Sabato, ovvero per me il ‘Giorno del Libri’
Ancora un libro consigliato: "Il silenzio del mare"“I libri sono gli amici più tranquilli e costanti, e gli insegnanti più pazienti”, (Charles William Eliot, 1834-1926, Educatore statunitense).
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Il sogno più grande di Jorge Luis Borges (1899-1986) scrittore, poeta, saggista e traduttore argentino, era quello di riuscire a leggere, prima di morire, tutti i Volumi contenuti nella Biblioteca Nazionale Argentina, di Buenos Aires, che ne conteneva circa 120mila. Quando Borges fu nominato Direttore di quella Biblioteca – incarico che tenne dal 1955 al 1973 – non poté esaudire pienamente il suo sogno, poiché era diventato completamente cieco.
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Il Sabato è il sesto giorno della Creazione. Lo Shabbat, giorno di interruzione. E infatti in quel giorno gli ebrei praticanti si astengono da ogni attività, ovvero si riposano. Per me, invece, il Sabato è “il giorno dei libri”. Perché? Perché il Sabato, La Stampa di Torino edita il Supplemento “Tutto Libri” che recensisce le ultime uscite nel campo dell’editoria di diverso genere. E proprio sul Numero di “Tutto Libri” di Sabato 12 Ottobre scorso ho trovato la recensione del libro che oggi vi propongo, a firma di Sandro Bonvissuto.
Nel suo pezzo Bonvissuto sostiene che il libro in questione potrebbe /dovrebbe essere l’unico da mettere nelle cartelle o negli zaini dei nostri ragazzi quando vanno a Scuola. Lo sostiene perché segnala che oggi i nostri ragazzi vanno a Scuola come se partissero per un lungo viaggio, spesso trascinando un trolley stracarico e – scrive ancora Bonvissuto – a causa del volume del loro zaino o trolley, “sembrano tanti traslocatori”.
E’ vero. Io li vedo ogni mattina arrivare a scuola (quella vicina alla mia abitazione) trascinandosi il loro personale carico di libri: tanti, troppi per un solo giorno di lezione e in sovrappiù (e sono ragazzi delle Elementari e delle Medie) anche il loro strumento musicale, spesso un violino, perché molti di loro fanno Musica. E mi chiedo sempre come facciano a correre, quando escono da Scuola, con quel carico sulle spalle o trascinandosi il loro trolley.
Ai tempi delle mie Elementari da scuola si usciva ordinati come tanti soldatini o meglio “operai piccoli”, come sostiene Gian Maria Volontè, l’operaio Lulù Massa, nel Film del 1971 di Elio Petri (soggetto e sceneggiatura di Elio Petri e Ugo Pirro) “La Classe Operaia va in Paradiso” quando, andando a prendere il figlio a scuola, lo vede uscire con i suoi compagni ordinatamente e in silenzio e: ”Sembrate operai piccoli”, gli dice.
Ma veniamo all’odierna proposta di lettura. Il libro, meglio il Romanzo, s’intitola “Il Silenzio del Mare”, lo scrive il francese Vercors (al Secolo Jean Marcel Adolphe Bruller, 1902-1991) e lo ha pubblicato, in Italia, nel 1945, la Casa Editrice Einaudi, nella Collana “Narratori Contemporanei”, con la traduzione di Natalia Ginsburg.
Quello di Vercors – sostiene sempre Bonvissuto – è un piccolo libro, solo una cinquantina di pagine del peso di poche centinaia di grammi, eppure da solo è sufficiente per farci capire molte cose del tempo che descrive, cose delle quali non fare solo Memoria.
La prima Edizione del Romanzo di Vercors, editato, clandestinamente nel 1942
Racconto è ambientato nel 1940 – quando le Forze Armate tedesche avevano già occupato il territorio francese – in un paesino del Nord della Francia, non lontano dal mare. Qui, un Ufficiale tedesco, Werner Von Ebrennac, si stabilisce in casa di un uomo anziano e della sua giovane nipote, prendendo possesso di una stanza al primo piano della casa. Egli è consapevole che la sua presenza è mal tollerata e cerca di arrecare il minor fastidio ai suoi ospiti: ciò nonostante, ogni sera, tornato dalle sue faccende militari, si siede con loro in salotto, di fronte al camino, e tenta di intavolare una conversazione. L’Ufficiale discorre di arte e letteratura, di musica (nella vita privata era un musicista) e filosofia; elogia i grandi pensatori francesi e l’innata capacità di quel popolo di indagare l’animo umano. È un sognatore, crede negli ideali di pace e collaborazione e confida nel futuro che li attenderà, al termine della guerra, un futuro – dice – per il quale i tedeschi stanno lavorando, anche per i francesi.
“Avevamo deciso in un tacito accordo, mia nipote ed io, di non mutare nulla nella nostra vita, fosse pure il più piccolo particolare: come se l’ufficiale non esistesse; come se fosse stato un fantasma. Ma forse un altro sentimento si univa nel mio cuore a questa determinazione: io non posso offendere un uomo senza soffrire, si tratti pure anche del mio nemico.
