

Dopo quasi due anni è riuscito nelle sale (e ciò a seguito dei due Oscar ottenuti nel 2024) il film “La zona d’interesse”, del regista inglese Jonathan Glazer, che ne ha firmato anche la sceneggiatura.
Il film è stato definito da Steven Spielberg ” … il miglior film sull’Olocausto dopo il mio”.
Dopo averlo visto, ieri sera, 5 febbraio 2025, con gli amici del Cinecircolo romano, ritengo che, effettivamente, ci troviamo di fronte, se non ad un capolavoro, sicuramente ad una delle più originali pellicole sul tema della Shoah.
L’originalità coincide con la prospettiva che il regista ha assunto (in linea con il romanzo omonimo di Martin Amis, pubblicato nel 2014): quello dei responsabili del genocidio, degli organizzatori e degli esecutori del massacro di milioni di ebrei (e di zingari, e di omosessuali, e di altre categorie di persone giudicate, dai nazisti, indegne di vivere) nei campi di concentramento e sterminio durante la seconda guerra mondiale.
Il protagonista della storia, infatti, è il comandante del Lager di Auschwitz-Birkenau, Rudolf Hoess, affiancato dalla moglie e dai cinque figli, residenti in una bellissima casa con giardino situata nella cosiddetta “zona d’interesse” adiacente al Campo di Auschwitz 1 e da questo separata da un semplice muro.
La famiglia Hoess, in questa residenza, vive una banalissima, tranquillissima e normalissima vita borghese, dedicandosi alle cure del giardino, alla pulizia maniacale della casa, alla cucina, all’educazione e agli studi dei ragazzi, ai giochi, agli svaghi, alle nuotate nel fiume che costeggia il campo. E tutto ciò senza essere minimamente disturbati dai rumori, dalle urla, dagli spari, dalle sirene, dallo sferragliare dei veicoli e dei treni, dal fumo pestilenziale emanato dai forni crematori presenti ad Auschwitz 1 e, in misura maggiore, nella vicina Birkenau, sita ad appena tre chilometri di distanza.
Mentre la moglie Hedwig sovrintende, da perfetta padrona di casa, alle cure domestiche comandando il lavoro della servitù composta da povere prigioniere polacche, il marito trascorre le giornate dedicandosi coscienziosamente all’impegnativo compito di organizzatore e controllore del massacro che si attua con sempre maggiore intensità nei tre campi collegati di Auschwitz (oltre ad Auschwitz 1 e a Birkenau anche Monowitz, dove fu recluso Primo Levi).
Il comandante Hoess vive, senza neanche accorgersene, una duplice vita, appena separata da un muro che però non riesce a cancellare del tutto i “segni” del massacro. Ma tanto l’una quanto l’altra rientrano nella “normalità” di un uomo dedito instancabilmente alla carriera di esemplare funzionario governativo senza trascurare affatto i doveri di buon padre di famiglia.
Nella storia di Hoess, mirabilmente tratteggiata nel film di Glazer, si riflette e si manifesta l’essenza di quella “banalità del male” analizzata, con gli strumenti della filosofia, da Hannah Arendt nell’omonimo libro scritto a seguito del processo di Gerusalemme (1961) celebrato contro Adolf Eichmann, un uomo dello stesso stampo di Hoess: solerti e coscienziosi funzionari del massacro di milioni di esseri umani.
Un film, questo di Glazer, dall’altissimo valore, umano ed educativo. Un film che, secondo le parole dello stesso regista, acquista anche un senso di estrema e scottante attualità: ” … la disumanizzazione che ho tentato di ritrarre molto combacia come mai prima con la realtà di oggi, con la disumanizzazione che adesso stanno perpetrato sia Hamas delle sue vittime, sia Israele della popolazione palestinese” ( dal discorso pronunciato da Glazer dopo la consegna dell’Oscar 2024 per il miglior film internazionale).
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