

Aveva capito che i fatti succedono, ma nessuno li può raccontare. E quando uno si mette a raccontare… racconta e racconta… e all’inizio dice quello che è successo veramente, ma poi finisce per raccontare quello che avrebbe voluto che succedeva.”. (Ascanio Celestini, da “Scemo di Guerra”, 2005).
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Saper raccontare una storia e poi tante storie diverse, pescando nella Memoria della gente comune, non è solo un’arte, ma è un dono di natura. E questo dono Ascanio Celestini, Classe 1972, romano (e romanista) ce l’ha, eccome se ce l’ha. Uno se ne accorge ogni volta che Ascanio prende in mano un microfono e da un qualsiasi palcoscenico comincia a raccontare (e tu – per tua fortuna – stai lì ad ascoltare) oppure quando prende la penna e scrive e quello scritto diventa poi un testo teatrale. Tu che lo ascolti o lo leggi, da quella esperienza esci diverso da come ci sei entrato. Diverso, perché non solo sai (nel senso che conosci) molto di più di prima. Diverso, perché quello che ascolti o leggi ti apre orizzonti nuovi di riflessione.
Con Ascanio Celestini succede sempre così. E sono sicuro che per molti è successo ancora ascoltando il suo Spettacolo, Laika, tenuto in questi anni in diversi Teatri italiani e diventato ora – insieme ad altri due Spettacoli teatrali, “Pueblo” e “Rumba”, a formare una sorta di Trilogia – un Libro: “Poveri Cristi, nella Collana dei Supercoralli Einaudi, 2025, il Libro di cui oggi vi propongo la lettura.
Quando Laika, cagnetta Spitz, una razza russa di cane da caccia siberiano, venne presa dalla strada, caricata su un razzo e lanciata nello spazio, sul sovietico “Sputnik 2”, il 3 Novembre del 1957, primo animale mandato in orbita nel cielo azzurro, io avevo sette anni e la notizia ce la diede il Maestro Pietro di Seconda Elementare.
Passato quel giorno, ci dimenticammo di Laika che, dopo avere orbitato nove volte intorno alla terra, morì disidratata a causa del fatto che dentro l’ogiva spaziale, dove gli umani sovietici l’avevano rinchiusa, la temperatura aveva raggiunto e superato i 40 gradi, causa raggi solari, e nessuno di quegli umani sovietici aveva pensato di dotare quella parte del razzo di un qualche impianto di areazione, che rendesse la temperatura sopportabile per Laika. “Tanto è solo un cane” avranno pensato i cervelloni sovieti. E un cane, per lo splendido e progressivo avvenire a cui i sovieti lavoravano da tempo, contava meno di un fico secco.
Nel 1957 ci siamo dimenticati subito di Laika, così come oggi ci dimentichiamo, altrettanto velocemente, dei “poveri cristi” che ci vivono accanto e che preferiamo ignorare, fino a quando non arriva uno come Ascanio Celestini, moderno Cantastorie della nostra coscienza, e ci sbatte in faccia le loro vite, come solo lui sa fare, costringendoci, con parole garbate ma taglienti, a prendere atto della nostra scelta – egoista e menefreghista – che, pur potendo, ci porta a non vedere.
Uno si domanderà: “Ma che c’entra Laika con i poveri cristi del Libro?” C’entra, c’entra – è la risposta di Celestini – perché la cagnetta siberiana fu scelta per quella missione celeste proprio perché “si era temprata vivendo sulla strada”, esattamente come si temprano, ogni giorno che Dio manda in terra, i ‘poveri cristi’ di cui sopra, che non mandiamo in orbita (anche se molti lo vorrebbero) ma sbattiamo comunque il più lontano possibile da noi.
Lo scrittore portoghese Josè Saramago (1922-2010) sostiene nel suo Romanzo del 1995, “Cecità”: “Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, Ciechi che vedono, Ciechi che, pur vedendo, non vedono.”. E come dargli torto.
Anche questa volta Celestini ci racconta un mondo che non vogliamo conoscere, un mondo parallelo al nostro (che pensiamo sia l’unico reale) popolato appunto di “poveri cristi”, che ci passano accanto ogni giorno e che spesso fingiamo che non esistano.
A me è successo con il ragazzo di colore che dormiva per terra, sopra un cartone, sulla grata accanto al portone di casa mia. Ragazzo che è scomparso alle viste non appena – causa “Giubileo della Speranza” – i Carabinieri hanno cominciato a pattugliare il Quartiere [vivo a qualche centinaio di metri dallo Stato della Città del Vaticano] dove io abito e dove lui passava le sue giornate a spazzare la strada, per rendersi utile. Che fine ha fatto? Anche vivendo, sarà difficile saperlo.
