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Cosa possono rappresentare i vestiti vuoti?

Una splendida mostra alla Caverna di Platone a Roma il 30 e 31 gennaio ed 1 e 2 febbraio 2025 dalle ore 18:00

Giorni intensi il 30 e 31 gennaio ed 1 e 2 febbraio 2025 dalle ore 18:00 – tra teatro, arte e psicologia junghiana in una mostra di Antonella Cappuccio alla Caverna di Platone, Associazione e spazio multidisciplinare in via degli Scipioni 175/A, Roma – INGRESSO LIBERO

Antonella Cappuccio può vantare una lunga carriera, con una notevole produzione di significative opere, create utilizzando sempre un linguaggio di alta raffinatezza formale. Sintesi visuali che ho chiamato in un mio precedente articolo “narrazioni antropologiche”, per sottolineare quanto le rappresentazioni di figure umane vi abbiano piena cittadinanza. Sono storie complesse che viaggiano in più direzioni ed ogni volta seguendo i fili di un complesso raccontare, in tal senso visionarie e rigenerative, dove il corpo è abilitato a riflettere, attraverso il ritrovamento del senso perduto di un cosmo immaginale. 

Le narrazioni dell’artista sono complesse e ricche di riferimenti alla storia dell’arte, soprattutto rinascimentale, ma svuotando, spezzando e ricostruendole in nuove composizioni le immagini citate, ri/assemblandole infine ed arricchendole di valenze diverse. In varie occasioni ho anche definito Antonella Cappuccio artista infaticabile e geniale, volendo sottolineare che queste due qualità non vanno sempre d’accordo con un’epoca in cui sembra che la virtualità vibrante e nomade dell’informatica abbia cannibalizzato ogni struttura di carne e sangue, lasciando al loro posto solo ombre. 

C’è da dire inoltre che questa artista non ha avuto mai paura della materia, materia pittorica in particolare, né della figurazione che affronta con un’abilità tecnica formidabile, coniugandola ad una capacità comunicativa complessa che lei stessa definisce simbolismo polimorfo. Nel suo sito – www.antonellacappuccio.it – si possono vedere le varie fasi della sua produzione artistica, i suoi traguardi professionali e le sue predilezioni poetiche nel tempo, ma si può anche leggere quanto hanno scritto su di lei storici dell’arte e scrittori quali Giorgio Di Genova, Paola Langerano, Dacia Maraini, Gianluigi Mattia, Claudio Strinati, Duccio Trombadori, Marco Bussagli … solo per citarne alcuni.

L’artista ha già affrontato anche altre tecniche che riguardano gli abiti e le stoffe, per esempio gli Arazzi ricamati in una mostra da me organizzata, che aggiungono alla bellezza delle immagini anche la piacevolezza del senso del tatto, poi un’altra storia riguarda i suoi anni di gioventù quando esercitava la professione di costumista a via Teulada. Ma questo proposito bisognerebbe parlare anche dell’antico rapporto delle donne con la tessitura, il ricamo e le eleganti muliebri manualità domestiche. Però Antonella dovrebbe essere paragonata non alla paziente Penelope – il lato oscuro dell’impaziente Odisseo – quanto, a mio parere, all’orgogliosa e straordinaria Aracne, che sfidava gli dei ricamando le loro storie, non certo esemplari, evidenziandone quindi vizi e debolezze.

Ricordiamo inoltre che, secondo il mito, quando Athena si sentì sfidata sull’abilità nell’arte di tessere, manifestò per la sua sconfitta, una rabbia non certo idonea alla dea della saggezza, utilizzando tutto il suo potere terrificante di dea per tacitare la geniale fanciulla umana, reinserendola per punizione, nel tradizionale femminino dell’insignificanza oscura ed ostile. In questa presente mostra invece l’abilità dell’artista e gli abiti dipinti vogliono accennare ad un simbolismo che la dottoressa Katriona Munthe, psicanalista Junghiana e fondatrice del Biodrama Insitute of San Francisco e della Caverna di Platone a Roma così definisce:

«Antonella Cappuccio ci invita a esplorare l’affascinante relazione tra l’io e il costume. I suoi nove costumi teatrali, svuotati della figura umana, diventano vere e proprie entità cariche di personalità e significato. Attraverso questi abiti, l’artista ci guida in un viaggio che ci rivela chi siamo quando indossiamo una “maschera” sociale: un ruolo scelto consapevolmente o inconsciamente, che recitiamo sul palcoscenico della vita. Il costume non è solo un travestimento, ma una chiave per liberarsi da comportamenti imposti dall’educazione o da modelli predefiniti.

Ci consente di abbandonare il velo dell’inganno, rivelando a noi stessi e al mondo una verità che solo dietro la maschera trova il coraggio di emergere. Ogni quadro diventa uno specchio, in cui osservare i tratti archetipali dei personaggi che costruiamo per affrontare la realtà. I costumi sono ispirati agli enneatipi di Claudio Naranjo, che ha studiato nove tipologie di personalità e i relativi schemi comportamentali. Ogni enneatipo rappresenta un aspetto profondo del nostro essere, un modo di interpretare il mondo e reagire agli stimoli esterni, ma anche una prigione da cui è possibile liberarsi, se sappiamo riconoscerla».

Cosa sarebbe la vita senza quegli ideali che ci guidano verso la luce? E cosa sarebbe l’arte senza la ricerca, quella definita dal grande Giulio Carlo Argan nella sua “Storia dell’arte italiana” – L’arte è al livello più alto del pensiero immaginativo, come la scienza al livello più alto del pensiero razionale.


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