L’inclusione scolastica in una società multiculturale
Convegno sul tema nella sala riunioni “S. Giuseppe Artigiano” Rocca Priora (RM), il 27 ottobre 2024A Rocca Priora (RM), il 27 ottobre 2024, organizzato da Riccardina Sgaramella, Dirigente Roma Città metropolitana e Angela Gentili, Scrittrice, Docente di comunicazione e grafologia, con interventi della Prof.ssa Maria Rita Parsi, Università Uniecampus, psicopedagogista e psicoterapeuta, Pietro Zocconali ed altri esperti del settore si è svolto nella sala riunioni “S. Giuseppe Artigiano” il convegno su inclusione scolastica in una società multiculturale.
Di seguito riportiamo l’interessante Relazione di Pietro Zocconali.
«Mi presento: sono Pietro Zocconali, laureato in Sociologia, Presidente dell’Associazione Nazionale Sociologi ANS, giornalista professionista; sono nato a Roma, ma, mio padre Costantino, mio nonno Gaetano, suo padre Rocco e probabilmente anche suo nonno Giuseppe, sono nati e vissuti a Rocca Priora. Dopo questa premessa, capirete che è sempre un piacere per me tornare in questa amata cittadina.
Durante la mia infanzia non sono stato uno studente modello; la voglia di studiare mi è venuta da adulto, dopo il diploma, e alla mia età, per fortuna, non mi ha ancora abbandonato. Nel mio ultimo libro, “Nel futuro tra futuro e Futuro”, Kairos editrice, 2024, trattando del mondo tecnologico, cosi mi sono espresso:
“Noi esseri umani con la nostra intelligenza dobbiamo saper cavalcare la tecnologia; se non serve più l’apporto dei nostri muscoli, per sopravvivere bisognerà sempre più adoperare il cervello, studiare sempre e non soltanto in età scolare, essere attratti dalle novità e, a prescindere dall’età, non perdere nessun treno del progresso scientifico e tecnologico.”
Nel convegno odierno stiamo parlando della scuola in Italia, di inclusione, accoglienza e disabilità.
Premetto che personalmente ho iniziato e concluso il ciclo degli studi a Roma, nella periferia di Cinecittà; ebbene, ricordo che ai miei tempi, negli anni ’50 e ‘60 del secolo scorso, quando in classe giungeva uno studente di un’altra regione italiana, veniva considerato come una mosca bianca ed era abbastanza difficoltoso per lui entrare nella comunità di ragazzi nati tutti nello stesso quartiere; pensate oggi ai problemi che sorgono specialmente nelle periferie delle nostre metropoli, lì dove si ritrovano ad abitare gli immigrati provenienti da ogni continente; ad esempio proprio in riferimento al settimo municipio di Roma, quello di Cinecittà, confinante con i Castelli Romani, gli alunni risultano, nel 2023, per il 14,3% stranieri, e vi è inoltre il 5,5% di diversamente abili; riguardo agli stranieri, oltre alla lingua madre diversa, per rendere più complesso il problema, una percentuale di questi proviene da culture, religioni, colore della pelle, usi e costumi familiari completamente diversi dai nostri.
Naturalmente alcuni sono più avvantaggiati di altri; i romeni, ad esempio, che nel 1991 in Italia erano circa 10.000 ed ora sono più di un milione, fanno parte dell’Unione Europea; la loro è una lingua neolatina e i genitori sono, generalmente parlando, abbastanza integrati nella nostra Italia. Ma pensate ai piccoli di famiglie cinesi, o a chi proviene dal mondo musulmano, che devono apprendere il nostro linguaggio, la nostra scrittura e che sentono parlare di una religione che non è quella che professano i loro genitori: il problema è veramente da non sottovalutare; questi ragazzi hanno bisogno di insegnanti specializzati che devono aiutarli ad integrarsi; insegnanti che parlano le loro lingue materne e che gli parlano della loro religione.