Per molto tempo — per più d’un mese — la medesima scena si ripeté ogni giorno. L’ufficiale bussava ed entrava. Pronunciava alcune parole sul tempo, sulla temperatura, o su qualche altro argomento della stessa importanza, che tutte avevano come proprietà comune il non presupporre risposta. […]
Restò abbastanza a lungo senza muoversi, senza muoversi e senza parlare. Mia nipote sferruzzava con vivacità meccanica. Ella non gettò gli occhi su di lui una sola volta. Io fumavo, semisdraiato nella mia vasta poltrona soffice. Pensavo che la pesantezza del nostro silenzio non avrebbe potuto essere scossa. […] — E’ forse inumano rifiutargli l’obolo d’una sola parola —. Mia nipote alzò il volto. Levava alte le sopracciglia, su degli occhi brillanti e indignati. Mi sentii quasi un poco arrossire. […].”.
Ogni suo tentativo è però vano: l’uomo e la ragazza si trincerano dietro un ostinato silenzio, non una parola esce dalle loro bocche e si comportano come se lui non esistesse. Questa muta resistenza è il loro modo – l’unico che è dato loro di praticare in quella situazione – di opporsi al nemico; un contegno tanto dignitoso quanto difficile, soprattutto nei riguardi di un uomo gentile ed educato come l’ufficiale, il quale non può fare altro che rassegnarsi a lunghi soliloqui e congedarsi ogni sera augurando loro la buonanotte e guardando il pianoforte a cui quella ragazza, ostinatamente muta, non si siederà mai per suonare per lui.
Finché un giorno, richiamato a Parigi, egli viene informato sui reali piani di conquista dell’Esercito tedesco: svanita l’illusione, l’Ufficiale cerca di spiegare allo zio e alla nipote, quello che prova, il fatto che le sue certezze stanno franando. Ma i due continuano a tacere risolutamente: troppo grande, per loro è la ferita che i tedeschi hanno procurato al loro Paese. Poi accade che l’Ufficiale è costretto a lasciare la casa e trasferirsi al fronte. L’addio sarà straziante, ma verrà ricambiato dalla ragazza che, a voce sommessa, gli rivolge la sua prima e ultima parola.
“Il silenzio cadde ancora una volta. Ancora una volta, ma questa volta, come più oscuro e teso! Certo, al disotto dei silenzi passati, – come, sotto la calma superficie delle acque, la lotta degli animali del mare, – sentivo sì pullulare la vita sottomarina dei sentimenti nascosti, dei desideri e dei pensieri che si negano e si combattono. Ma al disotto di questo, ah! null’altro che un’atroce oppressione.”.
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Ecco, il silenzio come forma estrema di resistenza ad una situazione imposta con la forza. Il Racconto, scritto nel 1942, venne stampato clandestinamente in poche centinaia di copie da Vercos stesso il quale, insieme ad altri compagni di lotta, (era entrato nella Resistenza francese) aveva creato una Casa Editrice chiamata Edition de Minuit, anch’essa evidentemente clandestina.
L’impatto del racconto nella Francia occupata fu enorme, tanto che, per ordine preciso del Generale De Gaulle, il libro venne paracadutato nelle zone in cui operavano i Maquisard, i Partigiani francesi, perché la popolazione francese leggesse quella testimonianza di resistenza passiva e dignitosa. Ma il piccolo Volume fu paracadutato anche sul territorio inglese che resisteva tenacemente ai pesantissimi attacchi tedeschi che arrivavano dall’aria.
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Il Racconto di Dercors potrebbe benissimo diventare una piece teatrale senza cambiare neanche una virgola del testo, né apportare cambiamenti nell’ambientazione: la scena, infatti, ha un’unità dii luogo e dentro uno spazio sempre uguale ci sono soltanto queste tre figure, davanti al fuoco nel salotto borghese, mentre fuori piove e fa freddo: il vecchio e la nipote in poltrona, l‘Ufficiale tedesco in piedi davanti al camino, tre desideri di comunicazione impediti da una guerra di cui dentro quella casa e quel salotto non arrivano gli echi, ma che si “sente” comunque, incombente e cruenta allo stesso tempo.
Da “Il Silenzio del Mare” è stato tratto un Film, presentato in Francia nel 1947, per la regia di Jean-Pierre Melville – lo stesso regista che, nel 1950, collaborerà con Jean Cocteau all’adattamento cinematografico del suo più celebre romanzo, “Les enfants terribles”. Il Film, in bianco e nero e privo di dialoghi, potrà forse non reggere la concorrenza del Cinema più recente, ma il libro no. Il consiglio è dunque di leggerlo (c’è un’edizione Einaudi del 2015 nella Collana ET Scrittori e, un paio d’ore filate di lettura e la “pratica” è sbrigata) ma tenetelo a portata di mano ché potrebbe tornare utile in concreto e non solo alla riflessione, dato che il silenzio può essere una tecnica di resistenza passiva assai produttiva e facilmente praticabile, anche se non si è necessariamente in guerra.
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