Kafka e i suoi “Racconti disumani” al teatro Quirino
Regia di Alessandro GassmannAl Teatro Quirino sono andati in scena con “Racconti disumani” due monologhi, recitati e interpretati da Giorgio Pasotti, tratti da altrettanti racconti di Kafka: “Relazione per l’Accademia” e “La tana”; adattamento di Emanuele Maria Basso; scenografie e regia di Alessandro Gassmann.
Lo spettacolo visto venerdì 2 febbraio 2024 al Teatro Quirino (dopo aver atteso l’inizio per ben 45′ a causa da un guasto tecnico), servirà sicuramente a far riprendere in mano gli inquietanti libri di un autore tra i più grandi della letteratura europea: il praghese di lingua e cultura ebraico-tedesca Franz Kafka, di cui ricorre quest’anno il Centenario della precoce scomparsa causata dalla tubercolosi, una patologia a quel tempo ancora di difficile guarigione. I racconti kafkiani che Alessandro Gassmann, scenografo e regista, ha voluto mettere in scena nel teatro intitolato all’indimenticabile suo padre Vittorio, fanno parte di quel nutrito gruppo che vedono come protagonisti animali in via di mutazione e adattamento genetico, oppure uomini caratterizzati da comportamenti molto spesso animaleschi.
I due racconti in questione, trasformati in monologhi e affidati all’ottima interpretazione di un eclettico e versatile attore come Giorgio Pasotti, sono: “Una relazione per l’Accademia” e “La tana”; nel primo è protagonista una scimmia diventata uomo, ma ancora in possesso di abitudini e comportamenti che lasciano intravvedere le sue radici animalesche; nel secondo il protagonista è un uomo comune che, ossessionato da una irrazionale paura per il mondo esterno e nei confronti degli altri esseri umani (tutti indistintamente potenziali e pericolosi nemici) si costringe a vivere dentro un’abitazione molto più simile ad una tana o covo di bestie selvatiche che non ad un normale e banale alloggio per famiglie o persone appartenenti al comune consorzio umano.
È chiaro che si tratta della trasposizione, in chiave allegorica, della pessimistica visione kafkiana della condizione dell’individuo nella moderna società capitalistica, una società che riduce gli uomini a cose e/o meri strumenti di produzione, alienandone gli aspetti propriamente umani (libertà, autonomia, creatività, altruismo e apertura verso gli altri e verso il mondo esterno) e costringendoli alla solitudine, all’insicurezza, all’angoscia esistenziale, accompagnate ed estremizzate da pulsioni di aggressività e di morte.
I personaggi, apparentemente inverosimili dei due racconti, sono invece parenti stretti di Gregor Samsa (protagonista de La metamorfosi), e di Joseph K. (protagonista sia de Il Castello che de Il Processo), uomini che, improvvisamente e inconsapevolmente, si ritrovano un bel mattino “gettati” in una situazione che sembra determinata da un destino (o da un dio) maligno e imperscrutabile; una situazione che, inesorabilmente, li spinge fuori dell’umano consorzio e, di conseguenza, li conduce ad una morte “disumana”.
Ebbene, tanto la scenografia essenziale ma, al tempo stesso, oniricamente surreale, quanto i differenti registri linguistici (burocratico nel primo monologo, nevrotico-patologico nel secondo) dell’unico magnifico interprete presente sul palcoscenico, ci restituiscono, in maniera quasi esemplare, il mondo alienato e allucinato del grande narratore praghese, un intellettuale che, in anticipo di circa mezzo secolo su Pier Paolo Pasolini, aveva capito a quali estremi livelli di violenza e di disumanità ci avrebbero condotto le perverse dinamiche che determinano i rapporti tra gli uomini, e tra gli uomini e la natura, nella moderna società dell’illimitato e diseguale sviluppo economico e tecnologico.
Questo articolo è stato utile o interessante?
Sostieni Abitarearoma clicca qui! ↙