La fine del mito degli “Italiani brava gente”

Ovvero la guerra di Mussolini e le sue atrocità

«Prima di essere un libro di storia, questo è una sorta di romanzo d’avventura. La storia, in effetti, di una ricerca resa quasi impossibile dalle autorità dei vari paesi (ma soprattutto dell’Italia) e della caparbietà del suo autore». (Eric Gobetti, Storico, dalla Prefazione del Saggio di Michael Palumbo “Le Atrocità di Mussolini”, Alegre, 2024)

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[il Saggio di Michael Palumbo è «l’opera che ha posto fine per sempre alla leggenda degli “italiani brava gente”». (L’Unità, 10 Giugno 1990)

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Ci sono libri che lasciano il segno o per il loro contenuto oppure, nonostante questo, per accidenti che capitano loro, non per volontà del destino che – come è certamente noto – è spesso “cinico e baro”, ma per volontà degli umani che questi accidenti provocano con la loro non-intelligenza (tu chiamala, se vuoi, stupidità). Qualche esempio lo propongo appresso e tra questi trovate citato anche il Volume di cui qui vi invito alla lettura.

Dunque, il primo esempio che si potrebbe fare è quello che riguarda “Il Gattopardo”opera prima (e anche ultima) del Conte siciliano Giuseppe Tomasi di Lampedusa (1896-1957). Il Romanzo, rifiutato da Elio Vittorini per la Collana “I Gettoni” della Einaudi, passò sulla scrivania di Elena Croce, nota critica letteraria dell’epoca e poi per le mani di Giorgio Bassani, che finalmente ne curò la pubblicazione con Feltrinelli, ma solo nel 1958, dopo la morte dell’Autore. Il Romanzo ha poi avuto, nel 1963, una bella traslazione cinematografica per la regia di Luchino Visconti: un grande successo di pubblico come, finalmente, successo di lettori ebbe il Romanzo.

Proseguendo su questa strada si arriva al celeberrimo Se questo è un Uomo”, di Primo Levi. Scritto nel 1945 /1946 il dattiloscritto del Libro, nel 1946, venne rifiutato ancora dalla Casa Editrice Einaudi. Inizialmente da Natalia Ginzburg, allora Consulente della Casa Editrice torinese, poi da Cesare Pavese, sostenendo entrambi che erano già usciti troppi libri sui Campi di concentramento e, per questo motivo, era meglio aspettare. Primo Levi si rivolse allora alla piccola Casa Editrice Francesco De Silva, che lo stamperà, nell’Autunno del 1947, in sole 2500 copie. Solo nel 1958 il Libro di Levi verrà pubblicato dalla Einaudi, nella Collana “I Saggi.”, anche qui con grande successo di pubblico.

Ancora, va ricordato il Volume intitolato L’Altra Resistenza, scritto da Alessandro Natta, il futuro Segretario Generale del PCI, che era stato un Internato Militare e in quel libro raccontava la sua esperienza di IMI. Il libro venne tenuto nel cassetto dalla Casa Editrice Editori Riuniti fino al 1997, quando Natta aveva ormai concluso la sua esperienza politica.

E veniamo, infine, al libro oggetto di questa Nota. Si tratta del Saggio di Michael Palumbo, Storico italo-americano nato a New York nel 1944, che – editato nel 1992 dalla Casa Editrice Rizzoli con il titolo: “L’Olocausto Rimosso” – una volta stampato (la prima tiratura fu di 8mila copie) non venne mai distribuito alle Librerie e le copie stampate vennero mandate al macero. Negli anni che seguirono e fino a tempi più vicini agli attuali, un paio di copie del Libro furono fortunosamente scovate e acquistate da due “cercatori di libri” rari e “perduti”, forse si trattava di due copie che erano sfuggite al macero perché date in visione a chi recensisce libri o a chi avrebbe dovuto promuoverne la vendita, mai avvenuta.

