

Che Giosuè Carducci amasse il vino è noto: le sue poesie abbondano di calici, ma è solo nell’epistolario che il vino, meglio dire i vini, acquistano nome e cognome, in particolare nelle lettere alla moglie Elvira e agli amici più intimi.
Per arrivare agli anni in cui il Carducci iniziò ad amare il vino dei Castelli Romani bisogna fare un po’ di ripasso storico-geografico: Carducci vive i suoi primi 25 anni nel Granducato di Toscana (1835- 1860), ché l’unità d’Italia deve ancora avvenire. Le regioni , oltre che nell’assetto politico, sono ben differenziate pure nella gastronomia e nell’enologia, dunque il Carducci nella giovinezza ha bevuto solo vini toscani, perciò rossi. Con la nomina alla cattedra di Eloquenza italiana all’Università di Bologna nell’autunno del 1860, comincia per il Carducci il periodo bolognese che si protrarrà fino alla sua morte. Qui non solo conosce e apprezza il lambrusco e la romagnola canina, ma nei primi anni bolognesi si fa addirittura il vino in casa.
Lo testimonia lo scrittore e poeta Giuseppe Chiarini nel suo libro Memorie della vita di Giosuè Carducci raccolte da un amico, pubblicato nel 1901, vivente il poeta: “Verso le sei andava a pranzo; ed era tutto lieto quando ci aveva qualche amico, al quale far assaggiare una delle sue bottiglie prelibate. Aveva la cantina ben fornita; e se ne compiaceva. Dopo quello dei libri era l’unico lusso che si permettesse, e che non gli costasse gran che perché durò degli anni a farsi da sé il vino in casa […].”
Carducci stesso lo conferma con orgoglio in una lettera a Isidoro Del Lungo scritta in data 15 marzo 1864: Caro Doro,[…] . Io verrò via da Bologna il lunedì dopo pasqua: e non avanti, ché vo’ mangiar l’agnello in casa, innaffiandolo di molto vino, il quale, se non raccolsi dalle mie viti, feci però con uve comprate co’ miei danari e nelle mie botti che stanno nella mia cantina e al modo del mio paese cioè nero e puro, non bianco e con l’acqua bollita come fanno i discendenti d’ Irnerio e del Dottore Graziano. (1).[…]
A Roma, neonata capitale del Regno, Carducci viene per la prima volta nel marzo del 1874, ma fu una visita brevissima. Ci tornò tre anni dopo come membro del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione, e d’allora le occasioni di venire a Roma furono frequenti. Col treno a vapore, s’intende. E’ molto probabile che solo in quegli anni abbia conosciuto il vino dei Castelli Romani, ma nelle lettere ad amici e familiari non ve n’è traccia. E’ solo nel 1882 che di un vino bevuto a Roma scrive in una lettera del 27 gennaio indirizzata alla romana Adelaide Bergamini, – Adele per il poeta – , dedicataria delle due Odi Barbare Fuori alla Certosa di Bologna e Su Monte Mario. A circa metà della lunga lettera Carducci scrive:
[…] Adele, ricordate Montemario? Com’ è bello in vetta ai luminosi colli vuotar bicchieri di vino sotto il gran riso del sole presso una bella signora fra giovini scherzanti e motteggianti? Ma già voi non mi amate. Altrimenti vi direi come il solo premio ch’io chiedo per i molti nobili pensieri che ho gittato al mondo in versi e in prose non sempre né in tutto ignobili è un bicchiere di gioioso vino mesciuto dall’amicizia e un sorriso di bella donna. Tutto il resto che è? Diman morremo…
Solo quasi in chiusura della lettera Carducci chiede alla Bergamini:
Mi raccomando, signora Adele, che intanto a me vivo serbi di quel dolce vinetto…come lo chiama e di dove è?…… Suo
Adelaide Bergamini gli risponde dopo qualche tempo, nel suo italiano piuttosto incerto, scusandosi del ritardo. E’ stata infatti ammalata:
Mio Illustre amico, […] Quando verrà per Aprile io starò bene perché tra qualche giorno sarò guarita, e le farò trovare un Toscolano veramente buono. Puoi al Gianicolo o a Monte Mario ne troveremo dell’altro…
E in una lettera successiva del 28 Marzo 1882, nomina ancora un vino dei Castelli:
Mio Illustre amico, […] Sabato mio zio andrà a Marino e porterà in Roma delle bottiglie di vino rosso buonissimo. Queste bottiglie schierati come soldatini aspetteranno l’Aprile; ma quando sarà nella prima o nella seconda metà di codesto mese che Ella verrà in Roma? Una di queste sere, quando sta al caffè dei Servi , risponda a tutti questi interrogativi. Riceva una stretta di mano e mi creda sua aff. ma amica
Avrà il Carducci bevuto quei vini? Non lo sappiamo. E’ certo in ogni modo che in una lettera alla moglie, scritta da Roma il 5 dicembre 1886, i vini toscani e il Lambrusco emiliano restano ancora i preferiti:
Cara Elvira, Ebbi e ho molto da fare, e piove sempre, e il fango inonda l’eterna Roma: per tutte le quali ragioni sono di cattivo umore, se bene stia benissimo, e non ho voglia di scrivere. Avrò da fare anche dimani e dimani l’altro e anche mercoledì: forse non potrò fermarmi a Firenze; perché il giorno 10 alle 9 della mattina devo essere costì all’Università per cagione d’esami. Spero e credo che tutti starete bene. Mi meraviglio che lo scaffale dei libri non sia ancora al posto. Di’ a Carlino che faccia premura. Al mio ritorno lo voglio vedere e voglio caricarlo di tutti i miei fascicoli. Anzi, ne comprerò un altro e lo metterò in quel tuo salotto, che ora mi ruba lo spazio dovuto ai miei libri. Anzi, ce ne metterò due.