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Nel suo “Poveri Cristi”, Ascanio Celestini non racconta solo le vite di quelli che noi conosciamo e indichiamo come “extracomunitari”, ma anche di tutti gli altri nostri fratelli e sorelle che, pur essendo diciamo così “regolari”, vivono ai margini della nostra città – o per scelta o perché ce li abbiamo costretti – respingendoli ai bordi estremi del nostro mondo, in periferie (che una volta si chiamavano Borgate) comunque scollegate e lontane non solo dal resto della città, ma soprattutto dal resto dei cittadini e delle cittadine di Roma Capitale.
E’ gente che vive nella sua fetta di “Inferno”, cercando ogni giorno il “Paradiso”. Ma che cos’è il Paradiso? Celestini ce lo ha spiegato in un suo pezzo scritto per Viaggi, Rubrica del Quotidiano La Repubblica. Il Paradiso, ha scritto, “È guardare l’inferno seduti in poltrona.”. Ed esattamente questo noi spesso facciamo con gli altri da noi: li guardiamo arrabattarsi nella loro fatica infernale di vivere, sicuri di tornare “nelle nostre tiepide case” (copyright Primo Levi) per accomodarci sulla poltrona preferita, magari piazzata davanti alla TV.
Così scriveva Paolo Sassi, recensendo, nel 2015, lo Spettacolo di Celestini che ora è diventato un Libro:
«Questo originale artista romano, che ha scandagliato finora i drammi della follia al tempo del manicomio ma anche la tragedia delle Fosse Ardeatine, le borgate di Roma e il mondo dei carcerati, propone la sua turbolenta rassegna: con molte inquietudini sulla religione e tanta simpatia per i poveri Cristi che popolano – da tempo – il suo personalissimo mosaico umano.”. E ancora: “Un “barbone”, una povera vecchia, una donna – bellissimo uso metaforico del dialetto di Roma – con la “testa impicciata”, una prostituta, alcuni immigrati che provano ad opporsi all’ingiustizia: sono questi i co-protagonisti della affabulazione ironica ed affascinate di Celestini, che si muove davvero come un barbone sulla scena, accompagnato dalla fisarmonica di Gianluca Casadei e della voce fuori campo di Alba Rohrwacher».
Dunque nel suo Spettacolo come nel Libro “Celestini setaccia le vite sradicate di donne e uomini che vagano “come in un formicaio alla ricerca del loro spicchio di felicità. Un libro politico e civile, in cui trionfano le ragioni che ci portano a respingere ogni egoismo. Del resto, «Cristo non è sceso dal cielo, ma è salito dalla terra».”. (dalla quarta di copertina del Libro).
“Chi sono i poveri cristi? Sono l’ultimo della classe quando ci stavano le classi differenziali per i poveri; la pecora nera nel manicomio che risolveva il problema per quelli che stavano fuori, ma non per quelli che stavano dentro; quello che sta inchiodato a qualche malattia senza colpa, ma anche senza futuro, eccetera.”.
“E se dico “eccetera” ho detto tutto. Ho detto tutti.”.
“L’idea di questo progetto è quella di trovare le parole per raccontare questi poveri cristi che non hanno una lingua per raccontarsi che non sia quella della pietà.”.
“E invece il narratore di questo spettacolo li racconta come santi perché ogni giorno fanno il miracolo di restare al mondo. Di essere i migliori del circondario. “[…]”.
Fonte:https://www.mismaonda.eu/spettacoli/in-corso/440-ascanio-celestini-poveri-cristi).
Forse, quello di cui vi propongo oggi la lettura sarà l’ultimo libro scritto da Ascanio Celestini. Un po’ sul serio e un po’ sul faceto, il Cantastorie romano (e romanista) lo ha comunicato sui suoi profili social. Perché mai? Perché – come il Regista Ettore Scola aveva comunicato che non avrebbe più fatto film, affermando che aveva scoperto che Dostoevskij aveva scritto tantissimo – anche Celestini lo ha affermato, sostenendo che non c’è bisogno di altre sue parole scritte, perché c’era già molta roba del genere in circolazione. Beh, speriamo che Ascanio scherzi e – se fa sul serio – ci ripensi, ché al mondo c’è sempre bisogno di qualcuno che ti rimette con i piedi per terra, dandoti la possibilità di finalmente vedere la realtà che ti ostini a nascondere a te stesso, perché disturbante.
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