Il Libro è così oggi disponibile con un nuovo titolo: “Le Atrocità di Mussolini” ri-pubblicato, nel 2024, per i tipi della, Editrice Alegre, proprio partendo da una copia anastatica di una delle due cartacee targate Rizzoli, nuova Edizione data alle stampe dopo avere contattato l’Autore (rintracciato in Canada) e dopo avere aggiunto una Prefazione curata dallo Storico Eric Gobetti (e una Postfazione a firma di Ivan Serra, il “cacciatore di libri” proprietario di una delle due copie Rizzoli salvate dal macero e che ha permesso questa ristampa).

In questa Nota proverò  a ragionare sul perché – a guerra fredda terminata, era il 1992 e il Muro di Berlino non era più tra noi, così come l’Unione Sovietica – le pagine di quel libro, stampate e pronte per la distribuzione, furono negate all’intelligenza dei lettori e ridotte ad un cumulo di carta straccia.

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Perché decidere di stampare un Libro e poi decidere di mandarlo al macero? Per evidenti ragioni politiche che – a volte – confliggono con quelle economiche (le Case Editrici non sono Enti Culturali di beneficenza, ma Imprese commerciali) e ad esse sono superiori per interesse. Il Libro di Palumbo è un libro “scomodo”, anche se racconta fatti accaduti qualcosa più di cinquanta anni prima. L’Italia democratica (al tempo a guida democristiana) non ha mai del tutto fatto i conti con il suo passato, non solo di Paese co-belligerante con gli alleati (dopo l’8 Settembre del 1943) ma prima di Nazione fascistacolonialista in Africa e poi alleata della Germania hitleriana, atteggiamento negazionista questo di rifiutare il confronto con il proprio passato che è proseguito nel tempo. E per certi versi ancora impera.

Dopo la guerra, infatti, il nostro Paese si rifiutò, pervicacemente, di consegnare i criminali di guerra nostrani ai tedeschi e agli iugoslavi che ne avevano fatto richiesta (il Generale Mario Roatta, in primis ed in testa ad una lunga Lista). La realpolitik del tempo imponeva, infatti, di tenere buoni rapporti con la Germania (quella Occidentale, si capisce) e dunque, mentre non consegnammo i criminali di guerra italiani che ci venivano richiesti, non ci peritammo nemmeno di chiedere alla Germania Federale i molti criminali nazisti che colà albergavano tranquilli, tra i quali diversi esecutori delle molte stragi di civili e prigionieri di guerra avvenute nel nostro Paese, nei venti mesi di occupazione nazifascista (vedere la storia e il contenuto dei Fascicoli per decenni volutamente rimasti chiusi nel cosiddetto ’”Armadio della Vergogna”).

E poi c’è la censura. Lo Storico Eric Cobetti ricorda, nella Prefazione al Volume di Palumbo, due casi tra i più eclatanti. Il primo è quello che riguarda Guido Aristarco e Renzo Renzi, critici cinematografici che scrivevano per la Rivista Quindicinale “Cinema Nuovo”. I due, il 1° Febbraio del 1953, proposero, sulle pagine della Rivista, un soggetto cinematografico intitolato “L’Armata Sagapò” che raccontasse (finalmente) la vera storia (quella criminale) dell’invasione italiana della Grecia, partita il 28 Ottobre del 1940. Renzi Aristarco erano stati entrambi Ufficiali durante la Campagna di Grecia e dunque quella realtà la conoscevano bene. Arrivato il 12 Settembre del 1953, i due vennero arrestati e deferiti alla Procura Militare Generale di Roma (essendo evidentemente ritenuti dei militari ancora in servizio) per “vilipendio delle Forze Armate”, passarono 45 giorni di detenzione nel Carcere Militare di Peschiera del Garda (da tempo non più tale) e vennero degradati.

Il secondo caso di censura a cui accenna Gobetti riguarda un Film. Si tratta di “Il Leone del Deserto”, Film del 1981 del regista siriano naturalizzato statunitense, Mustafa Akkad, che racconta la resistenza antitaliana condotta dal popolo libico sotto la guida del Capo senussita Omar al-Mukhtar, detto appunto “Il Leone del Deserto”. La pellicola non è mai stata proiettata nelle Sale cinematografiche italiane, perché ritenuta dal governo “lesiva dell’onore dell’Esercito”. Dunque, la censura dell’epoca (ed erano passati 41 anni dall’entrata in guerra dell’Italia e 26 dalla fine di quel Conflitto mondiale) ne bloccò la distribuzione e ancora nel 1987 la Digos ne impedì la proiezione a Trento, durante un meeting pacifista. Una censura, ha scritto il maggiore Storico del colonialismo italiano, Angelo del Boca (ex Partigiano di Giustizia e Libertà), che “si inserisce in una più vasta e subdola campagna di mistificazione e disinformazione, che tende a conservare della nostra recente storia coloniale una visione romantica, mitica, radiosa. Cioè falsa”.