Quest’anno la contessa Lovatelli mi manderà, subito che io sia tornato a Bologna, due qualità del suo vino: una di Presciano, e una d’Argiano (2). Dal Chiarini ho trovato un vin toscano di Cortona stupendo; e me ne farò venire un barile. Di quello i bolognesi non ne hanno a bere. Ma quest’inverno io e Giulio avremo da cavarci la sete. Era tempo. Perché il tuo mezzo vino è detestabile. Io patisco la sete da molti anni. Quest’anno comprerò di gran Lambrusco. Fiaschi e bottiglie, libri e fascicoli, botti e scaffali, damigiane e cartoni, devono empire tutta la casa. Sgombra le tue carabattole. La Titti dice che la piccola Elvira aspetta le chicche di Roma. Ho capito. Bacia le figlie e l’Elvirina. Saluto Giulio e lo esorto e lo consiglio a mettere in luogo opportuno i miei libri e le carte. E poi beveremo un bariletto. Addio. Tuo (3)
Dobbiamo aspettare gli anni ’90, quando Carducci, nominato senatore del Regno ( dicembre 1990) soggiorna a Roma per più lunghi periodi. Solo allora i vini castellani diventano compagni abituali alla sua tavola.
Ce ne dà una prova chiarissima Mario Menghini, suo giovane ammiratore ed amico, in un articolo pubblicato sulla Rivista d’Italia del maggio 1901 (4), di cui era direttore Giuseppe Chiarini, che nelle sue Memorie riassume un po’ lo scritto.
“A Roma il Carducci cambia notevolmente di abitudini. Si alza verso le otto se è d’inverno, verso le sette se d’estate ed esce per andare al Senato, da quando è senatore. Gli anni avanti era solito rintanarsi nella Biblioteca Casanatense, dove il fedele Alvisi teneva a sua disposizione una stanzetta per studiare. Anche in Senato il luogo prediletto del Carducci è pur sempre la biblioteca. Colà, curvo sul tavolino, legge, prende appunti, corregge prove di stampa, scrive lettere: insomma è sempre alle sue occupazioni preferite… ma il cannone di mezzogiorno lo toglie dai suoi studi; egli vuole andare a mangiare e attende con impazienza il nostro giungere, perché posso dire che a Roma il Carducci ha sempre appetito, un appetito formidabile; ed ama la cucina casalinga e, non meno del Chianti, il vino dei Castelli Romani. […]
Ormai i vini castellani sono entrati stabilmente nelle giornate romane del Carducci, che li gusta con piacere. Della sua affezione, che si consolida negli anni, scrive lui stesso in due lettere ad Annie Vivanti (5), la prima da Roma, la seconda da Bologna. Nella prima, scritta in data 2 dic. 1897 dice:
Annie, […]. A Roma verrai, finita la commedia: prima non voglio. Ti farò cacciare dai carabinieri, o ti farò mettere in prigione, dove ti darò a mangiare solo piccoli sorci.
Quando avrai finito la commedia, ti darò molte fettuccine finissime e lodole che canteranno dalla gioia di venire mangiate da te, e del vino dorato di Albano da bere. Ti amo. Saluta Italo(6). Tuo
Altrettanto eloquenti sono le parole del post scriptum della lettera del 31 gennaio 1998:
Dimani tornerò a Roma a bere di molto vino de li castelli. E tu non farai portar via il fiasco.
Le prove dunque non sono molte, ma inequivocabili. E questo, come elogio carducciano del vino dei Castelli Romani mi sembra in ogni modo interessante, maggiormente per me, perché castellana e nipote di nonni paterni vinai casalinghi.
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Bibliografia e note:
1) Carducci intende riferirsi agli abitanti di Bologna.
2) Giosuè Carducci – Adele Bergamini, Carteggio a cura di Anna Maria Tosi, Edizione nazionale delle Opere di Giosuè Carducci, Mucchi editore, Bologna, 2018.
3) Lettera alla moglie del 5 dicembre 1886: Di Carlino non si hanno notizie, forse un lavorante per la famiglia Carducci. I vini della contessa Lovatelli provengono dal territorio del Chianti. Giulio Gnaccarini è il marito di Lauretta, la secondogenita del Carducci. Titti è Libertà, la figlia minore; Elvirina Bevilacqua, la prima nipote, figlia di Bice ( Beatrice), è spesso ospite dei nonni a Bologna.
4) Menghini Mario, Rivista d’Italia, maggio 1901, Società Editrice Dante Alighieri, Roma, 1901
5) Giosuè Carducci – Annie Vivanti, Addio caro Orco, Universale Economica Feltrinelli classici, Milano, 2019.
6) Italo, un fratello di Annie Vivanti.
Fonte: L’ Apollo buongustaio del 2024
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