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Il gambero rosso

Alfredo Reichlin, l’altro ieri, ha pubblicato un articolo su “la Repubblica” a proposito del referendum costituzionale in cui esprime tutte le sue preoccupazioni per l’impostazione plebiscitaria datagli da Renzi e, di conseguenza, per le ricadute non positive sullo stato complessivo del paese.

Alfredo Reichlin
Alfredo Reichlin

Si sente nel suo scritto l’antica saggezza politica del PCI togliattiano che ebbe sempre in sommo grado l’unità del popolo, pur conducendo battaglie asperrime contro i governi a dominanza DC.

Reichlin rievoca in proposito il periodo della cacciata di socialisti e comunisti dal governo nel maggio del ’47 da parte della DC di De Gasperi che, comunque, non impedì allo schieramento antifascista di portare al traguardo la redazione, prima, e l’approvazione, poi, della Costituzione repubblicana. In particolare ricorda, da una parte, i meriti di Togliatti, che tenne la barra dritta sulla democrazia sfuggendo al rischio dell’insurrezionalismo di tipo greco, e, dall’altra, di De Gasperi, che rifiutò le pressioni vaticane e americane per la messa fuori legge dei comunisti.

Giustamente, perciò, il vecchio combattente gappista e partigiano parla della Costituzione non come dello strumento consacrato a codificare il “decisionismo” del principe, ma dello “ ‘stare insieme’ degli italiani, di tutti gli italiani” per poter affrontare le sfide epocali che incombono sul nostro Paese. Renzi, con una notevole capriola politica degna del miglior Berlusconi, pare, in questi ultimi giorni, voler dismettere la primigenia impostazione plebiscitaria, anzi addebitandola, senza pudore, ai suoi oppositori. Anche il suo mentore Napolitano lo aveva avvertito dell’avventatezza, e all’uopo, insieme al rimbrottino, gli aveva fornito un argomento  sostitutivo addirittura più “fine di mondo”, ma meno personale: “Se si affossa anche questo sforzo di revisione costituzionale – aveva detto l’emerito Presidente – allora è finita: l’Italia apparirà come una democrazia incapace di riformare il proprio ordinamento e mettersi al passo con i tempi”.

Purtroppo al ragionamento di Reichlin, per certi versi senz’altro apprezzabile, sfuggono i nessi di causa ed effetto che intercorrono fra il processo nazarenico che ha portato ai contenuti divisivi, nonché confusi e democraticamente regredienti, della controriforma costituzionale e gli argomenti tra il populismo becero (tipo: con la riforma del Senato mandiamo a casa un po’ di politici) e l’armageddon  che i sostenitori del sì cominciano a usare per la campagna referendaria. Tutto si tiene, e non a caso. Perciò se si vuole combattere il plebiscitarismo dei modi e dei contenuti è decisivo non sfuggire a un giudizio sul merito della controriforma.

Non si può dire, come fa Reichlin nel suo articolo, “Io ho condiviso, pur tra qualche riserva, la scelta della minoranza del PD di non opporsi alla riforma Boschi” e poi lamentarsi sui modi divisivi di proporla al giudizio del popolo. Altrimenti si dà l’impressione che basterà che Renzi e i suoi sodali cambino i toni per trovarsi, come la monaca di Monza, a “ripetere un sì tante volte detto” ai contenuti, divisivi della Nazione e regressivi in sé, del cambiamento costituzionale. L’ultima volta, se non erro, si era percepito che la minoranza piddina volesse attestarsi sulla linea del Piave dell’inaccettabilità del “combinato disposto” (Bersani) fra Italicum e controriforma costituzionale. E quindi sulla richiesta di cambiamento della legge elettorale per poter digerire il resto. Posizione di per sé già abbastanza insufficiente, per non dire risibile. Ora pare che, dimenticata più che travolta, quella trincea, la resistenza venga spostata più indietro, sempre più indietro.

Dicono che la minoranza del PD sia alla ricerca di un leader da contrapporre a Renzi. Forse non se ne sono accorti, ma l’hanno già trovato: il gambero rosso.

18.5.2016


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