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Una copertina e una fotografia

Non so voi, ma io quando compro un libro, la prima cosa su cui mi soffermo è la fotografia che sta in copertina. Se il libro è un Saggio, anche da quella foto cerco di capire se vale la pena comprarlo poi guardo i due risvolti. Tralascio spesso la quarta di copertina e odio le fascette: solo pubblicità. In questo specifico caso la foto utilizzata per la copertina del Libro di Palumbo (la vedete poco più sopra) merita si spenda qualche riga, ponendo l’attenzione su quello che Eric Gobetti ne scrive nella sua Prefazione.

Dunque, la fotografia in parola mostra la fucilazione di alcuni contadini, avvenuta ad opera di militari del Regio Esercito Italiano, a Dane (Slovenia) il 31 Luglio del 1942. Bene, questa foto è stata spesso utilizzata, in Locandine e Manifesti che pubblicizzavano Eventi pubblici organizzati in occasione della “Giornata del Ricordo” (10 Febbraio), volendo ricordare quegli eventi le “atrocità” titine nei, confronti degli italiani; trasformandola quindi nel suo esatto opposto, ovvero in una foto che mostrerebbe le truppe comuniste iugoslave fucilare dei civili italiani, così dando forma, anche visiva alla “questione delle foibe”, che da tempo impegna molti Storici e dalla parte di chi quella Storia stravolge e da quella di chi invece ritiene doveroso raccontare (e documentare) “la realtà effettuale delle cose”. Tra questi ultimi si trova anche Eric Gobetti con il suo “E allora le foibe?” (Laterza, 2021).

Come scrive Eric Gobetti nella Prefazione del Volume di Palumbo la fotografia sarà mostrata, per la prima volta, nel suo significato capovolto da Bruno Vespa in TV, nel Febbraio 2012 e resta, ancora oggi, una delle fotografie più utilizzate per dimostrare l’esatto contrario di quello che voleva rappresentare quanto è stata scattata dal fotografo partigiano Erminio Delfabro, ovvero che anche gli “italiani brava gente” quando ci si mettevano (e lo facevano spesso) erano capaci di emulare in ferocia e addirittura superare i loro camerati tedeschi. (https://www.diecifebbraio.info/2015/02/un-fotografo-in-guerra-la-storia-di-erminio-delfabro/)

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Chiudo questa Nota riportando la recensione del Volume di Palumbo, firmata da Tommaso Montanari per Il Fatto Quotidiano e pubblicata il 16 Novembre 2024, ma prima aggiungo, un’ultima notazione a mo’, diciamo così, di ciliegina sulla torta. Il lavoro di ricerca di Michael Palumbo sulla storia dei crimini di guerra del fascismo era già presente nel Documentario “Fascist Legacy”, prodotto dalla BBC nel 1989, anch’esso acquistato dalla Rai e mai mandato in onda. Il libro di cui sopra è dunque una logica ripresa e continuazione di qual prezioso lavoro di Ricerca, storica e documentale.

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Italiani cattiva gente. Crimini di guerra e delitti

 di Tomaso Montanari – Il Fatto quotidiano del 16/11/2024

L’importanza di questo libro – Le atrocità di Mussolini di Michael Palumbo, appena edito da Alegre – è dimostrata nel modo più lampante dall’inverosimile quantità di sforzi profusa, trent’anni fa, per non farlo uscire, e per non mostrare al pubblico italiano il documentario televisivo Fascist legacy – L’eredità fascista, tratto dagli stessi documenti che sono alla base del saggio. Se il film fu acquistato e prodotto in italiano dalla Rai, ma mai messo in onda, il libro fu stampato da Rizzoli nel 1992 e, incredibilmente, mai messo in vendita, e dunque subito avviato al macero in migliaia di copie.

