Il Pane e le Fibre: storia e scienza – Parte 1
Dalla nascita alla Magna Grecia
Da sempre, gli storici non sono riusciti a stabilire una data precisa sulla nascita del pane, ma testimonianze della presenza di un’attività di panificazione si ritrovano già nell’antico Egitto, dove il mestiere del fornaio fu raffigurato in molte pitture parietali.
Infatti, in questa storia un capitolo decisivo è stato scritto proprio dal popolo egiziano, il cosiddetto “gran popolo”, che secondo lo storico Erodoto (484 – 425 a.C.) «fece ogni cosa in modo diverso dai comuni mortali». Eccellenti agricoltori, sono stati loro i primi veri panettieri ed hanno posto le basi affinché il pane potesse conoscere un successo senza fine e senza frontiere.
In sostanza, ai tempi in cui i Romani ancora si nutrivano di una semplice “pappa di farina” e i Greci di una specie di sfoglia cotta sul fuoco, gli Egizi già applicavano con sistematicità quella che assai più tardi sarebbe stata chiamata la “lievitazione naturale”.
Tutto ciò allora era considerato un fenomeno misterioso, dall’origine forse soprannaturale. Come facevano, gli Egizi, a compiere un tal miracolo?
Avevano scoperto che per ottenere il “magico” risultato bastava aggiungere all’amalgama di chicchi macinati ed acqua un pezzetto di pasta avanzata del giorno prima, dal sapore un poco acidulo, che per questo veniva gelosamente custodita, come fosse cosa sacra, in ogni casa egizia.
L’osservazione empirica era stata più o meno casuale, ma ricorrendo a questo piccolo trucco gli Egizi divennero maestri indiscussi nell’arte della panificazione e si guadagnarono l’appellativo di «mangiatori di pane».
Più tardi i segreti della panificazione egiziana vennero in qualche modo svelati ed appresi dagli Ebrei che, nonostante il grande insegnamento, erano soliti produrre soltanto una sorta di panini rotondi spessi circa tre centimetri. Presso il popolo d’Israele, che attribuiva al pane importantissimi significati religiosi, la professione di fornaio godeva di grande prestigio ed ogni città aveva un forno pubblico adibito alla cottura dell’impasto.
Dagli Egizi appresero a panificare anche i Greci, nel cui mondo l’idea del pane era strettamente legata a quella della fecondità della terra (basti pensare a Demetra, la dea raffigurata con le messi, celebrata durante i riti dei misteri eleusini connessi ai culti agrari).
Come in tutte le grandi civiltà, anche a Roma il significato simbolico del pane era alquanto rilevante. Sebbene al proposito l’iconografia scarseggi, non mancano esempi interessanti, come le grosse pagnotte con la crosta scura solcata da una gran croce raffigurate in un sarcofago dopo la conquista della Grecia.
Dall’antica Roma al ‘700
A Roma, però, il pane entrò nell’uso quotidiano soltanto verso la fine del periodo repubblicano: stando a quanto racconta Plinio, la sua cottura fu introdotta nel 168 a. C., ad opera di alcuni schiavi catturati in Macedonia dopo la sconfitta del re Perseo.
Nella “città eterna”, dove sorsero le prime botteghe per lo smercio di pane compare anzitutto la categoria dei mugnai e successivamente quella dei fornai panettieri: sotto Traiano (imperatore dal 98 al 117 d. C.), questi “maestri” erano riuniti in corporazioni e presero a fornire il pane a tutta la collettività.
All’epoca dell’Impero Romano il pane era l’alimento base per gran parte della popolazione e bisognava assicurarlo a tutti e per questo vigeva una specifica legislazione.
Ma quali e quanti tipi di pane si facevano nella potente antica Roma? Plinio ci parla per esempio del Panis Streptipcius (un antenato dell’odierna pizza, composto da un impasto leggero di farina, acqua, latte, olio, strutto e pepe, cotto rapidamente a sfoglie sottili), dell’Artologalum (una sorta di sfoglia usata come antipasto), del Panis Adipatus (condito con pezzi di lardo e pancetta), e del Panis Testicius (antenato della piada romagnola, preparato e consumato dai legionari nei loro accampamenti).
