsci (1891-1937) che la galera fascista aveva conosciuto per non più uscirne, vivo, così scriveva, sul primo numero de L’”Ordine Nuovo”, pubblicato il Primo Maggio del 1919: “Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza”.
“La mobilitazione fascista avviene fra il 26 e il 27. Il 28 deve avere inizio la ‘marcia’. È attorno a Roma che si devono decidere le sorti d’Italia. Mussolini prende il treno a Napoli, traversa Roma e si confina a Milano. Milano sta dalla parte opposta, a 600 chilometri da Roma. Se fosse rimasto a Napoli, sarebbe stato più vicino. Originale ubicazione di combattimento. Anche con la strategia moderna, 600 chilometri di distanza dal grosso che si batte sono effettivamente molti. Ma, in compenso, Milano ha il vantaggio di essere a pochi chilometri dalla frontiera svizzera.” (Emilio Lussu, “Marcia su Roma e dintorni”, 1931)
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“Che ne sarebbe della civiltà del mondo, se l’ingiusta violenza si potesse sempre imporre senza resistenza?” (Emilio Lussu, “Un Anno sull’Altipiano”,1938)
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In una scena del Film La Grande Guerra (1959) di Mario Monicelli (1915-2010), i soldati Oreste Jacovacci, romano (Alberto Sordi) e Giovanni Busacca, milanese (Vittorio Gassman) sono su una collinetta a chiacchierare sulla forma delle nuvole che osservano in cielo quando vedono, più in basso, un austriaco che, fischiettando, si sta facendo il caffè. Loro lo guardano, mentre si avvicina alla caffettiera che scoppietta sul fuoco, e iniziano a discutere su chi lo deve ammazzare: “Dai” – dice Giovanni, guardando Oreste.
“Io” – risponde Oreste – “io so’ un po’ miope, hai visto mai che non lo becco”. “Sei un pelandrone, sei” – attacca Giovanni – “come tutti romani”. “Appunto” – risponde ancora Oreste – “Spara tu che sei milanese”. “Cosa c’entra questo”. “Io c’ho un principio che siamo tutti fratelli”. “E sono contro la guerra io”, asserisce Giovanni. E Oreste: “Ma lui no però”. E non si decidono. L’austriaco sarà, alla fine, ucciso da un loro commilitone che, arrivato alle spalle dei due, prima spara e uccide il “nemico” e poi li rimbrotta per la loro indecisione “vigliacca”, ché in guerra si spara per uccidere e senza starci a pensare troppo su, ché in guerra non si fa “filosofia”.
In realtà quella scena – nel Film di Monicelli messa sul comico (ma si sa che il genere comico, spesso, si usa per presentare situazioni di grande serietà) – è presa di peso dal Libro “Un Anno sull’Altipiano” (Einaudi, 2014, nella Collana degli Struzzi) che Lussu scrisse nel 1938 per raccontare – attraverso la sua esperienza di Ufficiale di Complemento del Regio Esercito – la “Grande Guerra” e l’assurdità assassina di quella carneficina planetaria che Papa Benedetto XV, al Secolo il Cardinale Giacomo Paolo Giovanni Battista della Chiesa, ebbe a definire “L’inutile strage”.
Nel suo libro, Lussu quella scena la racconta così:
“Certo, facevo coscientemente la guerra e la giustificavo moralmente e politicamente. La mia coscienza di uomo e di cittadino non erano in conflitto con i miei doveri militari. La guerra era, per me, una dura necessità, terribile certo, ma alla quale ubbidivo, come ad una delle tante necessità, ingrate ma inevitabili, della vita. Pertanto facevo la guerra e avevo il comando di soldati. La facevo dunque, moralmente, due volte. Avevo già preso parte a tanti combattimenti. Che io tirassi contro un ufficiale nemico era quindi un fatto logico. Anzi, esigevo che i miei soldati fossero attenti nel loro servizio di vedetta e tirassero bene, se il nemico si scopriva. Perché non avrei, ora, tirato io su quell’ufficiale? Avevo il dovere di tirare.
