Togliatti. Chi era costui?

Il cinquantenario della morte passato nel silenzio generale della sinistra. Una mostra multimediale allestita dalla Camera dei deputati lo salva dall’oblio.

Togliatti. Chi era costui? Se lo chiederanno in molti tra gli ignari automobilisti che percorrono il viale a lui intitolato e che attraversa numerose strade dei municipi IV, V e VII da Ponte Mammolo a Cinecittà.

Quest’anno è ricorso il 50° della morte di Palmiro Togliatti. Una figura che ha segnato profondamente la storia della rinascita democratica dell’Italia e del ventennio di lotte politiche nel dopoguerra repubblicano che lui condusse come capo politico della sinistra e del più grande partito comunista dell’occidente capitalistico, il “partito nuovo” di massa, nazionale e popolare, strumento principe delle classi popolari per le loro lotte anelanti al riscatto sociale.
togliattiIl ruolo che egli ebbe nella formulazione della Costituzione repubblicana e dei suoi caratteri di “democrazia progressiva”, aperta alle più avanzate conquiste sociali, fu decisivo. Così come fu decisiva l’iniziativa politica che egli promosse, la famosa “svolta di Salerno”, che nell’aprile del ’44 consentì la rapida formazione del primo governo di unità nazionale antifascista che aprì la strada al processo di rivoluzione democratica sfociato poi nell’insurrezione nazionale del 25 aprile, nella conquista della Repubblica e della Costituzione progressista. Togliatti condusse le sue battaglie politiche democratiche da dirigente internazionalista che si sentì sempre parte, nel bene e nel male, del movimento comunista mondiale. Il suo legame con l’Unione sovietica della rivoluzione d’ottobre non venne mai meno. Sopravvisse allo stalinismo accettandone tutte le durezze e anche le corresponsabilità negli anni di “ferro e di fuoco” che precedettero lo scoppio della Seconda guerra mondiale. Visse fino in fondo la contraddizione fra quest’adesione e la sua azione democratica in Italia. La figura politica di Togliatti pertanto va valutata guardando al complesso di vicende in cui si trovò ad agire. In morte di De Gasperi, che fu nel dopoguerra come capo della DC il suo grande avversario politico, il segretario del PCI ebbe a scrivere a proposito della valutazione dell’opera complessiva di un uomo politico che “è soltanto dalla visione precisa delle difficoltà stesse dello sviluppo della sua persona e dei contrasti cui fu legato in se stesso e fuori di sé, che può sorgere una impressione di originalità e profondità del pensiero e di grandezza della esecuzione”.

Ebbene di questa ragguardevole personalità non c’è stata nel cinquantenario della morte un’adeguata commemorazione politica che coll’approfondimento della sua opera potesse aiutare il mondo politico, soprattutto di sinistra, a trarre qualche lezione utile per il presente. Le miserie della politica corrente, partorite al bar dello sport, si fondano sul ferreo presupposto della smemoratezza della storia patria. Quanto al PD, poi, Togliatti fu espunto fin dall’inizio dal pantheon veltroniano dei riferimenti alle personalità domestiche e mondiali da cui traeva ispirazione il nuovo partito. Così come è sempre apparso evidente l’imbarazzo dei leader democrats provenienti dal PCI, a parte pochissime eccezioni, a ricordarne figura e opere. Perciò l’oblio sconfinante quasi nella damnatio memoriae è stato la divisa dei sedicenti eredi del “migliore” che non a caso hanno sperperato il patrimonio della sua corposa eredità politica che ancora Berlinguer era riuscito a conservare ed estendere.

A ricordare Togliatti ci sono state poche pubblicazioni. Tra queste, edito da Einaudi, un pregevole libro curato da Gianluca Fiocco e Maria Luisa Righi dal titolo “La guerra di posizione in Italia” un epistolario 1944-1964 che ci restituisce con vivida luce squarci del suo rapporto con personaggi politici di grande rilievo dell’epoca, come Benedetto Croce, e anche la sua attività quotidiana di pedagogia politica con più modesti militanti. Poi, qualche convegno semiclandestino, mai arrivato all’onore delle grandi cronache, promosso da irriducibili togliattiani, qualche breve e fugace ricordo sulle pagine culturali di alcuni giornali e poco altro. Se non il fiore di qualche giovane che, incuriosita della figura del capo comunista italiano, ha fatto, come Valeria Ronca, la tesi di laurea su aspetti importanti del pensiero togliattiano come le famose “lezioni sul fascismo”.

Le Istituzioni, invece, segnatamente la Camera dei Deputati di cui Togliatti fu membro assiduo e autorevole, hanno pensato bene di allestire una mostra multimediale di grande pregio “Togliatti un padre della Costituzione” inaugurata dal Presidente della Repubblica il 28 novembre che, come è noto, a suo tempo fu giovane esponente di rilievo del “partito nuovo” togliattiano. Nella cosiddetta “sala della Regina”, dunque, sono stati esposti gli originali di alcuni documenti e opuscoli ed è stato possibile in audio video ascoltare molti discorsi e interventi del segretario del PCI e vedere le immagini dell’immenso funerale di popolo, “Eravamo un milione” titolò l’Unità, che lo accompagnò all’ultima dimora. Intercalato da spezzoni di due film, “i sovversivi” dei fratelli Taviani e “Uccellacci e uccellini” di Pasolini, che riprendevano alcuni tratti dell’immenso corteo.

