“The Hidden Treasure di Roma”, il tesoro nascosto della Capitale
Firmato il protocollo di intesa tra il Comune di Roma e Enel Green Power per portare i reperti archeologici all’estero“The Hidden Treasure di Roma”, il tesoro nascosto di Roma. Questo il nome del protocollo di intesa tra il Comune di Roma e Enel Green Power per portare i reperti archeologici di Roma all’estero.
Il Progetto è stato avviato l’anno scorso per la valorizzazione all’estero del patrimonio artistico e culturale dei Musei Capitolini ed inaugurato il 10 novembre 2014 in Campidoglio. I reperti provenienti dall’Antiquarium sul Celio inaugurato nel lontano 1929 e oggi conservati in enormi casse di legno al Museo della Civiltà romana all’Eur, sono già stati portati in parte all’università del Missouri, uno degli atenei scelti per il progetto, come si può ben vedere da un video diffuso dall’università stessa a settembre 2014.
Sul sito ufficiale del sindaco Ignazio Marino si legge: “The Hidden Treasure of Rome si colloca perfettamente nella grande opera che abbiamo intrapreso, sin dal nostro insediamento, per rilanciare l’immagine di Roma attraverso le sue bellezze storiche e artistiche, che rappresentano un volano importantissimo per la nostra economia, soprattutto in un momento di generale crisi per le casse comunali.
Il modello di scambio proposto dal programma offre enormi vantaggi – continua il primo cittadino – I ricercatori di musei e università tra le più prestigiose del Nord America, e di tanti altri paesi del mondo, avranno l’opportunità unica di studiare su materiali originali di incredibile pregio risalenti a tutte le epoche della storia di Roma, conservati accuratamente, fino ad oggi, presso l’Antiquarium dei Musei Capitolini”.
Infatti, grazie a questo accordo, una vasta scelta di oggetti archeologici inediti lasceranno per la prima volta i magazzini e saranno portati all’estero dove all’interno delle università e dei musei saranno oggetto di accurati programmi di ricerca ed analisi, per poi essere restituiti alla città, classificati e catalogati, pronti per essere inseriti in importanti progetti espositivi e culturali.
Un lavoro che se Roma dovesse fare da sola, con le proprie risorse, richiederebbe decenni. Oggi, invece, possiamo avvalercene a costo zero – conclude Marino – Inoltre, gli strumenti tecnologici all’avanguardia utilizzati in questi atenei permetteranno di realizzare un “repository”: cioè una sorta di grande banca dati (come fa anche l’ICCD, ndr) che sarà un punto di riferimento unico per gli studiosi della Roma Antica.”
Il cancelliere R. Bowen Loftin dell’Università del Missouri ha affermato: “Questo accordo rappresenta un significativo passo avanti nella comprensione del nostro patrimonio culturale e del nostro passato umano comune. Siamo orgogliosi e onorati di essere stati scelti dai Musei Capitolini e il Comune di Roma per inaugurare questa importante iniziativa internazionale, che riunisce la più antica università pubblica americana ad ovest del Mississippi, con il più antico museo pubblico del mondo. Riconosciamo le enormi responsabilità e anche le incredibili opportunità per le scoperte che derivano da questa partnership. ”
Intanto, sembrerebbe che il patner Enel Green Power, (colui che finanzierà anche le borse di studio,ndr) sosterrà il restauro della Sala degli Imperatori di Palazzo Nuovo ai Musei Capitolini e dei reperti in essa contenuta che saranno spediti per essere analizzati e studiati nel Museo dell’Arte di Oklahoma City, come ulteriore sviluppo del programma.
Tutto perfetto, peccato che i reperti verranno studiati all’estero, togliendo la possibilità a migliaia di studiosi italiani di poterlo fare. In Italia ci sono circa 41 dipartimenti specializzati (vedi link) nello studio del mondo antico. Centri di specializzazioni per il Restauro, come Palazzo Spinelli, dove entrare costa molto studio e impegno. Ci sono i laboratori del Cnr che collaborano a progetti internazionali di enorme prestigio. Grandi eccellenze che ci invidiano in tutto il mondo (oltre al patrimonio archeologico, non a caso i musei di tutto il mondo contegono beni trafugati illecitamente all’Italia, ndr) a tal punto che molte Università straniere, come la Doshisha University di Kyoto, per dirne una, invia i propri ricercatori presso i nostri atenei per continuare la loro formazione sull’arte e l’archeologia occidentale.
Ogni anno migliaia di studenti si formano su campi di ricerca archeologica tra molti ostacoli e sacrifici. Intere campagne di scavo tra saggi e trincee, classificando migliaia di reperti archeologici. Alla fine del loro primo percorso di studio, sono in grado di riconoscere la cultura materiale e anche arrivare alla loro datazione. Dando un senso storico al proprio territorio. La formazione dell’archeologo (ma anche di un archivista o storico dell’arte) non finisce con la laurea quinquennale, che non basta nemmeno per un semplice concorso.
Chiunque vorrà accedere ai gradini più alti della conoscenza delle “Belle Arti” dovrà specializzarsi per altri tre anni in una scuola ad hoc e continuare con dei master che spesso sono richiesti nelle varie branche della disciplina. Insomma di competenze ce ne sono. Peccato , però, che non ci sono i soldi. Quindi i reperti meglio inviarli all’estero.
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