Sentivo che ne avevo il dovere. Se non avessi sentito che quello era un dovere, sarebbe stato mostruoso che io continuassi a fare la guerra e a farla fare agli altri. No, non v’era dubbio, io avevo il dovere di tirare. E intanto, non tiravo. […] Avevo di fronte un ufficiale, giovane, inconscio del pericolo che gli sovrastava. Non lo potevo sbagliare. Avrei potuto sparare mille colpi a quella distanza, senza sbagliarne uno. Bastava che premessi il grilletto: egli sarebbe stramazzato al suolo. Questa certezza che la sua vita dipendesse dalla mia volontà, mi rese esitante. Avevo di fronte un uomo. Un uomo! Un uomo! Ne distinguevo gli occhi e i tratti del viso.
La luce dell’alba si faceva più chiara ed il sole si annunziava dietro la cima dei monti. Tirare così, a pochi passi, su un uomo… come su un cinghiale! Cominciai a pensare che, forse, non avrei tirato. Pensavo. Condurre all’assalto cento uomini, o mille, contro cento altri o altri mille è una cosa. Prendere un uomo, staccarlo dal resto degli uomini e poi dire: «Ecco, sta’ fermo, io ti sparo, io t’uccido» è un’altra. È assolutamente un’altra cosa. Fare la guerra è una cosa, uccidere un uomo è un’altra cosa. Uccidere un uomo, così, è assassinare un uomo. Non so fino a che punto il mio pensiero procedesse logico. Certo è che avevo abbassato il fucile e non sparavo. In me s’erano formate due coscienze, due individualità, una ostile all’altra.
Dicevo a me stesso: «Eh! non sarai tu che ucciderai un uomo, così!» Io stesso che ho vissuto quegli istanti, non sarei ora in grado di rifare l’esame di quel processo psicologico. V’è un salto che io, oggi, non vedo più chiaramente. E mi chiedo ancora come, arrivato a quella conclusione, io pensassi di far eseguire da un altro quello che io stesso non mi sentivo la coscienza di compiere. Avevo il fucile poggiato, per terra, infilato nel cespuglio. Il caporale si stringeva al mio fianco. Gli porsi il calcio del fucile e gli dissi, a fior di labbra: – Sai… così… un uomo solo… io non sparo. Tu, vuoi? Il caporale prese il calcio del fucile e mi rispose: – Neppure io. Rientrammo, carponi, in trincea. Il caffè era già distribuito e lo prendemmo anche noi.”.
Ma Emilio Lussu non è stato solo un militare. Dopo aver partecipato, valorosamente, alla Prima guerra mondiale come Ufficiale di Complemento e avere conquistato, sul campo, due Medaglie D’Argento, due di Bronzo al Valor Militare e una Croce al Merito di Guerra, tornato in Sardegna è animatore del Movimento politico che, nel 1919 a Cagliari, porterà alla nascita del Partito Sardo d’Azione. Eletto Deputato nel 1921 e nel 1924, dopo il delitto Matteotti (10 Giugno 1924) fu tra i più fermi accusatori di Mussolini, tanto che il 31 Ottobre del 1926 gli squadristi assaltarono in forze la sua casa di Cagliari. Lussu si barricò e si difese, respingendo l’assalto a colpi di pistola. Un fascista fu ucciso e Lussu, arrestato, restò in carcere per tredici mesi. Assolto in istruttoria per legittima difesa, per volere di Mussolini fu confinato per cinque anni nell’Isola di Lipari.