Il copioso materiale audiovisivo che si è potuto consultare è stato tratto dagli Archivi del movimento operaio e democratico con cui hanno collaborato i promotori dell’iniziativa: la Fondazione Istituto Gramsci, l’Archivio centrale dello Stato e l’Archivio storico della Camera dei deputati cui si è aggiunta l’Università degli studi Roma Tre.

Particolarmente emozionanti i documenti originali esposti. Dalla lettera di Benedetto Croce che definiva, non senza qualche ironia, il dirigente comunista “totus politicus”, alla prima pagina del quaderno di Gramsci sul “materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce” con la calligrafia minuta e ordinata del grande pensatore comunista sardo, segno esteriore di una razionalità profonda. E poi il testo originale dell’ordine del giorno del Gran Consiglio del Fascismo che mise in minoranza Mussolini determinandone la caduta il 25 luglio, con i voti espressi segnati con un “sì” o con un “no” accanto ai nomi dei gerarchi. Toccanti alcune lettere di Togliatti a Nilde Iotti, una poesia d’amore a lei dedicata segno di una profondità e umanità di sentimenti che albergavano nell’animo di quel “totus politicus” che veniva sovente descritto, da amici e avversari, solo come freddo e cinico calcolatore. Per arrivare, infine, alla classica calligrafia verde delle ultime parole vergate sui fogli del cosiddetto “memoriale di Yalta” dove, tra l’altro, si avvertivano i dirigenti sovietici, che stavano regredendo vistosamente dalle aperture della destalinizzazione, che “Noi partiamo sempre dall’idea che il socialismo è il regime in cui vi è la più ampia libertà per i lavoratori e questi partecipano di fatto, in modo organizzato, alla direzione di tutta la vita sociale”. Il suo partito si ricordò di questo monito quattro anni dopo, quando condannò l’invasione della Cecoslovacchia di Dubcek da parte dei carri armati del Patto di Varsavia. Molta acqua era passata sotto i ponti della Budapest del ’56 quando Togliatti e il PCI avevano dato il loro appoggio all’intervento sovietico repressivo della rivolta ungherese pagando il prezzo di tanti distacchi di molte personalità intellettuali e di una segnatura del passo nella crescita del consenso.

Emozionante risentire poi la voce di Togliatti in diversi momenti. Quando, ad esempio, in un comizio a Milano, avverte che il Partito comunista non è cosa diversa dal suo popolo ma la parte sua più attiva e combattiva, oppure, all’indomani dell’attentato del 14 luglio 1948 che per poco non gli costò la vita e all’Italia la democrazia appena conquistata, sentire al Foro Italico nereggiante di folla quel “portate il mio saluto dappertutto in Italia… agli operai delle grandi officine di Torino, di Milano, di Genova, ai braccianti del sud, agli impiegati, portate loro un saluto che li riconforti nella lotta, dite loro che una grande forza è sorta nel popolo, la forza del partito comunista italiano…”.

funerali-di-togliattiUna parte della mostra, in particolare, ha colpito chi scrive: le immagini fotografiche tratte dal volume “C’era Togliatti” di Mario Carnicelli sui funerali di Togliatti. Si vedono i volti addolorati di lavoratori e lavoratrici, di operai, di braccianti e edili, di mezzadri e contadini, con la pelle scavata e cotta dal sole, segnata dalla fatica diuturna del lavoro; i volti di giovani, di donne del nord e del sud con il vestito buono, di impiegati e di borgatari romani. Si vede, si sente quasi, il dolore profondo di un popolo che ha amato Togliatti che lo ha considerato uno di famiglia la cui scomparsa lascia un vuoto incolmabile. Sono gli stessi volti che si vedevano ai comizi del segretario comunista a San Giovanni. Facce intente ad ascoltare non un tribuno ma un intellettuale, rivoluzionario di professione, che spiegava loro la lotta che si stava conducendo e come la si doveva condurre, che allargava loro la mente facendoli protagonisti del loro riscatto sociale. Visi aggrottati di operai edili che cercavano di non perdere una parola di quel che stava dicendo il loro capo, in un silenzio assoluto in cui si sarebbe sentita volare una mosca.

Gli stessi volti che lo ascoltarono l’ultima volta, il 3 luglio del 1964, chiamati a raccolta a San Giovanni sfidando il meriggio di una calda estate romana perchè, come poi si seppe, si sentiva nell’aria un “tintinnar di sciabole”, quelle del generale De Lorenzo, che condizionò non poco la svolta moderata del governo di centrosinistra di Moro entrato in crisi. E poi, come si è detto, nell’addio qualche settimana dopo, segnato dal trascinante discorso di Dolores Ibarruri, la “pasionaria” della Spagna repubblicana e antifascista, che diede il suo saluto al “compañero” internazionalista Togliatti “por la ultima vez” suscitando la stessa commozione di quando, il 29 ottobre del 1938, salutò i volontari delle Brigate internazionali che partivano piangenti nella Barcellona che resisteva al fascismo, in quella terra di Spagna in cui Togliatti maturò la politica di “democrazia progressiva” che in seguito avrebbe applicato in Italia.

Ecco, alla sinistra di oggi e ai suoi leader manca quel popolo, mancano quei volti, manca quel dolore.


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