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L’otto marzo

La celebrazione dell’otto marzo, almeno in Italia, ha trovato la giusta dimensione che non aveva fino a trenta, quarant’anni fa, quando gruppi di donne scalmanate s’illudevano di rivendicare la loro libertà dalla morsa del maschio – fosse marito, amante o fidanzato – permettendosi una serata di evasione a tutto campo, per poi tornare sotto il giogo quotidiano, illuse che la libertà, come se l’erano presa per una sera, fosse di nuovo possibile a loro piacimento. Purtroppo non era così e gli anni successivi lo hanno dimostrato con la violenza sulle femmina da parte del maschio che, oltre a un’evidente arretratezza e immaturità, non sa fare di meglio che far violenza sulla donna la quale, per un motivo o per un altro, ha deciso di interrompere un rapporto, non certo di amore – che era in tutta evidenza assente – ma diciamo di convivenza non più sopportabile. In situazioni ricorrenti, non è raro che, compiuto l’insano, indebito gesto, il maschio ne compia un altro: si tolga la vita, perché sentendosi tradito, si rende altrettanto consapevole di aver agito stupidamente e di non avere altre risorse dopo l’uccisione della compagna, dove talvolta – ancora più vigliaccamente – usa violenza anche sui figli uccidendoli per radere al suolo tutta la famiglia.

In questo quadro di evidente immaturità, soprattutto maschile, non si fa che invocare libertà e giustizia per le donne, dove libertà e giustizia contengono implicita la terza parola legalità, mentre il problema richiede urgentemente un intervento culturale sui minori fin dall’infanzia, da parte della scuola e soprattutto della famiglia, per insegnare loro la parità di genere e gli obblighi che ognuno dei due deve mantenere nei confronti dell’altro, chiarendo fin da subito che la convivenza all’interno della coppia non deve confondere l’amore con il possesso, da parte di nessuno dei due componenti.

Al contrario, cercando altri strumenti per risolvere il problema della violenza sulle donne, non intravedo la maturità del maschio, a qualunque livello di cultura possa trovarsi, per correggere una morale saudita dell’uomo che, nel migliore dei casi, dal sediolo si sente ancora il conduttore della cavalla trottatrice che fa parte della scuderia famigliare. E questo non si discosta molto da quanto accade nel mondo del lavoro.

A tal proposito, mi sta a cuore riportare un episodio tragicomico occorsomi, in prima persona, un terribile otto marzo di una trentina di anni fa. Chissà se nel momento fatale, il collegamento ad un’intelligenza artificiale ben programmata, oggi tanto di moda, mi avrebbe evitato il malinteso con la scelta di parole più appropriate ad evitare il fraintendimento del quale fui oggetto senza colpa? All’epoca lavoravo in uno stabilimento che acquistava un materiale strategico per produrre quantità e qualità di vari antibiotici. Il nostro fornitore principale era rappresentato a Milano da un distinto signore tedesco che da anni, vivendo in Italia, parlava correttamente la nostra lingua. Per motivi di lavoro eravamo spesso in contatto telefonico, attraverso una sua segretaria, conosciuta in voce ma non di persona, con marcato accento germanico in un italiano accettabile. Sovente evadeva con me brevemente, con cordialità, prima di passarmi il capo. Quel tragico giorno, esordì con un esplicito:

“Doctor Visibeli, oggi è l’oto marzo, la festa de la dona. Non festeggia lei la dona?”

Onestamente non lo ricordavo, ma scattò subito dentro di me un moto di reazione, dovuto al rispetto che chi mi conosce o ha lavorato con me, sa quanto porti nei confronti della donna. Che obbligo c’è di festeggiare la donna in una giornata specifica, quando meriterebbe di essere rispettata e onorata sempre? Per questo moto di rivalsa scattò immediata e istintiva la risposta.

“Ma Signora, mi creda, io la festa alle donne gliela faccio tutti i giorni!”

Dall’altro capo, silenzio assoluto. Con un clic, sentii passare la linea e mi rispose subito il suo capo, ignaro dell’equivoco accaduto tra la sua segretaria e me. Ripensando alla frase mi resi conto del malinteso, ma ormai qualsiasi chiarimento sarebbe stato inutile a riqualificare una battuta ritenuta politically uncorrect. Da quel giorno, componendo quel numero di Milano, rispondeva subito il capo.


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