L’integrazione di questi piccoli nuovi italiani, l’apprendimento della nostra cultura, è di fondamentale importanza: non dimentichiamoci che questi studenti stranieri sono coloro che, con il loro apprendimento scolastico e la frequentazione di studenti italiani, sia a scuola che nei centri sportivi e di ricreazione, insegneranno ai genitori ad essere italiani, contribuendo molto all’integrazione dell’intera famiglia.
Qualcuno dice che chi viene in Italia dovrebbe apprendere e sottostare agli usi e costumi locali; qualcun’altro pensa sia il caso di agevolare il più possibile questi nuovi arrivi. La popolazione italiana autoctona sta diminuendo con un calo demografico sempre più accentuato e risulta essere tra le più anziane al mondo: la percentuale di persone con più di 65 anni è del 24,5%, secondi solo al Giappone: per buona pace di Cavour, Garibaldi e Mazzini che hanno fatto l’Italia, e di Massimo D’Azeglio, che nel 1861 disse che, fatta l’Italia bisognava fare gli italiani, se non cambia l’attuale trend, entro qualche centinaio di anni, a causa proprio del saldo naturale (differenza tra le nascite e i decessi), la popolazione italiana è destinata ad estinguersi.
Nel 2023, ad esempio, nel nostro Paese, il saldo negativo di 116.000 abitanti è stato compensato da un saldo positivo di immigrazione di circa 108.000 persone, che ha portato ad un saldo, pur sempre negativo, di soli 8.000 abitanti.
Ci conviene venire incontro a questi nuovi italiani, ai loro figli che frequentano e frequenteranno in percentuali sempre più alte, le nostre scuole. Un errore da evitare è la ghettizzazione che porta a risultati molto negativi: qualcuno, infatti ha proposto la costituzione di classi con soli italiani e classi composte da soli stranieri, magari divisi per nazionalità.
Personalmente ho quattro nipoti che frequentano elementari, medie e licei, e sto toccando con mano i problemi dell’istituzione scolastica di oggi: vi dico solo che un liceo di Cinecittà ultimamente ha preso fuoco ed ho un nipote che sta studiando in dad, con tutti i limiti che abbiamo toccato con mano durante il Covid del 2020.
La mia sensazione è che la scuola, da molti adulti oggi, viene considerata una specie di parcheggio per i loro figli; molti di questi genitori single, nelle ore di scuola vogliono godere di più indipendenza possibile, e, quando la scuola li chiama per cercare di affrontare problematiche dovute al cattivo andamento scolastico dei loro ragazzi, invece di rimproverarli o metterli in punizione (come si usava fare fino al ‘68 del secolo scorso), sentendosi in difetto a causa del cattivo andamento o addirittura dell’annientamento della loro famiglia, prendono subito le loro difese addossando tutte le colpe all’istituzione scolastica e prendendosela con chiunque capiti loro a tiro, insegnanti, direttori e corpo non docente.
Si sa che in questi ultimi anni si sono persi molti valori: la scuola e l’istituzione scolastica in generale, con la scolarizzazione delle masse, hanno perso quel prestigio che avevano una volta. Quando le persone erano quasi tutte poco istruite, pendevano dalle labbra degli insegnanti ed erano pronte “a fare i conti a casa” con figli indisciplinati o svogliati: “suo figlio potrebbe fare di più”, era una frase che spesso veniva detta ai genitori nel corso degli orari di ricevimento.
Voglio chiudere con una provocazione: In effetti, oggi sembra sia crollata l’importanza dell’istruzione proprio da quando le persone sono più istruite; sembra un controsenso ma è così: forse è inutile studiare tanto, diplomarsi, laurearsi per poi essere disoccupati o sottoccupati, lavorare magari in bar o ristoranti alle dipendenze di non scolarizzati che a suo tempo hanno imparato un buon mestiere che ha permesso loro di condurre una vita agiata. In fin dei conti i media ci insegnano che basta usare bene una racchetta da tennis, giocare bene a calcio, partecipare a “grandi fratelli” o diventare degli “influencer”, e si diventa ricchi e famosi; ma allora molti ragazzi si chiedono: ma vale la pena di studiare».
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