Ma cosa c’era di tanto imbarazzante da non poter essere letto, o visto, in Italia? Come scrisse l’Unità, una conoscenza di massa dei documenti raccontati nel libro e nel documentario avrebbe “posto fine per sempre alla leggenda degli ‘italiani brava gente’ ”. È esattamente per questo che oggi finalmente viene pubblicato, con una bella prefazione di Eric Gobetti e una postfazione di Ivan Serra che ne ricostruisce l’inquietante vicenda (non) editoriale.

Palumbo utilizza un’enorme quantità di documenti, provenienti in gran parte dagli atti della Commissione delle Nazioni Unite per i Crimini di Guerra, e dai faldoni dei governi italiano e tedesco portati via dagli americani dopo la Liberazione, e tuttora conservati nei National Archives statunitensi. L’ansia di rendere nota una documentazione oggettivamente straordinaria e una certa propensione per uno stile narrativo giornalistico tipicamente anglosassone spinsero l’autore a una trattazione per così dire orizzontale dei crimini contro l’umanità perpetrati dal fascismo italiano, invece che a un approfondimento verticale di pochi casi esemplari. Del resto (e questo è un tema del libro), il fatto che per la maggior parte di questi crimini non siano stati celebrati dei processi rende impossibile contare su una verità giudiziaria che abbia vagliato le fonti attraverso un contraddittorio e un giudizio terzo.

Se, dunque, in molti casi i documenti pubblicati non servono a “condannare” i singoli, la loro precisione, credibilità e autorevolezza tracciano un quadro mostruoso delle “atrocità di Mussolini”. E svelano empiricamente, e su vasta scala, ciò che sappiamo teoricamente: il fascismo (di ieri o di oggi) è essenzialmente un regime della violenza per la violenza.

E questo è precisamente il punto che si volle nascondere: De Gasperi e Churchill, con l’avallo degli americani, evitarono non solo una “Norimberga italiana”, ma anche l’estradizione dei criminali di guerra nei vari Paesi che li richiedevano a gran voce (Etiopia e Jugoslavia, ma anche Grecia e Francia), chiudendo i documenti italiani nei famosi “armadi della vergogna”.

La cinica logica della Guerra fredda imponeva che non si delegittimasse l’egemonia della Democrazia cristiana mostrandone l’ampia continuità col fascismo in termini di gestione del potere: bisognava dimenticare, rimuovere, nascondere che abisso di mostruosità si stesse coprendo. Il prezzo di tutto questo lo vediamo oggi: con il primo partito d’Italia che costruisce, con soldi pubblici, un monumento a uno dei principali protagonisti mostruosi di questo libro, il maresciallo Graziani, quel “boia del Fezzan” che è uno dei pochi gerarchi italiani che si riuscì a condannare (ma solo per i crimini compiuti contro gli italiani durante Salò, non per quelli, enormi, in Africa).

Nonostante la scrittura sciolta, leggere questo libro fa aggrovigliare lo stomaco: perché è un elenco infinito, e documentatissimo, di violenze, torture, squartamenti, omicidi, uso massivo di gas perpetrati da italiani. Da italiani fascisti. La stima prudente dei morti provocati non dalle battaglie, ma dai singoli crimini dell’imperialismo fascista, è fissata dal libro a un milione: ma tutto suggerisce che siano stati di più. Di tutto questo, nella scuola italiana non si parla. Anzi, non poche scuole sono tuttora intitolate ad alcuni dei responsabili della mattanza: a partire dal duca d’Aosta.

E come nota l’autore nella prefazione, “ciò aiuta a spiegare il riemergere del fascismo in Italia nel nostro tempo… Resiste il mito del fascismo italiano meno malvagio del nazismo austro-tedesco. In realtà, Mussolini era meno efficiente ma non meno malvagio di Hitler nei suoi obiettivi finali in Africa e nei Balcani, dove i nazisti lamentavano da parte fascista l’uso della carestia, di campi di concentramento e di operazioni di rastrellamento per eliminare la popolazione locale e soffocarne la resistenza”. Se imparassimo la nostra storia criminale, forse avremmo orrore per chi continua a stare da quella parte.


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