

Al vertice, un 60enne italiano, operaio nella vita di copertura, regista nell’ombra dello smercio
All’apparenza era solo un pollaio, un angolo nascosto tra i campi di Tivoli. Ma tra piume e silenzio si decideva ben altro: turni di spaccio, strategie di smercio, gestione del denaro.
Era il quartier generale di una vera e propria organizzazione criminale, smantellata all’alba dai Carabinieri della Compagnia di Tivoli su mandato della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma.
Un’operazione imponente, scattata sotto il primo sole del giorno, con l’esecuzione di nove misure cautelari in carcere: sette italiani e due cittadini albanesi, accusati di far parte di un’associazione per delinquere finalizzata al traffico di droga e alla detenzione di armi.
Un’inchiesta partita nel 2021, che ha messo a nudo un meccanismo rodato, pericoloso e capillare, attivo tra Tivoli e Guidonia Montecelio.
Al vertice, un 60enne italiano, operaio nella vita di copertura, regista nell’ombra dello smercio. Secondo gli inquirenti, lui comandava tutto e tutti, con una leadership autoritaria e incontrastata.
I suoi ordini non si discutevano. In un caso, ha persino obbligato un giovane pusher a continuare l’attività per saldare un debito di droga. Altro che libertà: dentro l’organizzazione, la parola d’ordine era sottomissione.
Accanto a lui, due fedelissimi: un 41enne albanese, arrestato in passato con documenti falsi al confine con la Spagna, e un 47enne italiano, entrambi con ruoli dirigenziali.
A completare la squadra, cinque partecipi, tra cui una anziana signora di 79 anni, residente sulla piazza di spaccio, che avrebbe nascosto droga e soldi nella propria abitazione.
Il business era ben organizzato: turni, zone assegnate, pusher incaricati di consegnare dosi su appuntamento, dopo un primo contatto con i referenti. I clienti arrivavano a piedi o in auto, ricevendo la merce in pochi secondi.
Una catena perfetta, che aveva conquistato la zona di Favale di Tivoli, diventata un vero feudo dello spaccio.
Ma la banda non si accontentava del locale. Aveva intrecciato contatti con altre realtà criminali, estendendo la propria rete oltre l’hinterland romano.
Il viaggio in Spagna del promotore e dell’albanese ne è la prova. Il secondo fu bloccato durante il tragitto, incastrato da documenti falsi.
E mentre la droga girava, gli incontri decisivi avvenivano nel posto più insospettabile: un pollaio, scelto come “bunker” per sfuggire a intercettazioni e occhi indiscreti. Un rifugio rurale trasformato in centro direzionale del traffico di cocaina.
Oggi, quel pollaio è vuoto. E le strade di Tivoli e Guidonia hanno un problema in meno. Ma resta l’eco di un’indagine che ha svelato quanto possa essere sofisticata e silenziosa la criminalità di quartiere, pronta a mimetizzarsi tra le case, dentro i cortili, dietro i volti comuni.
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