Il Talento del Calabrone, di Giacomo Cimini con Sergio Castellitto

Ovvero quando Roma per essere moderna deve fingersi Milano (su Amazon Prime)
Valerio Principessa - 5 Dicembre 2020

Da un paio di settimane c’è un film italiano che sta facendo tanto parlare di sé e che rilancia un’idea di cinema moderno, competitivo e da esportazione. Un film che riprende le sane tendenze ferme a 40 anni fa abbondanti di fare cinema di genere, di azzardare al di là delle restrizioni di budget e dei limiti organizzativi: “Il Talento del Calabrone” di Giacomo Cimini, cortista romano classe ‘77 da 20 anni salito alla ribalta internazionale grazie a “The Nostalgist” (2014), opera di poco più di un quarto d’ora che giocava abilmente la carta della Fantascienza artigianale. Un cineasta coraggioso, che si è ritagliato un ruolo d’avanguardia nell’ambito dell’audiovisivo tanto da arrivare a insegnare Cinema a Londra, e che per il primo lungometraggio a due decadi dall’esordio “The Invisibles”, anno 2000, (una cosa incredibile a ben pensarci e che riflette le dinamiche produttive italiane), compra la sceneggiatura di un thriller firmata Lorenzo Collalti.

Una storia che non solo ricorda, aggiornata ai tempi nostri, la curiosità e la voglia di fronteggiare gomito a gomito con gli hollywoodiani dei vecchi B-movies dei Lucio Fulci o dei Michele Soavi, che il Cinema Italiano ha deciso di far cadere nel dimenticatoio dagli anni ’90 in poi, ma che riprende lo spirito dei Corman e dei Carpenter vecchia maniera.

Con in più una visione notturna di una Milano tutta mille luci, da spegnere per l’occasione grazie ad artifizi da bombaroli, che piuttosto riporta alla Los Angeles o alla Miami di un noir metropolitano di Michael Mann, una roba alla “Collateral” per intenderci. D’altronde il digitale ad alta definizione tutto permette, anche confezionare un prodotto girato molto bene e con interpreti giusti e spesso in ruoli a rischio banalità, come il cattivo di turno (ovvero un Sergio Castellitto perfetto) che tormenta in linea telefonica un deejay di Radio 105 (la cui stazione è incastonata in uno dei tanti grattacieli dello skyline meneghino) e mette a soqquadro l’intera città con una serie di bombe appostate e in procinto di essere attivate direttamente dall’abitacolo di una macchina. Intervengono i Carabinieri con in prima linea la fascinosa tenente colonnello che esce da un vernissage di arte contemporanea in tacchi per sfoggiare poi anfibi da Lara Croft una volta raggiunta la postazione.

Il film come detto è girato bene in pochi ambienti, lavorando su un ritmo sostenuto che maschera con sapienza la stazionarietà delle inquadrature. Risulta abbastanza convenzionale e irrimediabilmente derivativo: d’altronde la dinamica ricorda almeno una decina di film, tra cui ad esempio “In linea con l’assassino” (Phone Booth, 2002) di Joel Schumacher, solo che in quel caso il set era stradale. Un divertimento un po’ fine a se stesso e la metafora sul talento del calabrone, insetto che riesce a volare a dispetto della grandezza del corpo fisico grazie al fatto di non sapere di poterlo fare, è un po’ sopra le righe.

Ma tant’è, il film rilasciato su Amazon Prime è stato un successo e proietta internazionalmente Milano nell’Olimpo delle città giovanili, delle idee fattibili e degli investimenti che pagano nell’immaginario dell’industria che conta. Peccato che… tutto questo ben di Dio sia girato sulla Tiburtina! Sì a Roma, per di più con il contributo realizzativo della Regione Lazio.

Potenza del green screen che permette di inserire la notte milanese, con tanto di grattacieli che esplodono, oltre le vetrate di uno studio radiofonico, che poteva essere di una delle tante emittenti romane (di quelle che magari parlano di Calcio 24 ore su 24) e che invece è di uno dei più importanti network con sede a Milano. Nel film la Capitale d’Italia, che è sempre più capitale della burocrazia e della politica e sempre meno quella di un business in grado di creare opportunità, sembra lontanissima, per quanto il regista sia romano, Castellitto sia romano e la sede della Paco Cinematografica che produce si trovi a due passi dal Pantheon.

Eppure qualche anno fa Gabriele Mainetti ci aveva provato a svecchiare con “Lo chiamavano Jeeg Robot” e il successo a sfondo storico quanto vogliamo ma comunque coraggiosissimo de “Il primo Re” di Matteo Rovere faceva ben sperare per il futuro. L’impressione è che Roma non riesca mai a fare quel passo in grado di relegarle al mondo un’immagine leggera e moderna. Eppure avrebbe l’EUR, che ben si adatta a progetti avveniristici come Mario Bava provò nel ’68 con il suo “Diabolik”.

La gioventù, il thriller e il pirotecnico sono tutte strade che portano… a Milano! Riusciremo mai a farcene una ragione?

Dar Ciriola

 

Valerio Principessa


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