“Vera Fotografia”, la mostra dedicata a Gianni Berengo Gardin

Al Palazzo delle Esposizioni sino al 28 agosto
di Gabriele Cruciata - 31 Maggio 2016

Un viaggio attraverso le fasi storiche e culturali dell’Italia. Si viaggia a partire dalle contestazioni degli Anni ’60 fino ad arrivare alle Grandi Navi veneziane, passando per le piccole province italiane degli anni d’oro del Bel Paese. E poi tanta Venezia e tanta Milano. È l’essenza della mostra “Vera Fotografia”, dedicata a Gianni Berengo Gardin e visitabile al Palazzo delle Esposizioni di via Nazionale fino al prossimo 28 agosto.

Le fotografie del maestro italiano del bianco e nero raccontano di architettura, società e vita vissuta. Sono un viaggio che mette in risalto sempre l’umanità del soggetto, anche quando l’essere umano non c’è. Nella sala dedicata alle Grandi Navi, progetto che il fotografo condusse in collaborazione con il Fondo Ambiente Italiano, la violenza dell’uomo emerge prepotente. I paesaggi che si creano – anche per effetto di una elevatissima abilità nella composizione dell’immagine – sono surreali e a tratti apocalittici. Ma sono veri e umanissimi, nella misura in cui quel paradosso è creato dall’essere umano. La figura umana appare raramente nel progetto sulle Grandi Navi, ma l’uomo e l’umanità sono ovunque, e ovunque si respirano fortissime.

Più evidente il concetto emerge nelle foto che Berengo Gardin – in collaborazione col Touring Club – ha realizzato alla ricerca dell’essenza italiana. Berengo Gardin si muove, per sua stessa dichiarazione, “alla ricerca di un documento storico” che sia in grado di raccontare l’Italia dei decenni che dagli Anni ’60 circa vanno fino ai giorni più recenti. Quel che ne esce è un risultato stravolgente per qualità e sentimento.

La fotografia coglie l’essenza delle piccole cose, la capacità dei dettagli di raccontare tratti culturali e storici di un intero Paese diviso per metà nell’innovazione e per metà nella tradizione. Si va dall’automobile immersa nell’ombra di un albero nella profonda Calabria al deposito dei tram milanesi, sempre avendo come filo conduttore la volontà di raccontare gli esseri umani. La capacità compositiva di Berengo Gardin riesce a cogliere nella quotidianità i tratti salienti di una società e di un’epoca in rapida trasformazione.

Header-ITADel resto sono sempre i suoi occhi ad immortalare la comunità rom. Il fotografo racconta di come, nell’organizzare il reportage, avesse pensato di lavorare per i primi giorni senza la camera per non rischiare di infastidire i soggetti. Ma dopo poche ore l’ospitalità della comunità rom lo aveva già ribattezzato “Zio Gianni”.

Ci sono fotografie che raccontano di matrimoni, di stili di vita, di radici culturali ed eredità storiche di una comunità spesso ai margini delle nostre città. Ci sono fotografie che restituiscono un’umanità che va al di là di targhette e pregiudizi sociali o razziali, impreziosite da un bianco e nero che rende corpose e potenti le immagini.

Berengo Gardin nella sua carriera ha lavorato per aziende importanti, tra le quali l’Olivetti. “Ho imparato a stare con gli operai”, dice, spiegando di come egli da fotografo-artista si sia trasformato in foto-giornalista assetato di verità e cronaca. In realtà il suo modo di scattare nasconde dietro sé un impegno sociale fortissimo, orientato alla rappresentazione di chi è più debole e più sfruttato. Berengo Gardin decide di utilizzare il suo obiettivo per rendere migliore la società, per documentarne le ingiustizie, per rivelarne i retroscena, per contribuire attivamente al suo miglioramento. In questo senso Berengo Gardin è un giornalista nel vero senso della parola. Ma Berengo Gardin è anche un artista, nella misura in cui ogni scelta che si nasconde dietro gli scatti è una scelta narrativa.

Berengo Gardin compone, seleziona, ritaglia spazi e riassume in pochi istanti ore, giorni e mesi di osservazione. E per questo egli è molto, molto più di un semplice giornalista.

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