Ma il 27 Luglio 1929, Lussu riuscì ad evadere dalla “villeggiatura” che il fascismo gli aveva regalato, con Carlo Rosselli e Francesco Fausto Nitti e a rifugiarsi a Parigi. Qui, con altri rifugiati politici italiani, dà vita al Movimento Politico “Giustizia e Libertà“. Dopo un periodo in Svizzera (per curare i postumi delle numerose ferite di guerra e dei disagi del carcere e del confino), Lussu, per breve tempo nel 1936 prende parte alla Guerra civile spagnola. Nel 1937, sostituisce Carlo Rosselli (assassinato in Francia con il fratello Nello dai fascisti della Cagoule, per ordine diretto di Mussolini) alla guida di Giustizia E Libertà.
«Lussu non ha ancora scavalcato il bordo che chiede: “Avete armi?” Sì. Lussu sorride. Il sorriso di Lussu ricorda stranamente Lenin. […] Siamo tutti protesi verso l’avvenire. Vogliamo lavorare, combattere, riprendere il nostro posto. Un solo pensiero ci guiderà nella terra ospitale: fare di questa libertà personale faticosamente conquistata uno strumento per la riconquista della libertà di tutto un popolo.». (Carlo Rosselli, Fuga in quattro tempi, 1931)
Lussu è alla testa di “Giustizia e Libertà” anche quando i tedeschi, nel Giugno del 1940, invadono la Francia ed entrano a Parigi. Nell’Agosto del 1943 riesce a rientrare in Italia e nel mese di Settembre è a Firenze, alla prima riunione nazionale del Partito d’Azione.
Dopo l’Armistizio è uno dei capi della Resistenza romana e, finita la guerra, nel 1945, entra a far parte del Governo Parri e del successivo primo Governo De Gasperi. Il 2 Giugno del1946, Lussu è eletto Deputato all’Assemblea Costituente. Con lo scioglimento del Partito d’Azione aderisce, nel 1947, al PSI per essere poi, nel 1964, tra i fondatori del Partito Socialista di Unità Proletaria.
Deputato, Senatore, Dirigente Nazionale dell’ANPI di Emilio Lussu, oltre che all’impegno politico è bene accennare a quello di scrittore, ricordando almeno il suo “Teoria dell’insurrezione”, edito in Francia nel 1936, il Saggio “Marcia su Roma e dintorni” (1931) e quello che è unanimemente considerato un capolavoro letterario, ma che di fatto rimane il suo manifesto politico, il già citato: “Un anno sull’Altipiano” (1938). Questo libro, sulla Prima guerra mondiale, è stato ristampato, nel 2008, da L’Unità, con un’Introduzione che Mario Rigoni Stern aveva scritto nel 2000. Ad Emilio Lussu sono intitolati, oltre che un Centro Studi, Scuole, strade, Biblioteche e Circoli culturali. (*)
Dunque, un uomo retto, un antifascista deciso e un politico intelligente (nel senso latino del termine, cioè capace di “leggere dentro le cose”, capirle e comportarsi poi da perfetto “democratico conseguente”, come si diceva una volta). E dunque un uomo la cui storia vale la pena di conoscere, anche attraverso i suoi scritti, e di ricordarla per capire da dove veniamo e quale è la strada che dobbiamo necessariamente continuare a percorrere per onorare la lotta e il sacrificio di uomini come Emilio Lussu.
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(*) Di Emilio Lussu si ricorda anche un Saggio pubblicato postumo nel 1987 dall’Editrice Democratica Sarda intitolato “La Difesa di Roma” (curato da Gian Giacomo Ortu e Luisa Maria Plaisant). Lussu lavorava sin dal 1966 alla stesura definitiva di questo suo Lavoro, che ha lasciato allo stato di manoscritto: con uno stile pari a quello delle Opere pubblicate in vita, a metà tra la narrativa e la saggistica, nel Saggio Lussu si addentra nel delicato e controverso garbuglio delle vicende legate alla mancata difesa di Roma che porterà alla Resistenza dell’8-11 Settembre 1943, a Porta San Paolo e in altri luoghi della città, e poi ai 271 giorni di occupazione nazifascista della città,
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