Nel II secolo a.C. si ritrovano riferimenti all’arte della panificazione e con Vitruvio si ha la sostituzione della “macina a pietra a funzionamento manuale” con il mulino ad acqua. Con l’imperatore Augusto, invece, la panificazione divenne un vero e proprio servizio pubblico. Dopo un breve periodo di decadenza, dovuto al crollo del Sacro Romano Impero e all’avvento delle civiltà barbariche, il consumo del pane non venne interrotto grazie ai monasteri e alla civiltà feudale ed è proprio nel Medioevo che, grazie a quest’ultima, si iniziarono a formare le prime corporazioni dei fornai e dei mugnai.
Ormai la preparazione del pane era diventato un rituale, con i suoi metodi e le sue caratteristiche: in tutte le parti d’Italia, ma soprattutto ad Altamura, era tradizione che la massa fosse legata dalle massaie che preparavano questo prodotto all’incirca una volta a settimana.
Questa consuetudine, che si è portata avanti fino alle soglie della Seconda Guerra Mondiale, è legata all’imposizione di un divieto posto ai cittadini di ogni stato di cuocere gli impasti nelle proprie abitazioni, pena il pagamento di un’ammenda. Le autorità locali volevano controllare il consumo di una materia prima così importante come il grano duro, il quale era sottoposto a contingentamento (tutto questo trova conferma negli Statuti municipali della città di Altamura nel 1527, in cui si parla di “dazio del forno”). Così, la sera la massaia preparava la forma di pane e la metteva, avvolta in un panno, a lievitare nella “madia”. All’alba seguente, per le strade, si udiva la voce del fornaio che annunciava il ritiro della massa impastata e poi si recava al forno per farla cuocere, a fronte del pagamento di un’esigua somma di denaro. Il fornaio procedeva alla formatura e con il marchio in legno o in ferro battuto vi riportava le iniziali del capo famiglia, per garantire il legame tra ogni singola forma di pane infornata e le rispettive famiglie di origine
Più avanti, nell’Italia del ‘600, la miseria dilagava: oltre a razionare meticolosamente ogni pagnotta, su ogni umile pezzo di pane gravava un’infinità di tasse, le più impopolari che siano mai state inventate: dalla “gabella” per la farina, al “dazio” per la cottura nei forni di proprietà padronale (e non più pubblica).
Dall’800 ai giorni nostri
Nell’Ottocento le cose iniziano a cambiare: in questo secolo infatti si pongono le basi per quello che è l’attuale modo di produrre e concepire il pane come alimento essenziale da garantire a tutti.
La rivoluzione industriale che si verifica nell’Ottocento cambia completamente i meccanismi di produzione anche del pane: fino ad allora infatti la produttività era limitata perché lo stesso veniva prodotto e commercializzato solo a livello locale.
Con la rivoluzione industriale tutto è diverso. Anche il pane viene prodotto su larga scala, arrivano le macchine impastatrici e forni moderni per una cottura migliore e veloce.
Ciò nonostante il consumo di pane in Italia sta andando pian piano diminuendo. Analizzando il grafico seguente, si nota palesemente una diminuzione di quasi il 1000% di consumo di pane in Italia: un numero incredibile, soprattutto se si ha coscienza del fatto che tutto questo è avvenuto nell’arco di più o meno un secolo.
Nonostante questa grande diminuzione del consumo di pane in Italia, a livello di coltivazione di cereali (spesso utilizzati per panificare) il nostro paese è uno dei più produttivi a livello mondiale. Restringendo il campo sull’Europa possiamo notare che il nostro paese produce tra i 10 e i 25 milioni di tonnellate annue di cereali! Un numero pazzesco per una nazione con dimensioni ridotte, se paragonata agli altri Stati dell’UE.
Tuttavia, le innovazioni tecnologiche della rivoluzione industriale portano infatti a produrre farine sempre più bianche e raffinate e sempre più prive di quelle componenti che si trovano nelle parti più esterne dei chicchi del cereale e si verifica, di conseguenza, una perdita non indifferente di elementi nutrizionali, come vitamine e minerali.
Dal punto di vista quantitativo e dietologico, la perdita maggiore e più rilevante avviene per la fibra, di cui parleremo nella Parte 2.
Per approfondimento:
https://www.facebook.com/BONUMVITAENUTRIZIONE
Dottor Emanuele Fanella, Biologo nutrizionista – Dottor Perlini Diego, Tecnologo alimentare